Il luogo d'arte più visto degli Usa? D’estate è quello sull’eroe simbolo Frontiera. Tra armi e reliquie, celebrazioni del coraggio dei bianchi e pochi cenni sullo sterminio degli indiani

Rosa Bonheur, francese di Bordeaux, non varcò mai l’Atlantico per recarsi negli Stati Uniti. Eppure, fu dai suoi pennelli e dalla sua tavolozza che prese forma il ritratto a cavallo del cittadino americano William Frederick Cody, noto in tutto il mondo come Buffalo Bill. Poi, lui scelse quel quadro come tema conduttore di quasi tutti i manifesti e le pubblicità dello spettacolo che ha portato in giro per il mondo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Il dipinto, realizzato nel 1889, mentre William Cody era a Parigi con il suo circo-spettacolo Wild West in occasione dell’expo mondiale, si trova oggi in una sala del Buffalo Bill Center for the West, il museo che è dedicato al cacciatore-scout-pony express-imprenditore-showman e che vuole raccontare la cultura dell’Ovest americano e della Frontiera di ieri e di oggi e la storia di Buffalo Bill.
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Non sono pochi i pittori e gli scultori, del passato come contemporanei, che hanno raccontato l’epopea della Frontiera senza aver messo piede in quelle terre, dipingendo e scolpendo nei loro studi a migliaia di chilometri dalle praterie, dalle montagne e dai laghi che sono lo sfondo naturale di storie di bisonti, di pionieri, di indiani, di guerra tra soldati in giacca azzurra e tribù di “native american”. Molte opere si trovano oggi nel museo di Cody, cittadina del Wyoming fondata da Buffalo Bill e che rappresenta la porta di ingresso a quella meraviglia della natura che è lo Yellowstone Park. Buffalo Bill creò quell’insediamento con il preciso scopo di farne un punto turistico per chi, già un secolo fa, voleva conoscere da vicino l’ovest, e al tempo stesso ideò una serie di canali artificiali per portare l’acqua ai ranch e renderli più produttivi sia in campo agricolo che nell’allevamento del bestiame. Insieme a Yellowstone, il museo è il luogo più visitato dello stato, circa 200 mila persone nel periodo che va dal primo giugno al 15 settembre, che ne farebbe uno dei musei americani più visitati se il flusso durasse tutto l’anno (in primavera, autunno e inverno è aperto solo tre giorni alla settimana).

La guida per entrare in questo particolare mondo si chiama Mindy Besaw, curatrice della western art che esordisce così: «Il west e la frontiera sono stati e saranno sempre una fonte straordinaria di ispirazione artistica e questo museo vuole raccontare il ruolo che hanno avuto nella storia e nel costume americani». Il Center ha aperto i battenti nel 1959 e si è arricchito aggiungendo alla sezione che ospita dipinti e sculture altre quattro esposizioni permanenti: le armi, gli indiani, la storia naturale e, ovviamente, il mondo di Buffalo Bill. Dietro le quinte opera una struttura di esperti dei vari settori e alla crescita del museo che oggi possiede oltre 50 mila pezzi, e c’è un consiglio di amministrazione in cui siedono i rappresentanti delle più importanti famiglie del Wyoming e di americani che hanno fatto di questo stato un punto fisso di interesse: come i Nielson (allevamento), i Simpson e i Cheney (politica), i Tate (trasporti). Simbolo della intera istituzione è una statua equestre di Buffalo Bill piazzata all’esterno del museo e realizzata da Gertrude Vanderbilt Whitney, artista e mecenate che fondò l’omonimo museo di New York e che è stata il motore iniziale del Center for the West di Cody.

Nell’ala dedicata a pittura e scultura, dove è stato ricollocato lo studio che il pittore Frederic Remington aveva a New York, sono esposte una accanto all’altra le opere classiche di Thomas Moran e Albert Bierstadt (quasi sempre panorami dello Yellowstone Park) e quelle moderne di Clyde Aspevig e Chuck Forsman che raccontano gli stessi ambienti al giorno d’oggi, per esempio le miniere a cielo aperto di carbone del Wyoming realizzate da Forsam. Il bisonte è un tema centrale per gli artisti che hanno vissuto tra le fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Ci sono quelli ritratti da William H. Dunton come quelli che Alfred Jacob Miller dipinse nel suo studio di Baltimora, città portuale dell’est, dopo un viaggio tra Utah, Colorado e Wyoming.

Buffalo Bill è ben presente in quest’ala del Center for the West. Oltre al ritratto a cavallo realizzato a Parigi ai primi del Novecento da Rosa Bonheur, ci sono una grande tela che raffigura il fondatore di Cody nel vestito da cacciatore e scout firmata dal contemporaneo Michael Scott come anche una foto colorata a mano scattata su una gondola a Venezia durante una tappa del tour di Buffalo Bill in Italia.

Quali siano i criteri per scegliere un’opera da esporre è sempre Mindy Besaw a spiegarlo a “L’Espresso”: «Deve raccontare il west come parte di una storia più grande di questo paese che non si è mai conclusa».

Così, hanno trovato posto nelle sale anche molte opere di “native american” come Kevin Red Star o Fritz Scholder o le opere di un illustratore come James Bama che quarant’anni fa si è trasferito a Cody e ha ritratto con tecnica fotografica uomini e donne che ha conosciuto in città. Un posto in prima fila hanno trovato anche artisti della pop art, come Bill Shenck che viene dal gruppo di Andy Warhol, si è ispirato inizialmente agli spaghetti western e poi ha trovato una interpretazione moderna della Frontiera dedicandosi soprattutto al tema dei cowboy.

Quadri e sculture rappresentano solo una parte del Center for the West di Cody. È possibile visitare una larghissima esposizione di armi, aperta al pubblico nel 1976 e frutto quasi esclusivamente di donazioni di collezionisti privati e aziende produttrici. Le armi sono parte integrante della cultura della Frontiera e furono lo strumento decisivo per la conquista dei territori (anche a scapito di coloro che li occupavano e li possedevano da centinaia di anni) e l’espansione degli Stati Uniti verso ovest. Si va da due revolver Colt a sei colpi con le impugnature in avorio che appartennero a Buffalo Bill ad un fucile winchester d’epoca che fu regalato al presidente Ronald Reagan fino ad alcune pistole trovate in una città fantasma, una delle tante disseminate lungo i sentieri che portavano a ovest, che furono per un periodo luogo di incontro e furono abbandonate quando il baricentro della conquista della Frontiera si spostò. L’ala dedicata alle armi è forse troppo piena di pistole e fucili di tutti i tipi ed epoche, tanto da far perdere al visitatore il filo narrativo di ciò che esse hanno rappresentato.

Se l’ala dedicata alla natura, al territorio, agli animali che li abitano è una perfetta porta di ingresso per preparare chi decide poi di addentrarsi nei territori dello Yellowstone Park, le sale dedicate agli indiani d’America riflettono il dibattito che si è svolto prima dell’inaugurazione del 1979. Come narrare la storia delle tribù che abitavano l’ovest e la cui vita fu letteralmente stravolta dall’arrivo dei pionieri? È stata scelta la via del politicamente corretto, ovvero gli indiani vengono raccontati seguendo i loro stili di vita, la loro cultura, il modo in cui erano radicati sul territorio. Le tragedie - dalle guerre alle carestie per la scomparsa della selvaggina, dalle malattie al rapporto con i bianchi invasori - sono raccolte su un muro lungo una ventina di metri dove in modo molto asettico vengono raccontate seguendo un filo temporale.

Infine, il quinto museo nel museo, la parte dedicata a Buffalo Bill nel cui nome questa istituzione è crescita da quando nel 1917 fu creata una associazione per ricordare il fondatore della città di Cody. Dieci anni più tardi, fu allestita una raccolta di memorabilia appartenute al cacciatore-scout in un casa di legno alla periferia della città: dal cappello, ai dadi con cui giocava nel tempo libero, dalle lettere alla sella utilizzata negli anni in cui girava il mondo con il suo circo spettacolo. Alcuni di questi oggetti sono oggi esposti nell’ala Buffalo Bill, altri sono stati ricostruiti per dare unità al racconto sulla vita dello scout. Su alcuni schermi vengono proiettati spezzoni di film tratti essenzialmente dagli spettacoli del circo Wild West. Tutto questo serve a fornire un racconto unitario su un personaggio che da solo incarna l’epopea della Frontiera e tutti i miti che la circondano.

L’esposizione su Buffalo Bill non porta a sciogliere alcuni interrogativi che riguardano la sua vita. Da giovane fu veramente un pony express, uno di quegli infaticabili cavalieri che cavalcavano giornate intere per trasportare la posta fin nei remoti villaggi? Se è storicamente accertato che il nome Buffalo Bill divenne suo per sempre dopo la sfida a chi uccideva più bisonti in una gara di otto ore all’ultimo colpo con William Constock, è anche vero che da scout dell’esercito americano esibì lo scalpo di un indiano come trofeo? E la sua vita domestica fu tranquilla o attraversata da tempeste e burrasche matrimoniali? L’intera vita, dalla nascita nel 1846 alla morte nel 1917 è un romanzo eroico, ben lontano dal ritratto che Robert Altman ne fece in “Buffalo Bill e gli indiani” del 1976. Impersonato da Paul Newman, Buffalo Bill era un cinico mentitore, forte bevitore e molto bugiardo, pronto a reclutare Toro Seduto per glorificare se stesso nel circo Wild West. Quale sia la figura che prevale il risultato resta identico: Buffalo Bill rappresenta in ogni caso lo spirito del West e della Frontiera

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