Human Rights prevede che con il precipitare della situazione in Siria migliaia di profughi tenteranno di arrivare in Europa attraverso il Mediterraneo. Ma nessuno si prepara e il rischio che tanti muoiano in mare è altissimo

In cinquecento sono già sbarcati negli ultimi tre giorni sull'isola di Lampedusa. Scappati dalla Tunisia e dall'Africa sub-sahariana. Ma la prossima emergenza nel Mar Mediterraneo arriverà dalle sponde della Siria quando le persone in fuga dal regime di Bashar al-Assad cercheranno rifugio in Europa. E le coste italiane e greche saranno la terra promessa per decine di profughi.

Perché l'equazione rivolta-fuga-sbarchi è sempre la stessa di qua e al di là del Mediterraneo. E Human Rights Watch non ci sta a veder morire migliaia di migranti e punta il dito con un elenco dettagliato delle tragiche conseguenze delle politiche finora adottate: «Le operazioni di soccorso in mare sono ostacolate da scarso coordinamento, dispute sulle responsabilità, disincentivi per le navi commerciali a prestare soccorso, e un'enfasi sulla protezione dei confini».

I risultati sono nefasti per chi affronta la pericolosa traversata dalla costa nord africana verso l'Europa, spesso con imbarcazioni inadatte a tenere le onde. Abbas Saton, eritreo, racconta di aver visto morire ciascuno dei suoi 54 compagni di viaggio quando il loro piccolo gommone è affondato lo scorso luglio, portando il bilancio di vittime accertate di quest'anno a 170. Un tragico elenco di 13.500 persone morte tentando la sorte fin dal 1998, di cui almeno 1.500 nel 2011, l'anno con il più alto numero di decessi che si ricordi. Un piccolo paese di uomini e donne africane sepolto in fondo al mare. «Fa rabbrividire il pensiero che si sarebbero potute impedire molte di queste morti» ha detto Judith Sunderland, ricercatrice di Human Rights Watch «Occorre che l'imperativo in mare diventi salvare vite umane e non schivare responsabilità». Perché i barconi carichi di disperati sono patate bollenti che in molti preferiscono evitare, dimenticando gli obblighi di aiuto in mare.

L'obbligo di assistere navi in difficoltà è valido per tutti ma quelle commerciali possono vedersi fortemente scoraggiate, sul piano economico e persino legale, dal prestare adeguata assistenza. Le dispute su porti sicuri di sbarco e la riluttanza degli Stati ad assumersi responsabilità, possono voler dire ritardi, con costi significativi per le attività di import-export. In alcuni Stati europei, come l'Italia, i capitani e gli equipaggi rischiano azioni penali con l'accusa di favoreggiamento di immigrazione clandestina quando insistono per far sbarcare migranti portati in salvo. Così spesso si gira la testa dall'altra parte.

Il più famigerato esempio di operazioni di salvataggio fallite è avvenuto nell'aprile 2011, ed è conosciuto come il caso dei "lasciati morire". Un barcone difettoso con 72 migranti a bordo, in fuga dalla Libia, fu ignorato e andò alla deriva per due settimane nel mezzo del canale di Sicilia in un periodo in cui l'area era pesantemente pattugliata dalle forze Nato.

Quando il barcone tornò, trascinato dalle correnti, sulle coste libiche, 61 persone erano senza vita. Altri due morirono dopo l'arrivo. Un'indagine approfondita dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa riscontrò un "catalogo di fallimenti" alla base dei decessi. E dubbi rimangono sul perché la barca non fu assistita nonostante segnali di allerta e contatti con navi militari e commerciali.

L'Unione europea, da parte sua, sta sviluppando un nuovo sistema di sorveglianza europea delle frontiere esterne, il cosiddetto Eurosur: prevede il salvataggio in mare come obiettivo principale, ma, secondo l'associazione per i diritti umani, non racchiude linee guida specifiche o procedure per far sì che l'obiettivo sia raggiunto.

Durante la Primavera araba, l'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati affermò che tutte le navi sovraccariche di migranti nel Mediterraneo dovessero ritenersi bisognose d'aiuto. Questa idea dovrebbe essere alla base dell'approccio dell'Unione europea nei confronti del salvataggio di tutti i barconi. Così se Bruxelles vuole concretamente salvare vite in mare, deve mettere nero su bianco il dovere fondamentale di assistere ogni imbarcazione. Le tesi che così si finirebbe per creare un "fattore di richiamo" ed incoraggerebbe più migranti a rischiare la traversata, sono fasulle. L'incredibile resistenza di Abbas Saton, sopravvissuto in mare per giorni aggrappato a un relitto, è un monumento al coraggio e alla tenacia dell'uomo. E migliaia, come lui, continueranno a tentare la sorte.

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