Il tesoro della criminalità organizzata confiscato all'estero vale almeno 120 milioni di euro. Per un accordo europeo, potrebbe arrivare allo Stato italiano. Che però non riesce a riscuoterlo, per la pigrizia e l'inerzia della politica

Pizzerie in Germania, conti correnti in Svizzera, aziende in Spagna e beni immobili in Gran Bretagna. Vale almeno 120 milioni di euro il tesoro delle mafie italiane già confiscato all'estero. Soldi incassabili dal nostro Paese con una manovra a costo zero per i contribuenti. Basterebbe che il Parlamento si sbrigasse a recepire due norme vitali, cioè le decisioni quadro Ue che riguardano la confisca e il sequestro dei beni mafiosi fuori dai confini nazionali. Una manovra che andrebbe a tutto vantaggio dell'Italia, visto che la nostra criminalità organizzata è la più ricca e potente di tutto il Continente.

Il meccanismo è elementare: gli accordi europei prevedono che uno Stato membro possa eseguire nel suo territorio un sequestro emesso da un'autorità giudiziaria di un altro Stato membro. E nel caso il sequestro sia poi confermato con decisione di confisca, è prevista l'immediata esecuzione. Il tutto, però, dipende dal principio di reciproco riconoscimento, il che significa che se uno Stato non inserisce la normativa nella sua legislazione, non se ne fa niente. Ed è proprio quello che sta accadendo: da tre anni, infatti, l'Italia è chiamata a recepire queste normative e non lo fa.

Il problema insomma non nasce oggi. Già Prodi, nel 2008, aveva provato a far recepire la decisione quadro, ma tutto è saltato con la fine anticipata della legislatura. Poi è stata la volta di Berlusconi, che ha promesso di provvedere senza poi mantenere la parola. Anche perché lo schema del decreto è stato presentato alle commissioni competenti il 28 luglio del 2010, appena prima della chiusura estiva del Parlamento. E così, assieme ai parlamentari, sono andati in vacanza anche i buoni propositi. E al ritorno dalla pausa estiva, la vicenda è finita nel dimenticatoio per mesi.

A sollecitare l'urgenza della situazione è stata un anno fa la parlamentare Laura Garavini, capogruppo Pd in Commissione Antimafia, che da anni vive in Germania. «Questa situazione è inaccettabile: oltre a favorire le mafie, danneggia l'economia sana e l'immagine dell'Italia», ha spiegato presentando un'interpellanza urgente all'allora ministro della Giustizia Angelino Alfano e a quello delle Politiche europee Andrea Ronchi. A quel punto l'allora sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo ha promesso di inserire la questione nella legge comunitaria del 2010. Salvo poi, per l'ennesima volta, trascurare il solito essenziale impegno.

E' un peccato perché nel 2009 il Parlamento tedesco ha recepito la decisione quadro Ue sulle confisce, e quindi i beni dei mafiosi italiani in Germania potrebbero passare subito al nostro Stato. Nella Bassa Sassonia, ad esempio, sono ancora bloccati per il ritardo dell'Italia due pizzerie valutate 490 mila euro, che appartengono alla nostra mafia in trasferta e sono già state raggiunte da un ordine di confisca.

Ma non è finita. Un ulteriore guaio è costituito dal fatto che lo Stato italiano non ha recepito neppure la decisione quadro che riguarda, ancor prima della confisca, i sequestri (2003/577). Una condizione che obbliga i tribunali a trasmettere una richiesta di rogatoria internazionale al ministero di giustizia straniero per l'esecuzione. Una procedura che rallenta il blocco dei beni in fase processsuale, oltre a non metterli al sicuro.

Esemplare, in questo senso, è il seguestro del 30 marzo 2011di due aziende Spagna per un valore di oltre tre milioni di euro. Si tratta della "Industria siciliana oleicola y alimentaira" con sede a Martos, e la "Aceites San Francesco" con sede ad Alcalà La Real. Il propietario era Diego Agrò. La Direzione investigativa di Palermo gli ha sequestrato beni per 64 milioni di euro, di cui appunto ua parte in Andalusia. Per bloccare i quali il Tribunale di Agrigento è dovuto ricorrere a una richiesta di rogatoria internazionale, rendendo l'intero procedimento più rischioso e lento. Inoltre, anche qualora il sequestro fosse confermato con la decisione di confisca, il problema rimarrebbe, visto che l'Italia non ha rispettato le direttive UE, come invece ha fatto la Spagna.

«Abbiamo più volte presentato al governo l'emendamento per applicare anche in Italia le norme già attive in Europa. In questi giorni potremmo finalmente raggiungere questo importante obiettivo per la lotta alle mafie anche fuori dai confini nazionali» spiega Laura Garavini. Un gruzzolo di 120 milioni per le casse pubbliche, senza contare le confische a venire, di questi tempi non è pochissimo.

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