Il consiglio dei ministri del 13 giugno varerà i 44 punti della riforma della PA. Che dovrebbero modificare stipendi e criteri di selezione dei manager pubblici. Ecco il loro identikit: poca mobilità, poca esperienza internazionale e una giungla retributiva che verrà semplificata. Ma in cui chi guadagna meno porta a casa 90 mila euro l'anno

Ministero dell'ambiente
La maggior parte di loro ha fatto carriera senza spostarsi dallo stesso palazzo. La scrivania si è mossa lungo il medesimo corridoio, o magari è salita di un piano. Sono laureati in assoluta prevalenza in legge e solo il 10 per cento ha un titolo post-laurea, mentre appena il 2 per cento ha un’esperienza internazionale. E’ un identikit spietato, quello dei 3 mila dirigenti ministeriali, tracciato dall’Università Bocconi.

Definire quasi nullo il rischio di perdere il lavoro, vuol dire già approssimare per eccesso: negli ultimi sei anni soltanto un dirigente è stato licenziato. “La mobilità è ridotta a livelli minimi e l’unica tentazione è cercare di dirigersi verso il ministero della Salute e la Presidenza del Consiglio, dove si guadagna di più - commenta amaramente Giovanni Valotti, che della Bocconi è Prorettore, oltre che docente di Management pubblico – Inutile dire che questo blocco danneggia i giovani, perché non si liberano mai nuove posizioni”.

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Ecco quanto guadagnano i manager pubblici
10/6/2014

Gli unici dati positivi, nello studio “I manager pubblici che vogliamo”, realizzato da Valotti assieme a Nicola Bellè e corredato di dati e tabelle della Ragioneria generale dello Stato, riguardano il loro ridimensionamento numerico: i dirigenti ministeriali erano infatti 3.447 nel 2007 e i pensionamenti li hanno ridotti nel 2012 a quota 2.824. E’ calata nello stesso periodo l’età media, da 54 a 52 anni e, terzo fattore positivo, stanno aumentando le donne, passate in sei anni dal 35 al 43 per cento in generale e dal 25 al 35 per cento nell’ambito più ristretto dei dirigenti di prima fascia, i 400 più pagati dei ministeri, che non retrocedono mai in seconda.


Chissà quanto conterà questa fotografia, a una settimana dal famoso Consiglio dei ministri del 13 giugno che varerà i 44 punti della riforma della pubblica amministrazione, investiti da 40 mila email di suggerimenti e proposte. Di certo la distinzione in fasce sparirà, con il ritorno al ruolo unico, mentre era stata preannunciata dal ministro Madia la possibilità di licenziare un dirigente rimasto a lungo senza incarico.

Dal 1 maggio è poi in vigore il tetto di retribuzione a 240 mila euro, che non vale solo per i dirigenti dello Stato, ma per l’intero complesso della pubblica amministrazione. “Per cambiare ci vogliono norme semplici – suggerisce Valotti – L’attuale giungla retributiva dovrebbe essere ricondotta a tre fasce di guadagni. I dirigenti “top”, con 240 mila euro di tetto, i “middle” con 180 mila euro e i “junior” a 90 mila. Ogni incarico dovrà durare non più di due o tre anni. Di qui al 2020 dovremo cambiare il 40 per cento degli attuali dirigenti con volti nuovi e giovani, e almeno la metà di loro dovrà avere una specializzazione post laurea, almeno la metà un’esperienza internazionale e almeno la metà un’esperienza in più di un ministero”.

A proposito di retribuzioni, appare inspiegabile la disomogeneità di trattamento fra un ministero e l’altro. Facendo la media dei compensi lordi dei dirigenti di prima e seconda fascia, il posto di lavoro più appetibile è la Presidenza del Consiglio, con 130 mila euro, seguito dal ministero della Salute con 122 mila euro e dalle Politiche forestali con 108. In fondo alla scala c’è invece la Giustizia con 80 mila euro lordi in media, l’Interno con 85 e gli Esteri con 91 mila euro. Se invece ci si riferisce ai dirigenti di prima fascia, secondo i dati della Ragioneria aggiornati al 2012, balza in testa il ministero della Salute con 243 mila euro, seguito dalle Politiche Agricole con 204 mila, mentre Tutela del Territorio e Giustizia sono appaiati a 203 mila. In coda i Beni culturali, con 156 mila, un dato sintomatico della scala di valori del nostro paese.

Dovranno cambiare i criteri di assunzione dei dirigenti. Il concorso basato su criteri cultural-nozionistici non potrà più bastare. Sarà anche necessaria un’abilitazione di tipo pratico successiva: la Bocconi suggerisce di copiare il sistema di assunzioni dell’Unione europea, messo in atto dall'European Personnel Selection Office. Ma si dovranno cambiare i criteri di valutazione dei dirigenti, che oggi fanno sorridere: oltre il 90 per cento è collocato sui livelli di giudizio più elevati e nelle varie amministrazioni praticamente tutti hanno la medesima retribuzione di risultato. “Occorre poi rivedere drasticamente la disciplina del danno erariale – conclude Giovanni Valotti – che porta i dirigenti ad avere un rispetto maniacale delle procedure perché è su quelle che si valutano le responsabilità, frenando invece l’impegno a conseguire obiettivi concreti di miglioramento della macchina amministrativa”. Un progetto ambizioso, per mettere la burocrazia al servizio dello sviluppo. Che incontrerà, facile prevederlo, una muraglia di resistenze corporative.