L'otto per mille è un tesoro da quasi un miliardo e 150 milioni di euro: più firme conquisti, più soldi incassi. Una gara di consensi che si rinnova ogni dodici mesi e che richiede investimenti per poter essere vinta. E il "concorrente" che solo nell'ultimo anno ha incassato l'85% dei fondi è non a caso l'unico che investe pesantemente in pubblicità e promozione: la Chiesa Cattolica.
La Conferenza Episcopale Italiana, che raccoglie e gestisce i soldi cattolici dell'otto per mille, ha costruito un vero e proprio stile di comunicazione con le pubblicità che tra aprile e maggio vengono trasmesse su radio e tv. Storie toccanti che parlano solo di carità e opere sociali (a cui la Chiesa destina solo una parte minoritaria dei suoi fondi), colonne sonore d'autore firmate dal premio oscar Ennio Morricone e agenzie tra le più gettonate hanno confezionato messaggi in grado di commuovere anche i non praticanti e sollecitarli a scrivere "Chiesa Cattolica" nel modello della dichiarazione dei redditi.
Ma queste piccole perle di marketing hanno un prezzo . Anche se la spesa in investimenti pubblicitari non è presente nei rendiconti contabili, sul sito allestito dalla Cei alla sezione "Domande e risposte", viene chiarito che "si investono circa 9 milioni di euro l'anno, con una incidenza media pari a meno del 1% dei fondi raccolti (circa 990 milioni di euro). Questo sforzo significativo è necessario per sensibilizzare e tenere puntualmente informati gli oltre 40 milioni di contribuenti".
Una cifra che può sembrare minima, ma che va contestualizzata e confrontata con quelle degli altri culti che cercano di conquistarsi la propria fetta di otto per mille. E i budget pubblicitari della Chiesa Cattolica risultano irraggiungibili per tutti. Basti ricordare che avventisti e luterani incassano in totale meno di 3 milioni di euro l'anno, le assemblee di Dio meno di un milione, le comunità ebraiche circa 4 milioni e i valdesi poco più di 10 milioni di euro: per un martellamento paragonabile a quello cattolico alcuni culti dovrebbero accantonare anni di otto per mille e investirli integralmente in pubblicità.
Se la Chiesa Cattolica è un caso unico per mole di investimento, le altre chiese non mancano di versare qualcosa dei loro bilanci nella promozione. Dai rendiconti si scopre che a spendere di più sono i Valdesi, che nel 2010 hanno investito oltre mezzo milione in pubblicità (circa il 5% dei loro fondi), seguiti a lunga distanza dagli Avventisti con poco più di 50 mila euro (circa il 2,5% dei loro fondi). Cifre che rendono comunque impossibile l'approdo in tv e limitano i messaggi pubblicitari a carta stampata e radio. Gli altri culti non prevedono invece spese promozionali o non le includono nei propri rendiconti.
Manca all'appello solo un attore: lo Stato italiano. Dall'alto dei suoi 150 milioni incassati ogni anno, sarebbe l'unico a potersi permettere spot istituzionali su come intende destinare la propria quota di otto per mille, ma per ragioni di opportunità preferisce non farlo. Non stupisce quindi che la sua quota, pari al 22,3 % nel 1990, sia crollata fino al minimo del 7,6% del 2005 (anno in cui morì Giovanni Paolo II). Da quel momento, forse anche a causa degli scandali che hanno colpito la Chiesa Cattolica e dalla figura meno mediatica del suo nuovo pontefice, la quota è risalita fino all'11,9% del 2007, ma le polemiche su come i governi Monti e Berlusconi abbiano deciso di utilizzare l'otto per mille del 2012 potrebbero costare nuovi consensi. E milioni di euro.