Fredda, calcolatrice, bugiarda. Sono le accuse rivolte alla Clinton. Sempre frenata a un passo dal successo. E che ora tenta la sfida con la posta più alta

hillary clinton
Doveva essere facile. Sulla carta, Hillary Clinton ha tutti i requisiti per essere il prossimo presidente degli Usa: ex-senatrice rispettata, avvocato di successo, moglie di un ex-presidente, ministro degli Esteri che ha visitato 112 Paesi viaggiando per 956,733 miglia, profonda conoscenza sia di politica domestica che di politica estera. «Posso dire con sicurezza che non c’è stato né uomo né donna più preparata per diventare presidente degli Stati Uniti», ha detto il presidente Barack Obama. Il suo avversario è un uomo, Donald Trump, senza un giorno di esperienza nella vita pubblica, che ha insultato quasi tutti - donne, messicani, musulmani, anche i veterani - dimostrando segni di serio squilibrio mentale e visto “sfavorevolmente” da circa il 58 per cento della popolazione. Un mese fa i sondaggi promettevano una vittoria schiacciante della Clinton. Ma ora gli sfidanti sono testa a testa e alcune previsioni fanno immaginare l’impensabile: una vittoria di Trump.

Come mai Hillary (tutti, elettori e detrattori, la chiamano così) fa così fatica a raggiungere il traguardo finale? Le ragioni sono varie.

Un po’ conta la sfortuna. Era largamente favorita pure nel 2008, ma ha dovuto affrontare la sfida nelle primarie democratiche di uno dei politici più dotati e carismatici della nostra storia, seppure molto meno esperto di lei: Barack Obama. Ora la Clinton rischia di essere travolta dall’ondata populista che sta sconvolgendo la politica in tutto il mondo. Una tendenza in cui l’inesperienza, e perfino la rozzezza e l’eccentricità, non sono demeriti ma segni di autenticità e di candidati anti-sistema.

Ma ci sono altre ragioni legate alla sua personalità molto complessa: una donna idealista che ha dedicato la sua vita a varie cause nobili ma che risulta a molti troppo calcolatrice o addirittura opportunista. Una persona che, secondo parecchi dei suoi collaboratori, è calorosa, leale e perfino divertente in privato, ma che in pubblico può apparire distante, inaccessibile o poco autentica. C’è anche un elemento di misoginia a cui sono esposte le donne in politica. Vezzi e imperfezioni perdonati tra gli uomini, per i candidati “rosa” vengono ingranditi fino a diventare dei casi. L’ambizione è apprezzata in un uomo ma fastidiosa in una donna; lui che alza la voce è visto come forte e carismatica, ma se lo fa lei non va bene.

«Se non l’avete notato, io non sono un politico naturale come mio marito o il presidente Obama», ha detto qualche mese fa la Clinton. La sua forza è una grande intelligenza e una preparazione eccezionale. Doti che la mettono decisamente più a suo agio quando studia le carte e interagendo con piccoli gruppi piuttosto che quando fa campagna elettorale.

Allo stesso tempo, Hillary non è sempre stata giudicata secondo standard che non sarebbero applicati a un uomo. La scelta di tenere il suo cognome da ragazza dopo aver sposato Bill Clinton è diventata fonte di polemica aspra nel momento in cui il marito è diventato governatore dello Stato conservatore dell’Arkansas. Quando Bill è stato bocciato dagli elettori dopo il suo primo mandato da governatore, Hillary Rodham ha cambiato nome, diventando Hillary Rodham Clinton. «Un cognome non vale l’incarico da governatore», ha confidato ad amici. Bill è stato rieletto non molto dopo. Lei è stata criticata per aver continuato a lavorare in uno studio legale importante dell’Arkansas. «Avrei dovuto restare a casa a fare biscotti e servire tè?», ha detto nel 1992 quando qualcuno sollevò la questione di nuovo, dando il via a settimane di polemiche.

Hillary fa, di tanto in tanto, delle battute infelici. In quel caso, il riferimento sarcastico ai biscotti sembrava il commento condiscendente di una donna dell’élite che si sente superiore alle casalinghe. Ma è anche vero che un uomo non avrebbe dovuto spiegarsi per il fatto di essersi realizzato nella sua carriera.

Parlando delle doti di sua moglie, l’ex presidente degli Stati Uniti diceva che votando per lui il cittadino ne otteneva «due al prezzo di uno». Una volta eletto, Bill Clinton ha fatto però l’errore di presentare Hillary come una specie di co-presidente non-eletto (cosa vista come una forma di presunzione) e ha dato uno degli incarichi più importanti alla moglie: la riforma sanitaria. Il piano non è arrivato al Congresso per un voto, in parte perché i rappresentanti si sono sentiti scavalcati nel loro ruolo: nel sistema americano è infatti il Congresso che scrive delle leggi, non l’esecutivo, e certamente non la moglie del presidente (ma pochi protestarono quando John Kennedy ha messo suo fratello, giovanissimo e piuttosto inesperto, come ministro della Giustizia.)

«Tutta una serie di studi dimostra che l’ambizione è considerata un tratto positivo per un uomo, perché lo rende più amabile, mentre su una donna risulta antipatica», dice Catherine Orenstein, direttrice dell’Oped Project, un’organizzazione creata per incoraggiare la partecipazione delle donne nel dibattito pubblico.

Per colmare questo deficit di simpatia, la Clinton - e il suo entourage - hanno cercato di cambiare la sua immagine decine di volte: un nuovo taglio di capelli, vestiti nuovi. «Ogni volta che volevo spostare qualcosa dalle prime pagine dei giornali mi bastava cambiare capigliatura», scherzava la Clinton nel 1996. La stampa non avrebbe mai dedicato così tanto spazio all’aspetto di un uomo di potere, ma il fatto di cambiare sempre immagine ha creato l’impressione di Hillary come un camaleonte o una che si nascondeva dietro una maschera.
«Ho visto in prima persona l’indurimento di Hillary», ha scritto recentemente il giornalista Todd Purdum, che ha seguito i Clinton durante gli anni ’90 per il “New York Times”. «Poco a poco si è chiusa… Durante i viaggi all’estero, nelle conversazioni informali con noi parlava con grande naturalezza, curiosità intellettuale e un senso di humor inaspettato. Ma insisteva che tutto restasse “off the record” e quindi era difficile trasmettere la sua vera personalità al pubblico».

Questo atteggiamento di chiusura le è costato molto. Durante l’affare Whitewater (un investimento immobiliare che i Clinton hanno fatto quando Bill era governatore dell’ Arkansas) è stata Hillary ad opporsi all’idea di dare alla stampa i documenti della vicenda. Alla fine, il Congresso ha incaricato un’indagine speciale che ha portato al caso Lewinsky e l’impeachment di Bill Clinton - evitabile forse se l’amministrazione fosse stata più aperta all’inizio. La decisione di usare un “server” privato per le sue e-mail, piuttosto che il servizio del Ministero degli Esteri, ha rinforzato l’immagine di persona che si nasconde, che cerca di non rispettare le regole.
Durante la campagna elettorale attuale, la Clinton ha evitato di tenere una conferenza stampa per 275 giorni, aumentando l’immagine del politico che non getta mai la maschera e ha qualcosa da nascondere. Finalmente, giusto l’altro giorno, ha cominciato a fare conferenze, ma la decisione è arrivata poco dopo l’inizio della rimonta di Trump nei sondaggi.

Hillary non è mai al meglio quando dovrebbe vincere. Se è in vantaggio si comporta come una squadra di calcio che, in testa uno a zero, comincia a giocare in difesa per tutto il secondo tempo. Non gioca per vincere ma per non perdere. E finisce col perdere. È invece al suo meglio quando le cose vanno male. Così è stata nel 2008: dura, poco empatica con gli elettori, nelle prime primarie contro Obama in cui tutti si aspettavano una sua vittoria facile. Quando però Obama è andato in forte vantaggio, la Clinton si è trasformata in un avversario formidabile vincendo varie primarie.

Dopo lo scandalo Lewinsky, Hillary ha deciso di presentarsi per il Senato da New York, uno Stato con il quale aveva un legame debole. Ma ha battuto i suoi scettici con molta grinta e un livello di preparazione fuori dal comune. Ha fatto un “listening tour” in cui ha visitato ogni piccolo paese, presentandosi ad ogni riunione pubblica nello stato di New York (grande circa la metà dell’Italia), parlando poco e ascoltando molto. Tutti erano d’accordo: è stata una senatrice bravissima con una padronanza eccezionale sia dei problemi particolari a New York che delle grandi questioni nazionali e internazionali. Così ha fatto anche dopo la sconfitta del 2008, quando ha sorpreso molti accettando di lavorare per l’uomo che l’ha sconfitta, Barack Obama. Il suo tasso di approvazione una volta concluso il mandato di Segretario di Stato è stato del 69 per cento: eccezionale in un Paese così diviso.

Ma essere ministro degli Esteri e presidente sono due cose diverse. Mentre molti americani accettano senza problemi un ministro donna, l’idea di un presidente donna ha scatenato un livello di resistenza sorprendente. “Trump the bitch!” (“Schiacciate la cagna!”, con un gioco di parole sul nome di Trump) è tra gli slogan che esprimono il vero e proprio odio nei confronti della Clinton.

È difficile spiegare tutto questo senza tenere conto della misoginia. Ci sono due grandi fratture nell’elettorato americano: la razza e il sesso. Negli ultimi 40 anni, il partito democratico è diventato sempre più il partito delle minoranze, e il partito delle donne.

Ci sono stati due spostamenti massicci nell’elettorato americano nelle ultime due generazioni: la classe operaia bianca si è spostata a destra, arrabbiata perché il partito democratico ha speso tutte le sue energie a promuovere le cause delle varie minoranze - i neri, gli ispanici, le donne e i gay - piuttosto che difendere i loro interessi. Allo stesso tempo i moderati repubblicani, uomini e donne con la laurea (ma soprattutto donne) si sono spostati verso i democratici. In alcuni Stati del profondo Sud, Obama ha preso solo il 10 per cento del voto bianco ma ha guadagnato consensi nell’elettorato femminile. Nell’attuale elezione, questo scarto sta diventato un abisso: tra gli uomini bianchi senza laurea, Trump batte Hillary 80 a 20! Mentre il 70 per cento delle donne ha un’idea negativa di Trump.

L’ondata di populismo abbina il risentimento razziale alla rivendicazione di un’identità maschile, tradizionale. Gli uomini bianchi hanno perso molto terreno negli ultimi quarant’anni. Il lavoro stabile in fabbrica è diventato precario, con lunghi periodi di disoccupazione. Il reddito medio dell’operaio senza laurea è sceso del 18 per cento. Se suo padre poteva mantenere una famiglia con la donna in casa, l’operaio di oggi dipende molto dal lavoro della moglie (se la moglie non l’ha lasciato). Quindi ha perso potere, reale e simbolico. Trump, maschio puro e duro, senza scuse, diventa il loro idolo, mentre Hillary - donna potente e superba - il simbolo della loro umiliazione.

La campagna elettorale della Clinton è stata basata fino a ora su calcoli tradizionali: un candidato come Trump, che ha alienato tanti gruppi importanti - le donne, i neri, gli ispanici, gli immigrati in genere - non può vincere. Quindi basta non essere Trump, sembrare responsabile e preparata, per guadagnare la presidenza. Ma questo non è un anno normale. E le cose potrebbero andare diversamente. Per vincere, la Clinton non potrà limitarsi a rassicurare i cittadini. Dovrà cancellare i tanti stereotipi che si sono formati attorno alla sua immagine.

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