La procura di Napoli ha chiesto oggi al giudice del tribunale la condanna a complessivi 27 anni per i tre imputati accusati di estorsione nei confronti della società cinematografica Cattleya per la produzione televisiva di “Gomorra la serie”. L'inchiesta ruota attorno all'imposizione del pagamento di somme di denaro in favore di un clan camorristico di Torre Annunziata. E a versarlo sarebbero stati gli uomini della casa di produzione impegnata nella realizzazione di episodi per la tv che ha avuto grande successo che si ispirano a un marchio, quello di Gomorra, che in Italia e soprattutto nelle regioni con maggiore presenza mafiosa è diventato un importantissimo riferimento per quanti si impegnano a lottare le mafia, nelle istituzioni e nella società civile, e per quanti nutrono la speranza di un paese senza criminalità.
A sposare questi elementi è stata proprio Cattleya, che però, dall'inchiesta dei carabinieri, coordinata dalla procura distrettuale antimafia di Napoli, ne esce come una vittima costretta a pagare i boss pur di girare senza aver problemi in una villa del clan. A questo punto, seguendo le linee di coerenza che il marchio Gomorra impone, ci si sarebbe aspettati che nell'udienza di oggi davanti al giudice, in cui si apriva il giudizio abbreviato per gli imputati, la casa di produzione Cattleya chiedesse di costituirsi parte civile. Un segnale importante per un territorio ostaggio dei clan. Ma nessuno della società che ha prodotto Gomorra lo ha fatto. Diversamente dalla Federazione nazionale antiracket che ha chiesto e ottenuto di costituirsi parte civile contro questi tre imputati: il boss di Torre Annunziata Francesco Gallo, il padre, Raffaele, e la madre, Annunziata De Simone.
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Lo scorso luglio erano scattati gli arresti. Francesco Gallo è il proprietario della grande villa, arredata con profusione di stucchi, specchi, cristalli e quadri, che nella fiction era quella della famiglia Savastano. La villa, dipinta di rosa e con una vasca idromassaggio delle dimensioni di una piscina, si trova nel rione Penniniello di Torre Annunziata. La Cattleya l'aveva presa in fitto nel marzo del 2013 per trentamila euro da versare in cinque rate. Dopo il pagamento della prima, il gip aveva sequestrato ad aprile l'edificio, nominando un amministratore giudiziario. E per i vertici della società di produzione, secondo la ricostruzione dei magistrati, si era posto il problema: versare le somme a quest'ultimo, come impone la legge, o continuare a pagare i Gallo, come loro pretendevano?
Le pressioni del clan, come scrive il gip Marina Cimma nell'ordinanza di custodia cautelare, erano fortissime: dal carcere, durante i colloqui con i genitori, Francesco Gallo minacciava di bloccare le riprese. Per un po' la Cattleya pagò sia l'amministrazione giudiziaria sia i Gallo, versando loro un'altra rata; ma le somme necessarie erano elevate e rischiavano di compromettere la produzione della serie. Di qui i tentativi frenetici di convincere, come poi accadde, la famiglia Gallo a desistere. Nell'ambito dell'inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice e condotta dal sostituto Pierpaolo Filippelli, sono indagati anche il location manager della società di produzione, Gennaro Aquino, e gli organizzatori generali Gianluca Arcopinto e Matteo De Laurentiis. Per loro c'è ancora un'indagine aperta. A tutti e tre il pm contesta il reato di favoreggiamento nei confronti del boss Francesco Gallo, aggravato dall'avere agito per agevolare un clan camorristico.
Dalle intercettazioni emerge sia il timore nutrito dello staff Cattleya nei confronti della famiglia Gallo sia la simpatia provata nei suoi confronti. «Vai con la polizia a girare? E se ti bruciano, ti fanno un attentato, che succede poi?», si chiede per esempio Matteo De Laurentiis parlando con il socio di maggioranza Giovanni Stabilini. Lo sceneggiatore Pasquale Meduri si augura invece che sia il boss a ricevere il denaro per l'affitto della villa piuttosto che lo Stato: «Speriamo che glieli sbloccano, anche perchè a regalarli allo Stato così a c... di cane, è meglio che se li prendono Franco e i suoi». La società di produzione comunque ha sempre sostenuto la sua estraneità ai fatti.