Mosul - “Caro Espresso, anche Mosul vive il suo coprifuoco, eppure, nonostante le notizie che arrivano dal mondo molte persone sembrano non prendere seriamente quello che può accadere, gli avvertimenti, i numeri dei morti.
Ci sono ancora raduni di persone, qualcuno gioca a calcio, altri riempiono i mercati. Ormai conoscete Mosul, avete ancora negli occhi l’atrocità della guerra, conoscete la sua distruzione, l’avete vista e raccontata.
Non si tratta solo della devastazione dei quartieri residenziali, non sono solo le macerie delle case che compongono l’orizzonte della nostra città, anche le strutture mediche sono distrutte, gli ospedali, le cliniche che dovrebbero fornire assistenza ai cittadini e essere già pronte a fronteggiare l’emergenza.
Molti ospedali sono ancora in rovina.
E’ la fonte principale delle nostre preoccupazioni. Cosa accadrebbe se l’epidemia si diffondesse qui?
Quello che più ci preoccupa, mentre osserviamo i resti di un pezzo di città è la sensazione che il governo centrale, a Baghdad, sia il primo a sottovalutare la portata del rischio e il reale impatto di un contagio.
Sappiamo che la diffusione del virus non dipende da quanto avanzato sia un sistema sanitario, sappiamo che il contagio è – per così dire – democratico, sappiamo anche però che quello che fa la differenza nel gestire le conseguenze è quanto si è riusciti a essere lungimiranti, a prepararsi all’impatto.
Guardiamo al vostro paese, all’eccellenza del vostro sistema sanitario. Eppure, nonostante mezzi e competenze state soffrendo così tanto.
Non è solo il sistema sanitario, siamo noi.
Il comportamento dei cittadini prima ancora che del governo può fare la differenza.
Lo dico guardando i numeri, il governo iracheno ha stanziato due milioni di dollari per il dipartimento medico del governatorato di Mosul, la seconda città dell’Iraq, ancora alle prese con le conseguenze di una guerra lunga e tragica.
Il ministro della sanità in Iraq ha detto pubblicamente nel corso di un’intervista che il sistema sanitrario iracheno è 176 al mondo.
Potete facilmente immaginare cosa accadrebbe qui in caso di contagio. È un incubo che ci accompagna, ma questa esperienza ci farà più forti.
Siamo abituati a una vita anormale, instabile. I nostri giorni sono così.
Il coprifuoco è la prima, l’unica risposta per noi. L’unica cura che possiamo mettere in campo in questo momento.
Le persone sono preoccupate, Mosul è impoverita, tante gente dipende da entrate casuali, giornaliere, i lavoratori del mercato, chi lavora nell’edilizia.
Ma il governo non c’è, non risponde.
Di nuovo, assistiamo a uno scarto.? Da un lato il governo di Baghdad che sembra non capire, dall’altro una grande campagna di solidarietà tra cittadini.
Volontari che riforniscono le strutture mediche di cibo e mezzi sanitari, invitano i cittadini a indossare guanti e mascherine per scongiurare un contagio. Organizzazioni umanitarie che forniscono disinfettanti.
Tutto dal basso, la gente che pensa alla gente. Non si può sopravvivere di solidarietà anche se le persone fanno delle loro meglio.
Ecco perché sono spaventato. Forse la gente è pronta, il governo no.
Siamo abituati ai nemici, noi a Mosul.
Ricordo che l’Isis ha occupato Mosul in uno dei periodi più densi dell’anno accademico, prima della vacanze estive. E come ora, per la diffusione del Covid, siamo entrati nel coprifuoco esattamente nella settimana di inizio del secondo semestre. E’ una coincidenza che mi spinge a fare delle riflessioni.
Questo virus ci spinge a pensare a cosa davvero si debba combattere nel mondo.
Covid come altre malattie nel mondo ci chiede cosa sappia combattere il mondo.
Abbiamo armi balistiche, tecnologie belliche avanzate, missili di ultima generazione e improvvisamente il mondo, tutto il mondo, implora di avere semplici mascherine mediche per proteggersi da un contagio che si sposta nell’aria e spaventa più di tutte le armi che possiamo produrre.”
Ali al Baroodi, Professore di Inglese all’Università di Mosul, fotografo, blogger