«Il regime bombarda i quartieri sunniti con i Mig e i missili. Bruciano le case, arrestano le persone a caso, sono tutti terrorizzati». I racconti delle donne e degli uomini che in questi giorni sbarcano a centinaia sulle coste di Siracusa

Alle nove del mattino davanti all'ingresso del centro Umberto I, alle porte di Siracusa, ci sono un paio di taxi in attesa di clandestini in fuga. Destinazione: Roma, Milano, il Nord Europa. O Catania, dove pare ci sia un pullman diretto per la Svezia. C'è chi raccoglie qualche fiore da una siepe di gelsomino, prima di entrare nel van contrattato a caro prezzo. Gli arrivi di profughi siriani a Siracusa sono numeri senza fine in quest'estate da record: 355 in un solo giorno, mercoledì 28 agosto, su due imbarcazioni diverse soccorse in mare dai mezzi della Guardia costiera.

Le famiglie siriane arrivate sul molo del porto grande di prima mattina hanno rischiato più del solito. La barca di 15 metri ha avuto un guasto e chi la conduceva non è stato in grado di chiedere soccorso. Qualcuno a bordo con un cellulare e una scheda telefonica egiziana ha chiamato un'organizzazione umanitaria in Libano che ha dato l'allarme e i soccorsi sono arrivati dopo qualche ora.

«L'attesa alla deriva è stata terribile. Pensavo che per dare una speranza di vita ai miei figli rischiavo di perderli, di morire con loro in mare», racconta Feda, arrivata in Italia col marito e i suoi piccoli di 3, 4 e 6 anni,che giocano su uno scampolo di prato con dei regali distribuiti al centro.

Trentuno anni, Feda insegnava inglese all'Università di Damasco e viveva in un campo di profughi palestinesi alle porte di Damasco. Dov'è nata e dove i suoi genitori hanno celebrato il matrimonio, nel '64. Un luogo considerato sicuro fino al pomeriggio del 17 dicembre, quando due Mig hanno bombardato la chiesa e la scuola. La mattina dopo è scappata «In Siria la situazione è ormai disastrosa, ma non è una guerra civile», spiega. «Stiamo lottando contro un regime oppressivo e antidemocratico. Bashar al Assad è salito al potere con una modifica della Costituzione fatta in mezz'ora, che ha abbassato il limite d'età, 40 anni, fissato per la presidenza. E così ha preso il posto del padre Hafez».

Sui giornali c'è la notizia che l'attacco coi gas nervini a Goutha porta la firma del fratello del presidente in carica, Maher, a capo della Guardia repubblicana e della Quarta divisione. Feda ha saputo dell'uso dei gas all'aeroporto di Alessandria d'Egitto, chiamando al telefono la madre. Il padre è stato per trent'anni nell'esercito e ha addestrato personalmente Bashar nell'accademia militare. Lei racconta che il presidente voleva regalargli un'auto, perché era il suo generale più anziano e girava con un rottame. Ma qualcuno poi l'ha dissuaso: «Perché vuoi fargli un omaggio? Lui è un sunnita osservante, porta la barba, prega sei volte al giorno».

Nel caos assoluto della Siria i sunniti sono più a rischio degli altri. Il fratello dei Feda è un militante di Al Fatah. Sei anni fa è stato prelevato senza alcun motivo dalla clinica privata dove faceva il dentista. Hanno scoperto che era finito in galera quattro anni dopo. Altri in famiglia hanno pagato per le loro idee: un cugino di 36 anni è stato accoltellato, uno di 16 è scomparso da mesi e la madre lo piange ogni giorno. Feda racconta episodi che sembrano incredibili: un amico del padre ha trascorso 25 anni in carcere perché ha rifiutato di bere alla salute di Assad; un altro è stato cacciato dall'esercito perché non aveva applaudto un discorso del presidente in Algeria: a tradirlo, le immagini riprese dalla tv. Da due anni a questa parte anche guardare Al Jazeera può essere un'accusa. E i mezzi per scoprire i sospetti oppositori sembrano i più assurdi, come dei sondaggi al telefono o delle domande a scuola sui programmi preferiti in tv da mamma e papà.

Tra i profughi arrivati in Sicilia c'è anche una neonata. Pesa 2 chili e 700, si chiama Nadha ed è un po' anche figlia del mare: sua mamma, 19 anni, l'ha partorita durante la navigazione, assistita da un infermiere in fuga che ha tagliato il cordone ombelicale con delle forbicine per le unghie. Ora è sotto antibiotici per evitare un'infezione, ma sta bene e dorme sotto lo sguardo della madre, incorniciato dal velo.

La sua amica nella stanza numero 2 è arrivata a terra con un forte dolore all'addome ed è stata operata d'urgenza dall'equipe di ginecologi dell'ospedale di Siracusa. Diagnosi: addome acuto, shock emorragico, gravidanza extrauterina. Ora è salva.

Studiava legge e lavorava nella farmacia di un ospedale di Damasco, come il marito. «Le emergenze non ci spaventano» sostiene Antonino Bucolo, il primario di ostetricia, «bianca, nera o gialla che sia la loro pelle, curiamo tutti». Anche se spesso comprendersi in lingue diverse non è semplice, malgrado la presenza intermittente dei mediatori culturali. Così c'è qualcuno dei medici che ha scaricato sul cellulare una app che traduce l'arabo. Alle quattro del pomeriggio, nell'area della Capitaneria di porto sul molo Sant'Antonio, ci sono le camionette della Polizia, i volontari della protezione civile e gli ultimi arrivati: 76 persone, tra cui 26 minori non accompagnati e tre famiglie siriane: passeggeri clandestini recuperati su un'imbarcazione in acque internazionali.

C'è una vecchia macchina da scrivere in un angolo e una bambina gioca a pigiare i tasti. Il suo papà ha una zazzera di capelli ricci e gli occhi verdi, la canottiera bianca coi segni del viaggio. Tira fuori dalla borsa della moglie i suoi documenti: nella foto ha i capelli corti e indossa la divisa. Ha 28 anni ed era nell'esercito governativo, poi è finito in galera come molti sunniti di cui il rais vuole liberarsi.

La famiglia di Assad si fida ormai solo degli sciiti, considerati ancora tra i pochi affidabili. La moglie si è rivolta a un avvocato e ha pagato 10 mila dollari perché il giudice cancellasse le accuse false che pesavano su di lui. È scappato con i due bambini e la moglie in Turchia ed è rimasto lì sei mesi perché voleva arrivare in Europa in aereo, ma alla fine ha pagato 7.000 mila dollari per attraversare il Mediterraneo su una barca improbabile. Era l'ultimo della famiglia rimasto in Siria, tutti gli altri sono in Francia da tempo. «Ho assistito ad omicidi e violenze di ogni genere. Ho visto con i miei occhi persone uccise con la pistola, bruciate con la benzina in una cella», racconta guardandomi negli occhi. Poi chiede a Donia, l'interprete araba che mi accompagna, se può fare lui una domanda: «Ma perché i giornali scrivono del gas nervino e non dei lanci di missili contro la popolazione?»

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