In Sardegna il Padre non è più Padrone

Agriturismo anche nelle zone interne. Nuove tecnologie a partire dagli scarti. E l'export nel mondo di prodotti e di cultura. L'isola non è più quella raccontata da Gavino Ledda, che tra poco compie ottant'anni. E guarda fuori: più all'Europa che alla penisola

Un bambino seduto al suo banco in prima elementare. Il padre entra, batte un bastone sui banchi, terrorizza tutti e se lo porta via: «È mio, e io sono solo. Saprò fare di lui un ottimo pastore. Lui non deve studiare».

È una scena successa davvero 75 anni fa, raccontata trent’anni dopo in un libro e subito dopo in un film. Roba vecchia. Anni luce da una regione che all’ovile ha sostituito l’agriturismo, alle campagne incolte il rischio di cementificazione, all’analfabetismo una quantità di scrittori noti in tutto il mondo. Eppure “Padre padrone” di Gavino Ledda rimane la cartolina in seppia su cui ancora oggi si misurano i cambiamenti della Sardegna.

Tanto che “Assandira”, il film che Salvatore Mereu sta girando in questi giorni in Barbagia, è un omaggio a quella vecchia storia, capovolta nel tormento di un padre moderno che al suo unico figlio non sa dire no: un padre che è interpretato proprio da Ledda.

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“Padre padrone” esce a metà degli anni Settanta. Sono gli anni della ribellione contro l’autorità in famiglia e fuori: e la storia del ragazzo che riesce a sfuggire al destino scritto per lui da un genitore violento parlò al cuore di tutti i giovani del mondo. Sono gli anni dei fermenti universitari: e la storia dell’analfabeta che in poco tempo arriva a una cattedra di glottologia sembrò una favola della vittoria della cultura sull’ignoranza, e conquistò così Paolo Milano dell’Espresso.

Sono anni di fermenti politici che portano in sé i semi del terrorismo: e sempre sull’Espresso Alberto Moravia lesse nel film di Paolo e Vittorio Taviani la ribellione di un figlio che «vuole passare dal terzo mondo al mondo egemonico». Sono anni di emigrazione, e del libro di John Berger sul “Settimo uomo”, con le foto che accompagnano viaggi della speranza dalla Turchia e dalla Sicilia alla Germania e alla Svizzera. Il romanzo di Ledda, invece, era la foto di chi rimaneva, raccontava cosa rischiava chi non voleva emigrare.

Un’immagine che ha colpito tutto il mondo: il film ha vinto a Cannes nel ’77 e il libro, passato dai Gettoni di Feltrinelli a Maestrale e ora a Baldini & Castoldi, è stato tradotto in quaranta lingue. Erano anche gli anni del boom della Costa Smeralda, il paradiso vacanziero che con il retroterra non aveva rapporti. «Per i sardi era un ambiente tabù», conferma Diego Satta, studioso e musicista poliedrico e grande conoscitore dell’isola.

È nata così una ferita che ha portato al rancore e ai rapimenti, trasformando in criminali veri gli antichi “balentes” della Barbagia. Mentre nei cinema usciva “Padre padrone”, nei villaggi vacanze sardi aumentavano le ville chiuse - i ricchi proprietari spaventati non ci mettevano più piede e difficilmente riuscivano a venderle. La piaga colpiva anche i forestieri che la Sardegna l’avevano sposata, come Fabrizio De André e sua moglie Dori Ghezzi, che nell’“Hotel Supramonte” nel 1979 passarono quattro mesi di terrore.

Oggi tutto è cambiato: «Quegli anni bui nascono dallo sviluppo improvviso del dopoguerra, dal “Piano di Rinascita” che cercò di trasformare troppo rapidamente una realtà agropastorale in industriale», dice Sergio Naitza, che alla Sardegna ha dedicato “Dalla quercia alla Palma”, documentario che parte proprio dal film dei Taviani, che il pubblico dell’isola all’inizio detestò. «Il mio lavoro è nato proprio per mettere una pietra tombale su quella polemica. I sardi rifiutarono “Padre padrone” perché lo scambiarono per uno specchio, mentre per i Taviani il libro di Ledda era solo il punto di partenza di una storia universale di sopraffazione, ribellione e riscatto».

Quel film, oltretutto, era comunque un passo avanti: «Prima il racconto della Sardegna al cinema seguiva solo due filoni: banditismo e deleddismo», ricorda Naitza. Dopo, su quella scia, artisti e intellettuali sardi hanno costruito, libro dopo libro, festival dopo festival, un’immagine culturale vincente. Come “L’isola delle storie” di Gavoi che ospita i migliori autori italiani e stranieri, o il Premio Parodi di Cagliari, diretto da Elena Ledda, che è diventato uno degli appuntamenti più importanti per la world music. L'edizione di quest'anno è finita l'11 novembre, proprio nei giorni in cui un rapper sardo, Salmo, con il nuovo disco ha avuto un successo certificato da due record su Spotify: non solo ha superato il numero di stream di un album in un giorno, ma è riuscito anche a piazzare i 13 brani dell'album ai primi 13 posti della hit parade della classifica italiana.

Anche la pastorizia è cambiata. Gli scarti della lavorazione della lana oggi sono usati per realizzare pannelli ignifughi o filtri che assorbono il petrolio finito in mare. Da questa prima intuizione è nata una ricca rete di innovazione verde: Daniela Ducato di Edilana ha tenuto a battesimo 120 nuovi biomateriali che oggi vengono prodotti dalle aziende della filiera. «Cerchiamo di realizzare prodotti fatti non solo con le materie prime di cui la Sardegna è ricca, ma soprattutto con “materie ultime”: gli scarti di altre lavorazioni».

Dagli avanzi di frutta e vino nasce un diserbante che sostituisce il glisofato, con gli ultimi ritagli di lana si costruiscono contenitori termici. «L’innovazione è più facile dove c’è multietnicità e multiculturalità», sottolinea Daniela Ducato. «“Noi sardi siamo isolati”, diceva mia madre. Ecco, isolati non dobbiamo esserlo più. Non c’è niente di più sardo della quercia da sughero. Eppure anche il sughero cambia se lo si guarda da altri paesi produttori come Algeria o Siria. E così siamo arrivati a lavorarlo in modo nuovo e per nuovi utilizzi».

L’impressione in effetti è che l’isola oggi guardi prima al Mediterraneo e all’Europa e solo dopo all’Italia: i rapporti con Barcellona privilegiati per chi viene da Alghero da una lingua comune, il catalano; quelli con i paesi del nord favoriti da turisti innamorati. «E dal fatto che i sardi, da sempre obbligati a spostarsi per lavorare, sono stati proiettati verso una dimensione europea», nota Naitza. «In ogni famiglia sarda c’è un emigrato».

Nelle famiglie di Mamoiada, invece, c’è sempre stato un mamuthone. Lo racconta Sara Muggittu, entusiasta organizzatrice dell’appuntamento con “Sas tappas a Mamojada” per il ponte dei morti. Da 23 anni la provincia di Nuoro organizza l’Autunno in Barbagia: ogni weekend uno di quelli che negli anni Ottanta erano chiamati eufemisticamente “paesi del malessere” apre case, botteghe, negozi. Unisce nuove mode e tradizioni. Come i mamuthones appunto, amatissimi mostri pelosi, mascherati e chiassosi: «Ogni bambino già a tre anni sogna di diventare un mamuthone».

Solo i maschi però: come vuole la tradizione, i mamuthones le bambine li lasciano a loro. Però non rinunciano a nessun ruolo dell’imprenditoria: come le tre sorelle che hanno rilanciato l’azienda vinicola paterna ribattezzandola Eminas (“femmine”), o le tre amiche dell’agenzia Meskes, Alice, Cinzia e Manuela. «Del resto fin dall’Ottocento il ruolo della donna nella famiglia e nella società sarda è stato molto diverso dal resto d’Italia», spiega Ester Cois, sociologa dell’Università di Cagliari. «Le donne si sposavano tardi ed erano socie dei mariti, a pari capacità: avevano una funzione produttiva e non solo riproduttiva. Le coppie andavano a vivere per conto loro, non insieme ai genitori. E quando il pastore andava via per sei mesi, per la transumanza, la moglie doveva gestire tutto da sola».

Mentre lettori e cinefili si concentravamo sul rapporto tra padri padroni e figli ribelli, nelle famiglie sarde erano invece le donne ad avere un ruolo particolare. Da questa parità funzionale deriva anche il fatto che gli agriturismi in Sardegna siano nati presto, e siano spesso in mani femminili: «Le donne ereditavano come i fratelli, però a loro venivano dati i terreni meno adatti ad agricoltura e pastorizia: quei terreni rocciosi e vicini al mare che oggi sono un tesoro per attirare i turisti».

Ah, i turisti: anche qui sono croce e delizia. Anche tralasciando i danni paventati dopo la nuova legge urbanistica, è la cultura dell’isola che rischia di rovinarsi, di diventare caricatura di se stessa. Fa piacere sapere che Ollolai, paese che qualche anno fa aveva messo in vendita case abbandonate a un euro, sia stato “adottato” dagli olandesi che ci hanno ambientato un reality e ora una sagra che mischia cucina olandese, belga e barbaricina.

Ma proprio una situazione simile a questa ispira “Assandira”, il film che Mereu ha tratto dal romanzo di Giulio Angioni (Sellerio). «Per assecondare i turisti, si costruisce una Sardegna finta dove il gusto della sorpresa vince sul rispetto del luogo», spiega il regista. «Ci si fa fotografare con un pastore come il turista che cerca il leone durante un safari. Lo aveva profetizzato Ennio Flaiano nel ’68 nei “Protagonisti”, dove un gruppo di turisti della Costa Smeralda andava in Barbagia per incontrare un latitante». Oggi i banditi sono fuori moda, ma ai turisti resta il selfie tra i mamuthones.

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