Al seguito delle avanguardie alleate c'erano sempre squadre di investigatori, spesso ex poliziotti e magistrati, con bersagli molto mirati. Nell'estate 1944 cercavano Kappler e Priebke per la loro attività di spionaggio: non erano ancora considerati criminali di guerra. Volevano conoscere i segreti della rete stay behind costruita dai nazisti dell'Sd: agenti e sabotatori nascosti nelle città del Sud e nella stessa Roma. E cercano in tutti i modi di stanarli. Nei loro dossier finiscono racconti e nomi di italiani e altoatesini che sarebbero pronti ad entrare in azione per ostacolare le truppe che marciano verso la linea Gotica. Vengono riferiti progetti di attentati contro generali statunitensi. E informazioni sui piani di guerra batteriologica condotti dai nazisti contro la testa di ponte di Anzio. Uno dei collaboratori di Kappler descrive “topi infetti” usati per contaminare gli americani mentre solo anni dopo si è capito che le Ss avevano diffuso la malaria nella pianura pontina, con un'operazione che si trasformò in una piaga decennale per l'Italia.
Ogni notizia su Kappler è prioritaria per l'intelligence. Ed anche a Priebke viene dedicata un'attenzione particolare: i detective in tuta mimetica trovano una seconda immagine, formato tessera, di Priebke che però non è riprodotta nei fascicoli dei National Archives. Le foto vengono distribuite ai reparti per scovare i due ricercati. Sono ricerche frenetiche, che si intrecciano con i combattimenti e poi nel maggio 1945 con la resa del Terzo Reich: la posizione di centinaia di prigionieri viene analizzata per individuarne le responsabilità, dividendo i soldati dai criminali. Solo a quel punto nei file classificati top secret si materializza l'orrore delle Fosse Ardeatine. La strage è citata per la prima volta in due verbali del 2 giugno 1945, su cui compare una avvertenza giuridica: «Non possono essere usati per finalità processuali». Un ufficiale dei servizi segreti di Salò dichiara che «Kappler non scamperà al suo destino perché responsabile per l'esecuzione di 320 comunisti a Roma». Lo stesso giorno Eugene Dollmann, il comandante delle SS nella capitale, conferma agli ufficiali che lo hanno catturato il ruolo di Kappler ma lo presenta come un semplice esecutore: «È ingiusto considerarlo l'unico responsabile, le colpe vere sono dei generali della Wehrmacht che hanno ordinato la rappresaglia». Dollmann però ritiene che «Kappler poteva rifiutarsi di eseguire il massacro o poteva eseguirlo in modo differente (qualificando le esecuzioni come agghiaccianti moralmente e umanamente)». E sono parole di una SS.

Dopo la resa anche Kappler si mostra ansioso di collaborare. Negli interrogatori parla di tutto. Inglesi e americani vogliono sapere che fine hanno fatto gli archivi del ministero degli Esteri italiano e quelli del Servizio segreto, il Sim: entrambi possono contenere corrispondenza scottante, soprattutto sulle relazioni tra Benito Mussolini e Winston Churchill. Il colonnello tedesco spiega che tutti i faldoni della Farnesina sono stati trasferiti a Berlino, mentre quelli dello spionaggio sono stati distrutti a Roma: dall'ottobre 1943 ne hanno bruciato un camion a settimana, incenerendoli in un impianto di gas. L'unica paura del colonnello è di non venire coinvolto in reati che riguardano militari alleati. I detective gli chiedono notizie sul destino di tre soldati americani, fuggiti dai campi di concentramento e catturati dai tedeschi in un appartamento di Roma: chi li aveva nascosti è finito alle Fosse Ardeatine. E loro? Kappler dice di avere scelto personalmente le vittime della rappresaglia, tranne le 60 indicate dalla questura, ed esclude che gli statunitensi fossero nella sua lista. Non nasconde il disprezzo per gli italiani. Nega di essere stato a conoscenza delle torture in via Tasso, la prigione a pochi metri da piazza San Giovanni dove venivano seviziati gli uomini della Resistenza. Ammette solo di avere autorizzato una «persuasione fisica»: far picchiare sulla pianta dei piedi i reclusi. «Tutti gli italiani sono bugiardi, tutti temono il dolore e per evitarlo sono pronti a parlare. Per salvare la vita di migliaia di soldati tedeschi al fronte tutto è giustificato».
Priebke resta defilato. Dopo la cattura gli americani sospettano di lui e lo fanno rinchiudere in una struttura speciale di prigionia ad Ancona, dove vengono concentrati gli ufficiali indiziati per crimini di guerra. Per alcuni mesi lo raggiunge pure Kappler: la coppia delle Fosse Ardeatine si ricompone dietro i reticolati. Lì ci sono altri generali delle Ss: gli americani ne registrano le conversazioni di nascosto, annotano le loro valutazioni sul comportamento dei vertici del Reich in meticolose trascrizioni. Ma non trovano prove sugli eccidi.
È la giustizia italiana che si muove. Il 2 novembre 1945 il giudice Vittorio De Marino chiede di interrogarlo per la vicenda del generale Vito Artale, un alto ufficiale monarchico ucciso nel massacro romano, cosa che viene autorizzata dagli alleati tre settimane dopo. Ogni iniziativa della magistratura deve affrontare il caos di un paese distrutto e i vincoli dell'armistizio. Che permettono a Priebke di defilarsi: il 31 marzo 1946 il capitano viene spostato dalla prigione di massima sicurezza al campo 209 di Afragola, un centro meno sorvegliato alle porte di Napoli custodito dagli inglesi.

Il 9 agosto 1946 sono i carabinieri a prendere di mira Priebke. Forse per non insospettire il capitano tedesco, chiedono di interrogarlo in merito “alla vicenda delle sorelle Emita ed Elena Hoehn”. Elena Hoen, cittadina tedesca sposata con un imprenditore italiano, aveva nascosto in casa sua il colonnello Giovanni Frigani, il maggiore Ugo De Carolis e il capitano Raffaele Aversa: i tre ufficiali che il 25 luglio arrestarono Benito Mussolini. Grazie a una delazione, i tre vennero catturati e portati in via Tasso. Ma la Hoen ha ottime entrature in Vaticano: è stata vicinissima alla nascita del movimento dei Focolarini. Chiede e ottiene l'intervento di Pio XII per la «sventurata sorte» dei tre carabinieri. È tutto inutile: Friganani, De Carolis e Aversa finiscono nel mattatoio delle Fosse Ardeatine. La donna sa tutto: ha raccolto per mesi notizie sui carnefici. E l'Arma non vuole che la morte degli ufficiali resti impunita.
Il comando della legione di Roma incarica il capitano Antonio Perenze e il maresciallo Paolino Rugani di interrogare Priebke. Perenze quattro anni dopo fu il protagonista della fine del bandito Salvatore Giuliano: è un ufficiale che sa come raggiungere gli obiettivi, a qualunque costo. E forse è proprio l'entrata in scena dei carabinieri a convincere Priebke che è ora di darsi alla macchia. Scappa nella notte di Capodanno 1946, ufficialmente sfruttando la distrazione delle guardie. Trova rifugio in Alto Adige e grazie alle coperture vaticane ottiene documenti per riparare in Argentina, dove verrà scoperto solo nel 1994.

Quando dominavano Roma, Kappler e Priebke avevano tenuto rapporti ambigui con la Santa Sede. I fascicoli dettagliano l'ostilità dei due verso il Vaticano, ma anche gli infiltrati nei palazzi pontifici che li informavano: ci sono pagine che fanno intuire scambi sotterranei. E tanti segreti, che forse hanno assicurato un salvacondotto per il capitano nazista. Lui non ha mai avuto pietà delle sue vittime, mai un rimorso. E quell'odio dopo 70 anni continua ad accompagnare anche la sua bara.