Rolex, Mercedes, superalcolici: in Cina vendite in calo per la campagna del nuovo capo. Che non durerà a lungo
Xi Jinping è il nuovo segretario del Partito comunista cinese solo da sei mesi. Agli occhi dell'opinione pubblica finora si è distinto soprattutto per aver lanciato una campagna di alto profilo contro la corruzione nella Pubblica amministrazione non appena assunto l'incarico. Nella rete dei controlli sono finiti molti funzionari governativi. In massima parte si tratta di "mosche", ossia di funzionari di basso livello, ma alcuni possono rientrare tra le "tigri", occupando i vertici della gerarchia cinese, dai vice ministri o vice governatori provinciali in su. Per vincere lo scetticismo dell'opinione pubblica cinese sulla campagna anti-mazzette e dimostrare che fa sul serio, Xi ha promesso che «schiaccerà le mosche e ucciderà le tigri».
I primi risultati indicano che il suo sforzo di fare pulizia sta producendo qualche effetto. Ad accusare il colpo sono soprattutto le vendite di beni di lusso e le società che offrono servizi di rappresentanza. Ad esempio la vendita di orologi svizzeri di fascia elevata, tipico regalo per i burocrati, sono scese del 25 per cento nei primi quattro mesi dell'anno.
Ormai i funzionari pubblici sono terrorizzati all'idea di poter apparire su Internet con un Rolex al polso. Stesso destino per le auto di lusso. La Mercedes-Benz ha dichiarato un calo delle vendite del 12 per cento sul mercato cinese nel primo trimestre 2013. Ma la crisi peggiore apparentemente colpisce gli alcolici di alto livello. Dopo che alla fine dello scorso anno la Commissione centrale militare ha emesso il divieto di bere durante i fine settimana (gli ufficiali delle forze armate cinesi sono grandi consumatori di baijiu, una bevanda alcolica estratta dal sorgo), i distillatori cinesi hanno perso quasi un terzo della loro quota di mercato. La Kweichow Moutai, produttrice del più famoso liquore cinese, ha recentemente dichiarato un calo dei profitti del 50 per cento nel primo trimestre di quest'anno. La Diageo, multinazionale attiva sul mercato cinese, vi ha registrato un calo delle vendite pari al 40 per cento nello stesso periodo. Tutto ciò dovrebbe far pensare che la lotta di Xi alla corruzione sia efficace quanto seria. Sfortunatamente è forse prematuro cantar vittoria.
Intanto lanciare una campagna contro la corruzione subito dopo una transizione al vertice è ormai prassi consolidata in seno al Pcc. Così facendo si centrano simultaneamente due obiettivi: il nuovo leader vede aumentare la propria popolarità e al contempo può sbarazzarsi di funzionari di dubbia lealtà. Il numero dei burocrati imputati di corruzione tipicamente si quadruplica nel primo anno successivo all'insediamento del nuovo governo. Ma una volta raggiunto il suo obiettivo politico il nuovo leader allenterà la stretta e, nel secondo anno del suo mandato, gli imputati di corruzione torneranno a essere circa 3 mila, come di norma.
Il motivo per cui in passato le campagne anti-corruzione hanno avuto vita breve non è difficile da indovinare. I burocrati cinesi non sono stupidi. La maggior parte di loro capisce che sfidare una leadership subito dopo una transizione equivale al suicidio politico. Quando Xi invoca l'austerity la maggioranza dei suoi sottoposti si mette in riga, smette temporaneamente di bere e posticipa l'accettazione di doni costosi. Va poi considerato che i burocrati del partito sono anche esseri umani, desiderosi di trarre benefici economici dal proprio potere. Rinunciare in permanenza ai benefici accessori all'incarico - e le mazzette senza dubbio vi rientrano - non è cosa che accettino di buon grado. Non appena si rendono conto che la nuova leadership ha raggiunto i suoi obiettivi politici e di conseguenza abbasserà la guardia, riprendono le loro attività corrotte.
Gli stessi vertici cinesi capiscono perfettamente di non potersi permettere di terrorizzare - ed alienarsi il favore - la maggioranza dei burocrati con una campagna anti-corruzione permanente (che dovrà comprendere un rafforzamento dello stato di diritto, concedendo la libertà di stampa e l'obbligo di rendere pubblici i redditi dei funzionari). I burocrati costituiscono la base del potere del partito, ne portano avanti le politiche e amministrano il Paese. Alcuni possono trovare motivazione negli avanzamenti di carriera, ma in gran parte debbono essere incentivati da privilegi extra. Poiché percepiscono una retribuzione nominale relativamente bassa pur considerando i benefici accessori, il regime, in circostanze normali, tollera che abbiano l'opportunità di lucrare sui privati.
Oggi le circostanze sono, ovviamente, tutt'altro che normali. Xi è furibondo per la corruzione dilagante all'interno del partito e delle forze armate. Evidentemente si rende conto che porterà il Paese alla rovina. Ma lottare contro la corruzione in uno Stato a partito unico non è impresa facile. Il problema di Xi non è scegliere tra "mosche" e "tigri" ma riuscire a frenare la corruzione senza indebolire fatalmente l'egemonia del partito.