Anche fra gli economisti ci sono i fondamentalisti. Quelli che credono in una ricetta unica per l'economia, qualunque sia la situazione del paese. L'Italia ne sta dando esempi continui.
Un fondamentalismo molto radicato da noi è ormai quello che recita: solo con le riforme si tornerà a crescere. È così che viene dileggiata qualsiasi proposta di intervento per rilanciare l'economia italiana, oggi affetta da uno spaventoso calo della domanda interna, se non è una riforma strutturale. Le riforme dovrebbero essere il toccasana che fa ripartire l'economia italiana, come un morto che si risveglia improvvisamente. L'esempio portato è quello della Germania che, con le riforme, oggi cresce in un'Europa ferma o in recessione. Ma, a parte il fatto che anche le Germania ormai è in recessione, si dimentica di dire che le riforme la Germania le ha fatte in un periodo di crescita dell'economia mondiale ed europea e che essa ha fortemente beneficiato delle esportazioni verso la stessa Europa che oggi sta in recessione. Non è che questa ricetta sia sbagliata in assoluto, al contrario. Le riforme per rendere più moderno il nostro Paese sono necessarie per una crescita sana e duratura nel medio termine.
DIFFICILE PERÒ AFFERMARE che le riforme possano far riprendere un'economia in recessione (o addirittura in depressione). Anzi, c'è il rischio che le riforme accentuino la recessione, dato che i loro effetti immediati sono spesso depressivi, mentre solo con il tempo esplicano la loro forza di crescita.
Altro fondamentalismo è quello di quanti affermano che, in questa situazione di depressione da calo della domanda interna, sia necessario ridurre le tasse finanziando tale riduzione con un severo e deciso taglio della spesa pubblica (Giavazzi e Alesina sul "Corriere della Sera" lo dicono un giorno sì e l'altro pure). Studi del Fondo monetario internazionale hanno mostrato quello che anche il buon senso suggerisce: in una situazione di depressione, con una ritrosia a spendere, la riduzione delle tasse ha pochi effetti positivi sulla crescita, posto che quanti ne beneficiano saranno indotti a risparmiare gran parte dell'eventuale maggior reddito disponibile derivante dal calo della tassazione. Meglio aumentare la spesa pubblica, in particolare quella per acquisti e quella per i più poveri e bisognosi, così da avere un vero sostegno alla domanda interna. Eventualmente si potrebbe anche pensare di aumentare le tasse per poter aumentare la spesa pubblica e sostenere così la domanda interna. Non che la tesi Giavazzi sia peregrina. È invece vero che, se si vuole veramente consolidare una riduzione del disavanzo pubblico e del debito pubblico nel medio e lungo termine, è molto più efficace un taglio della spesa pubblica che un incremento delle tasse. Ma questo non aiuta la ripresa nel breve termine, anche se può costruire le condizioni per una crescita più sostenuta a lungo termine.
INFINE UN FONDAMENTALISMO è anche quello di chi da noi chiede un aumento del disavanzo pubblico per rilanciare l'economia nel breve termine, forzando la mano all'Europa. Se questo fosse fatto senza un intervento di sostegno della Banca centrale europea ad acquistare i titoli pubblici italiani, l'Italia subirebbe un immediato aumento dei tassi di interesse, sicché tutto le sforzo per sostenere la ripresa sarebbe vanificato.
In queste condizioni, l'Italia ha una sola politica da seguire: mantenere il disavanzo pubblico entro il 3 per cento del Pil e sostenere la domanda interna con una maggiore spesa pubblica finanziata anche con un momentaneo aumento delle tasse. Per questo è giusta l'affermazione del ministro Fabrizio Saccomanni che ha lamentato la necessità di reperire 8 miliardi di euro "sprecati" per sospendere l'Imu sulla prima casa e per evitare l'aumento dell'Iva. Soldi che si sarebbero potuti spendere per sostenere i redditi dei meno abbienti e rilanciare così la domanda interna. Ma le esigenze della campagna elettorale passata (e di quella successiva ormai già in corso) hanno imposto di abbassare le tasse, quando l'economia avrebbe preteso ben altro. C'è ancora tempo per tornare indietro.