Lo storico Gabriele D'Ottavio spiega in un libro il successo della Cancelliera. E svela qual è il segreto che l'ha resa una delle donne più potenti al mondo. Fino agli ultimi eventi: la crisi dei profughi siriani e il caso Volkswagen

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Angela Merkel è uno dei capi di governo più longevi nella storia della Repubblica federale tedesca. Leader del Partito Cristiano-Democratico (Cdu) è diventata Cancelliera nel 2005. Da allora è stata sempre riconfermata e nel 2014 è stata dichiarata il politico più amato di sempre dai tedeschi.

La sua affermazione politica è avvenuta all’ombra della crisi europea iniziata nel 2008, la più grave dal 1929 e, in parte, ne è stata condizionata. Sullo sfondo di un’apparente stabilità, la Germania sta attraversando una fase di importanti cambiamenti che potrebbero avere implicazioni sia sul funzionamento del suo sistema politico, sia sul ruolo del Paese in Europa e nel mondo. E' partendo da questo punto di vista che Gabriele d'Ottavio, insieme a Thomas Saalfeld, ha analizzato la situazione tedesca nel saggio  “La Germania della Cancelliera” (Il Mulino). D'Ottavio è ricercatore presso l'Istituto Storico Italo-Germanico e professore di Storia internazionale all'Università di Trento. Nel suo libro parla della Cancelliera come di una persona estremamente abile  e preparata, che ha saputo fare carriera politica alle spalle dei suoi predecessori. Per poi superarli e prenderne il posto. E racconta di come la Germania stia progressivamente assumendo un ruolo di forza nell'Unione europea.

Dottor D'Ottavio Angela Merkel viene spesso definita come una delle donne più influenti del mondo. Al contempo, però, viene descritta come una persona non dotata di un particolare carisma. A cosa è dovuta questa sua forza?
«Angela Merkel è un personaggio di rottura rispetto alla politica tradizionale tedesca ed europea. Innanzitutto perché è la prima leader e Cancelliera donna. Poi perché non è nata politicamente nelle gerarchie di partito ma viene da un percorso accademico (è una ricercatrice di fisica). Infine perché proviene dalla Germania dell'Est. La sua affermazione politica coincide con il percorso di riunificazione del Paese. Helmut Kohl la elesse a sua delfina proprio perché voleva lanciare un importante segnale simbolico: che anche le donne e le persone della ex Germania dell'Est potevano avere un ruolo politico determinante. Fu un'operazione mediatica vincente, che portò la giovane Merkel ad assumere cariche governative di primo piano (fu Ministro della gioventù e dell'ambiente) e che la fece identificare dall'opinione pubblica come un personaggio di estrema rottura e innovazione».
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Tanto che nel 2000 divenne la leader della Cdu.
«Lo fece scaricando il suo predecessore Kohl, dal quale prese pubblicamente le distanze con un articolo pubblicato sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung in cui si dissociava dagli scandali che avevano coinvolto Kohl (era accusato in quei mesi di appropriazione illecita di fondi pubblici ndr). Da quel momento si mise alla testa del partito promettendo di rinnovarlo, ma in realtà la sua azione politica fu ed è tuttora di continuità rispetto a quella tradizionale tedesca: mette sempre al primo posto la sicurezza dei propri cittadini. Al contempo però la sua popolarità è cresciuta molto perché, pur non essendo dotata di grande carisma e avendo delle evidenti lacune comunicative, ha costruito il suo personaggio sulla competenza e l'autorevolezza. Queste due caratteristiche sono fondamentali nella società tedesca. Per ovvie ragioni storiche i tedeschi hanno sviluppato una forte avversione nei confronti dei demagoghi. L'immagine pacata e professionale della Merkel ha infuso in loro un senso di fiducia che le ha permesso di esercitare una grande leadership interna e di dettare le linee politiche sia del suo partito che di tutta la vita politica nazionale».
Gabriele D'Ottavio

Quella della leadership tedesca è una questione molto sentita sia internamente che a livello europeo. Come mai?
«La Germania è già stata un leader internazionale nel passato e ciò ha assunto i connotati estremamente negativi che tutti conoscono. Di conseguenza i tedeschi sono molto restii ad assumere responsabilità politiche sullo scacchiere europeo e mondiale. Spesso sentiamo parlare di egemonia tedesca in Europa, quando in realtà la storia della Germania degli ultimi sessant'anni è una storia di fuga da questa etichetta. La stessa parola 'leadership' in lingua tedesca si traduce con 'Fuehrerschaft', termine che evoca immagini alle quali i tedeschi non vogliono più essere associati».

La tanto dibattuta questione della leadership tedesca in Europa è dunque legata a doppio filo alla storia della Germania.
«Certamente. Dopo il 1945 la Germania è stata oggetto di un'operazione politica e culturale di rielaborazione del proprio passato che ha portato al terrore di assumere un ruolo egemone in Europa. Nell'opinione pubblica tedesca c'è il rifiuto. Per questo oggi la leadership tedesca è quasi sempre limitata a fattispecie economiche e non politiche. La Germania detta la linea economica della Ue (lo vediamo nel caso dei negoziati con la Grecia) , ma rifiuta di occuparsi di sicurezza e politica estera (come si vede nella questione ucraina). Forse però stiamo intravedendo la fine di questa fase storica. Con la crisi la Germania potrebbe dovere o quasi essere costretta ad assumersi delle responsabilità politiche maggiori».
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Quali sono i segnali in questo senso?
«Ci sono tre episodi significativi. Innanzitutto il negoziato del primo pacchetto di aiuti alla Grecia nel 2010: in quel caso si trattava di una questione economica in cui il Paese economicamente più virtuoso, cioè la Germania, ha dettato la sua linea, cioè quella dell'austerità. Cosa che comportò delle forti reazioni anti-tedesche in tutto il continente. Il secondo episodio è stata la trattativa per il terzo pacchetto di aiuti alla Grecia avvenuto la scorsa estate, che vedeva Merkel e Schaeuble discutere con Tsipras e Varoufakis. Come nel 2010 i tedeschi hanno imposto la loro linea, ma a differenza di allora essi hanno riscontato l'appoggio di tutti i governi europei, anche di coloro come Italia, Spagna e Portogallo la cui situazione è più simile a quella di Atene che di Berlino. Ciò mostra come in Europa sia maggiormente accettata l'idea che sia giusto che la Germania detti le linee guida. L'ultimo è stato l'annuncio della Merkel di aprire le frontiere ai profughi siriani».

Che effetto ha avuto quest'ultima decisione al livello internazionale?
«Il guadagno di popolarità lo abbiamo visto bene in Italia, dove fino al giorno prima la Germania veniva rappresentata come un paese egoista, attento ai suoi interessi economici e sordo alle istanze degli altri Paesi. D’un tratto Angela Merkel non era più la "Cancelliera di ferro", ma l’erede della Germania cosmopolita figlia di Kant. In effetti, con questa mossa a sorpresa la Germania si è proposta come riferimento per gli altri Paesi membri dell’Unione europea, candidandosi all’esercizio di un ruolo di leadership anche sul piano politico e morale. Il terreno però è scivoloso e a lungo andare la questione dell’emergenza profughi potrebbe soffiare sul fuoco del nazionalismo e della xenofobia. Già di fronte alle prime resistenze dei Bundesländer (le autonomie locali ndr) il governo tedesco ha dovuto correggere il tiro. Più importante della deroga alla cosiddetta norma di Dublino per i profughi siriani è stata la richiesta di Berlino di aggiornare la mappa dei Paesi "sicuri" nei Balcani per gestire l’emergenza dando priorità a quei richiedenti asilo che fuggono da situazioni più critiche dal punto di vista delle violazioni dei diritti umani e delle persecuzioni».

Cosa possiamo aspettarci dunque per il futuro?
«La Germania potrebbe trasformare il suo potere negoziale in una leadership politica in Europa dalla quale fino ad oggi è fuggita. Si tratterebbe di un inedito protagonismo tedesco che confermerebbe un nuovo corso nella politica estera tedesca post 1945, di cui la Merkel potrebbe essere l'artefice. Non c'è da sottovalutare però l'effetto opposto che si verificherebbe in due casi. In primis in caso di grossi scandali, come la truffa della Volkswagen. Il fatto che ciò sia stato smascherato negli Stati Uniti, cioè fuori dai confini nazionali, ha sicuramente danneggiato l'immagine internazionale della Germania. Secondo quanto ha riportato "Die Welt" sembrerebbe che il governo tedesco non fosse del tutto all'oscuro del malfunzionamento dei test sulle emissioni delle auto tedesche. Tuttavia, ritengo che sia ancora presto per fare delle valutazioni sulle possibili implicazioni politiche della vicenda. Aspettiamo che la commissione d'inchiesta incaricata chiarisca tutto "nella massima trasparenza", come è stato chiesto dalla Cancelliera tedesca.
Il rischio più concreto per la Merkel si verificherebbe se la situazione economica cambiasse. In tal caso la Germania dovrebbe rivalutare la propria forza. L'economia tedesca deve una parte importante del suo successo all'esportazione verso la Cina, se dunque lo scoppio della bolla cinese avvenuto la scora estate si trasformasse in una crisi più profonda non è da escludere che i movimenti euroscettici e anti-sistema, che in Germania già esistono ma sono marginali, prendano pesantemente piede. E mettano fine agli anticorpi anti-demagogici che i tedeschi hanno dal 1945».