La richiesta di rito immediato è nelle mani di una Gip che si è sempre tenuta lontana dai riflettori e dalle polemiche. Si chiama Cristina Di Censo, ha 44 anni e in passato ha preso diverse decisioni importanti: su Formigoni, don Verzé e Massimo Tartaglia

Poco più di un anno fa si è trovata di fronte Massimo Tartaglia, il quarantenne con problemi psichici che aveva lanciato in faccia a Silvio Berlusconi una statuina del Duomo di Milano. E come prima cosa, ha deciso di tenerlo in carcere, perché fuori avrebbe potuto essere di nuovo pericoloso. Poi lo ha rinviato a giudizio per lesioni gravi.

Ora la gip del tribunale di Milano Cristina Di Censo riceve sulla scrivania un'altra pratica che ha a che fare con il Cavaliere, questa volta in veste non di vittima, ma di indagato per concussione e prostituzione minorile. Sarà lei a decidere, probabilmente entro la settimana, se il presidente del consiglio dovrà essere processato o meno con rito immediato, come richiesto dalla Procura.

Un giudice donna, dunque, che ha lavorato in silenzio e senza esporsi su inchieste delicate, spesso con importanti risvolti politici.

Nata a Piombino (Livorno) 44 anni fa, prima di approdare all'ufficio gip di Milano Cristina Di Censo ha lavorato alla Procura di Busto Arsizio, in provincia di Varese, dove tra l'altro ha fatto parte del collegio di corte d'Assise che ha condannato le celebri «bestie di Satana», cinque giovani giudicati colpevoli di tre omicidi commessi per «frustrazione», secondo le motivazioni della sentenza.

Nella culla della Lega, nel 1998 ha invece assolto sette persone che a Saronno avevano dato vita a una «ronda padana» e avevano bloccato due ladri d'auto, beccandosi così un'accusa di usurpazione di funzione pubblica. L'anno dopo è don Luigi Verzè, fondatore dell'ospedale San Raffaele e grande amico di Berlusconi, a uscire indenne da un processo che lo vedeva imputato di ricoveri non autorizzati dalla Regione per la sperimentazione dell'Urod, un farmaco disintossicante antidroga.

Nel 2007, il trasferimento a Milano e il primo caso importante nel suo nuovo ufficio: il rinvio a giudizio per aggiotaggio del patron della Lazio Claudio Lotito e del costruttore capitolino Roberto Mezzaroma.

Sono diversi i potenti su cui la Di Censo si pronuncia, per i motivi più vari. Nel 2008 archivia una querela di Fabrizio Del Noce contro Claudia Mori: sul “Corriere della Sera”, la cantante aveva accusato il direttore di Raiuno di fare un «uso privato della tv pubblica». Niente più che un «intangibile diritto di critica», sentenzia il gip, per di più basato su «fatti precisi e pertinenti».

Anche Roberto Formigoni ha avuto modo di attendere con apprensione alle sue decisioni, che poi gli sono risultate favorevoli. Nel 2010, infatti, il giudice Di Censo ha archiviato gli esposti dei Radicali che denunciavano irregolarità nella raccolta delle firme per la lista del neo-rieletto governatore. Un caso politico-giudiziario incandescente, dove l'«eterno» Formigoni rischiava seriamente di dover tornare a casa.

Intanto, nell'ufficio della gip toscana passano i fascicoli di importanti fatti di cronaca. Nel novembre 2010, Cristina Di Censo dà il via libera al sequestro di un grande cantiere in zona Bisceglie a Milano, 300 mila metri quadri di edilizia residenziale che stava venendo su, secondo la Procura, in un terreno inquinato da due milioni di metri cubi di rifiuti tossici mai bonificati.

E ancora, in veste di gup, è lei che condanna a 16 anni di reclusione Oscar Guerrero Herrera: nel febbraio 2010 aveva ucciso un giovane egiziano, scatenando una violenta rivolta «etnica» in viale Padova, nella periferia della città. Proprio ieri sono state rese note le motivazioni della sentenza: quell'omicidio non è stato una scintilla di rabbia, ma il frutto di uno scontro tra bande di «cittadini extracomunitari», interessate a «marcare il territorio».

Difficile, insomma, affibbiare un'etichetta politica, e men che meno «rossa», al giudice che a giorni si pronuncerà sul presidente del consiglio. Le cronache non riportano sue dichiarazioni, né prese di posizione di alcun genere. Il Gip Caterina Di Censo ha scelto il silenzio, anche quella mattina dell'agosto 2010 in cui scoprì che qualcuno, mai identificato, era penetrato nel suo ufficio e in quelli di altri colleghi alla ricerca di carte su un'indagine allora sconosciuta al pubblico: il «caso Ruby».

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