In ogni società si ride come si sa, e come si può. Prendiamo il caso di "Che bella giornata". In un mese ha incassato 30 milioni di euro, anzi 40, anzi... Qualunque sia la cifra, quel che conta è l'entusiasmo del pubblico. E la critica s'è uniformata: pare si tratti di un capolavoro comico, e addirittura della rinascita della commedia all'italiana. A prescindere, direbbe Totò. Ossia, lasciamo perdere il malvezzo di annunciare ogni paio d'anni la resurrezione della commedia all'italiana, e restiamo al tema di fondo.
Come fa ridere, il film di Checco Zalone? La nostra curiosità potrebbe esser più netta: fa davvero ridere? Ma la evitiamo, questa domanda radicale. Intanto, vale il fatto - testardo come tutti i fatti - che in giro per il Paese ci sono più di 800 sale colme di spettatori che ridono. Gli altri si mettano il cuore in pace. Sono minoranza. A loro conforto valga il principio per cui non c'è maggioranza che possa sancire leggi e doveri della risata. Ma vale anche il principio contrario: non c'è minoranza che possa arrogarsi il diritto di rieducare al riso chicche e sia, per dirla di nuovo con Sua Maestà Imperiale Antonio de Curtis. Per fortuna, ognuno sorride o si sganascia come crede, e come riesce.
Torniamo dunque al come del mestiere di Checco Zalone. Il quale Checco Zalone è il più cauto fra i propri stessi estimatori. Ho fatto un film di intrattenimento, niente di più, dice. Gli entusiasmi, continua, sono esagerati "rispetto all'operato". E poi giura che scomparirà per tre anni dalla scena, per non inflazionarsi. Quanto alla televisione, anche da quella starà lontano (salvo ripensamenti). Parole sagge, soprattutto quelle relative alla televisione. Parte da lì, da "Zelig", il suo successo. Lì sta il capitale di simpatia che ha investito nei suoi film. Lì stanno la sua mimica, il suo uso del dialetto, la sua ostentata volgarità (di cui c'è traccia nella canzone che chiude "Che bella giornata": "... l'amore è quando ti viene grosso, grosso... il cuore"). E lì, in televisione, sta la misura del suo mestiere: la sua tipicità.
Non è un attore, Checco Zalone, ma una maschera. Che lo sia non è di per sé un difetto. Di maschere è piena la nostra tradizione comica, anche cinematografica. Maschera era Totò. Maschera era Peppino De Filippo. Maschera era Alberto Sordi. E però tutti e tre erano anche ottimi attori. Lo erano diventati respirando polvere di palcoscenico, come ai loro tempi si usava dire, con orgoglio. Essendo grandi attori, sfuggivano al pericolo di ridursi a figurine stereotipate e a macchiette dialettali. Totò e Peppino erano napoletani, ma non facevano i napoletani (con l'eccezione del Pappagone di Peppino, non a caso televisivo). La loro comicità oltrepassava il dialetto e la cadenza. E Sordi? Lo era o lo faceva, il romano? A noi pare che il Sordi grande fosse quello degli anni Cinquanta e Sessanta, quando la sua romanità non si adagiava nello stereotipo e nella tipicità, ma aveva il coraggio di passare la cinta daziaria della sua città, arrivando fin nel cuore dei difetti (e dei pregi) d'una intera nazione. Valga fra tutti il Nando Moriconi di "Un giorno in pretura" e di "Un americano a Roma". Nonostante la sua parlata, era tutti noi, che fossimo di Como o che fossimo di Catanzaro. Era la miseria e insieme la speranza d'un Paese. Era la sua gagliofferia, ma anche la sua immagine d'un futuro, un'immagine ancora non netta, eppure forte. Ne ridevano, i nostri padri, ma come si ride d'un sogno sognato insieme.
A Nando Moriconi qualcuno ha paragonato il Checco Zalone di "Che bella giornata". Se davvero è lui, il nuovo Nando, allora se ne deve concludere che a ben misera cosa s'è ridotta la nostra immagine di noi stessi e del nostro futuro, sogno o incubo che sia. D'altra parte, non si può rimproverare alla maschera - a Checco Zalone - la pochezza di chi in essa si rispecchia. Alla maschera, semmai, si deve rimproverare di non saper elaborare questa pochezza, di non saperle dare ali, per quanto paradossali. Insomma, Nando-Checco non è niente più che uno stereotipo: quello d'un "pugliese" tipico del tutto scontato, sullo sfondo d'un mondo di "milanesi" altrettanto tipici e scontati. È vecchio, vecchio, vecchio, questo Nando-Checco. Viene dai cascami di un immaginario molto più vicino ai repertori di barzellette regionali che a "Un americano a Roma". Ed è molto più televisivo che cinematografico.
Nei suoi punti più alti, "Che bella giornata" è cabaret. In quelli più bassi è fiction. In ogni caso, la sua sceneggiatura ben poco sa della verosimiglianza (per quanto comica) del racconto. I suoi personaggi - terroristi islamici, belle figliole, carabinieri, vescovi, preti, volontari in Iraq - son ficcati nella storia a viva forza. Non sono personaggi, alla fine: sono macchiette.
E non accadeva lo stesso nei film di Totò? L'obiezione sembra facile. Ma ancor più facile è la risposta. Erano certo brutti film, i suoi. Meglio ancora, nei film "belli" era imprigionato, ridotto, immiserito. Una macchina da presa era tutto quello che gli serviva: una macchina da presa messa a testimoniare la sua grandezza. Non gli occorreva una storia, non gli occorrevano personaggi. Aveva già la sua vitalità esplosiva e debordante come fuochi d'artificio. Aveva la sua passione per l'assurdo, per il capovolgimento improvviso, per il non senso. Aveva il suo corpo spigoloso, meccanico, da Pinocchio e burattino. La sua comicità faceva esplodere parole e situazioni. Era disordine che mandava a gambe all'aria ogni pretesa di ordine, ogni prosopopea da onorevole Trombetta. Era lampi e luci di improvvisa, dolcissima perfidia. Come Totò oggi c'è solo Roberto Benigni, un burattino e un Pinocchio che è sempre più grande dei suoi film. "Contrabbandieri senza licenza", così Benigni chiama i comici, quelli grandi. E aggiunge che questi sovversivi hanno il potere più forte, il potere di far ridere, ma anche piangere: "Non li si può imprigionare. Non c'è verso di tenerli buoni".
Per gli altri, per chi non abbia gli stessi doni e la stessa grazia, a contare dovrebbero invece essere le storie, i personaggi, la coerenza narrativa. E Checco Zalone è tra gli altri. La sua sovversione comica, appunto, non va mai oltre quella cosa misera che da troppo tempo la pigrizia conformistica dei più chiama "politicamente scorretto". Non c'è perfidia, né dolce né amara, in "Che bella giornata". Non c'è capovolgimento. Non c'è assurdo. Ci sono invece buoni sentimenti, qua e là anche patetici, per quanto camuffati e nascosti al di sotto di battute "tipiche" che han l'aria di venire da qualche innocuo sketch televisivo. Insomma, si tiene buono da sé, il mansueto Checco Zalone. E chissà, forse è per questo che (tele)spettatori e (tele)spettatrici ridono a milioni. Approfittano di una comicità da "contrabbandieri con tanto di licenza", di una comicità confortante e che non fa male a niente e a nessuno. Per dirla tutta, e visti i tempi, ognuno ride come sa, e come riesce.
Attualità
4 febbraio, 2011Il suo "Che bella giornata" sta sbancando i botteghini e fa parlare di rinascita della commedia all'italiana. Ma Checco è soprattutto un fenomeno televisivo. Più che un comico una maschera. Come il principe de Curtis, Sordi e Peppino De Filippo. Che però erano anche grandi attori
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