Per la prima volta il racconto e le immagini delle missioni dell'Aeronautica sui territori controllati dal Daesh. Per individuare le postazioni dei guerrieri dell'Is. E raccogliere informazioni sul potere dello Stato Islamico in Iraq

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I posti di blocco dei miliziani, dominati da gigantesche bandiere nere, che controllano le strade dell'Iraq settentrionale. Le officine in cui preparano le loro armi. Le installazioni petrolifere che finanziano le attività terroristiche. L'addestramento dei combattenti e i bambini fatti marciare con il fucile sulla spalla.

È la vita quotidiana del Califfato, ripresa da 4mila metri d'altezza dai droni italiani che tutti i giorni sorvolano lo Stato islamico. “L'Espresso” nel numero di coeprtina in edicola da venerdì 11 dicembre, e già online su Espresso+, è in grado per la prima volta di descrivere il contributo più importante del nostro paese alla guerra contro il Daesh.

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Un contributo molto apprezzato dagli alleati, perché la nostra Aeronautica dopo quella americana ha la maggiore esperienza nella gestione di questi strumenti. Dal 2004 li abbiamo schierati in Iraq, Afghanistan, Libia, Corno d'Africa: abbiamo accumulato 24.500 ore di ricognizioni, come se fossero rimasti in volo per mille giorni di fila.
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Questi velivoli spia non sono robot, ma sono “aerei a pilotaggio remoto”: dietro ogni mossa ci sono persone, con la loro esperienza e la loro sensibilità. Ed è in questo che gli italiani fanno la differenza. I nostri sono piloti veri, veterani che hanno guidato ogni genere di aereo o elicottero prima di passare a questo incarico.
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«Quell'effetto di spersonalizzazione descritto tante volte parlando di droni non ci riguarda. Anche se rimaniamo a distanze di centinaia o migliaia di chilometri, per noi è come stare lassù; “sentiamo” il volo. E sappiamo cosa significa essere in una zona di guerra», spiega il comandante del reparto dell'Aeronautica basato ad Amendola (Foggia) che ha schierato una squadriglia di Predator a Kuwait City.
La copertina dell'Espresso

Oggi il cielo del Califfato è presidiato da decine di bombardieri che però faticano a trovare bersagli da colpire. Quasi sempre i jet occidentali tornano indietro senza attaccare nulla. E le immagini dei Predator tricolori spiegano perché. In ore di volo non si vedono postazioni militari, non si notano cannoni o carri armati.

Finora gli obiettivi distrutti dalla Coalizione anti-Daesh sono oltre diecimila tra “edifici”, “postazioni di combattenti”, “zone di accampamento”. Case, cortili, tende identiche ad altre migliaia. «Non basta vederle, bisogna capirle. Riuscire a individuare dove si concentrano gli uomini armati, dove convergono i movimenti sospetti di auto e pickup», spiega a “l'Espresso” uno dei nostri militari.

Una delle missioni affidate all'Aeronautica è proprio ricostruire “i modelli di vita”: serve ad esempio per capire quali villaggi hanno aderito allo Stato islamico spontaneamente e quali invece siano controllati militarmente, il funzionamento di scuole o di uffici pubblici, quali moschee richiamano più fedeli. Serve per decifrare la forza del Califfato.

Le ricognizioni dei Predator contribuiscono anche agli attacchi, condotti dai caccia di altre nazioni. I filmati mostrano un check point con i miliziani che bloccano le auto, poi distrutto da una bomba a guida laser. O l'installazione petrolifera nel deserto, con i pozzi e i capannoni dove si caricano le autobotti, rasa al suolo da una pioggia di missili.
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Ma le scene più sorprendenti sono quelle che mostrano l'addestramento dei guerrieri, che avviene tra le case mentre le vita scorre normale. I droni hanno seguito anche la marcia di un bambino, con un fucile più grande di lui, fatto sfilare nelle strade di una cittadina.

L'inchiesta integrale sull'Espresso in edicola da venerdì 11 dicembre e online su E+