Nella Bassa padana, tra il capoluogo Cremona e il comune parmigiano di Busseto, ci sono quasi trenta chilometri di strada. In mezzo il confine tra la Lombardia e l’Emilia Romagna, il placido fiume Po. Oggi in quella separazione tra le due regioni viaggia la differenza tra il pagare o meno per una prestazione che consente di avere un figlio anche alle coppie che hanno problemi di fertilità.
Dopo il via all’eterologa pubblica con l’accordo della Conferenza delle Regioni dei primi di settembre, le Giunte di ogni colore politico sono partite con gli atti amministrativi per renderla al più presto una realtà in ospedale.
Per l’esecuzione pratica, cioè i trattamenti veri e propri sulle coppie, passeranno almeno un paio di mesi. Il punto più spinoso rimane come regolarsi con i ticket.
Sono novemila le coppie meno abbienti che aspettano di fare la fecondazione in Italia, mentre sono più di ventimila quelle che sono già andate all’estero per avere un bimbo grazie alla procreazione medicalmente assistita.
I dubbi sono tanti: le donne infertili di età inferiore ai 43 anni (limite che da diritto al rimborso) dovranno versare un contributo come succede per altre prestazioni? Le Asl possono regolarsi diversamente? Il costo maggiore, circa tremila euro, lo sosterranno le regioni in attesa di un fondo nazionale del ministero?
«Così si rischia il far west a danno dei cittadini: serve una legge nazionale e ticket che non si discostino troppo da una regione all’altra», commenta Basilio Tiso, direttore medico del Policlinico di Milano.
In questo limbo, in attesa di una legge nazionale, i governatori si sono mossi in ordine sparso. Con approcci diversi. Il presidente lombardo Roberto Maroni ha scelto la linea dura: «Finché non ci sarà una legge del Parlamento non posso e non voglio considerare la fecondazione eterologa nei livelli essenziali di assistenza. A tutela delle risorse pubbliche della Regione e quindi dei soldi cittadini, è giusto che chi vuole ottenere questa prestazione la paghi».
Risultato? La giunta leghista ha stabilito che tutti i costi dell’intervento, almeno tremila euro, saranno a carico della coppia, mentre superato il Po cambia tutto. Così per una coppia cremonese tentare la strada della fecondazione eterologa nella vicina Emilia potrebbe essere un affare: nessun costo aggiuntivo, solo la spesa per gli esami diagnostici e di idoneità. Da Parma in giù si vorrebbe puntare sul ticket free.
La giungla dell’eterologa è tutta qui: da una regione all’altra, nonostante le riunioni plenarie di tecnici e assessori, si va in ordine sparso. Con il rischio del “turismo sanitario”.
LA TOSCANA FARO DELLE COPPIE
La sentenza della Consulta dello scorso aprile ha cancellato il divieto di fecondazione eterologa previsto dalla Legge 40, mettendo in moto migliaia di coppie che cercano un figlio, ma non possono averlo senza l’aiuto di una terza persona. Dal giorno successivo alla decisione centinaia di pazienti si sono rivoltei ai 348 centri di procreazione medicalmente assistita, pubblici e privati, convenzionati e non della Penisola.
Sono pochi i governatori che hanno già scritto le delibere attuative sul tema, con una linea di demarcazione netta tra Nord e Centro-Sud. In testa nella corsa al via libera la Toscana, che ha aperto le porte dei 22 centri autorizzati fin da luglio nonostante il veto del ministro della Salute Beatrice Lorenzin. La titolare del dicastero della Salute voleva infatti rimandare tutto a settembre per una riorganizzazione nazionale.
Ad oggi sono arrivate centinaia di richieste al polo ospedaliero Careggi di Firenze e ci sono più di mille appuntamenti fissati per le coppie sterili. «Da noi il diritto di provare ad avere un figlio è una realtà», commenta il presidente Enrico Rossi, «In attesa che tutta questa vicenda venga regolata a livello nazionale, siamo pronti ad accogliere le coppie provenienti da altre regioni, dove l’accesso al trattamento è ritardato o più costoso». Qui hanno optato per un ticket da 500 euro: il resto sarà coperto dal sistema sanitario regionale.
REGIONE CHE VAI, TARIFFA CHE TROVI
A stretto giro gli altri governatori hanno seguito l’esempio di Firenze. Nicola Zingaretti ha scritto le regole per il Lazio: la donna potrà avere un massimo di 43 anni e i cicli nelle strutture pubbliche non potranno essere più di tre. Previsto anche un ticket, che però è ancora da definire. Le prime indiscrezioni fissano la spesa ad un livello molto più alto delle vicine regioni "rosse": 1.800 euro, perché il commissariamento in atto della sanità (dopo il buco da 11 miliardi di euro) non permette flessibilità.
In Umbria l’eterologa verrà considerata sullo stesso piano della omologa e quindi sarà gratuita per le coppie con problemi accertati di fertilità. A rassicurare tutti è la presidente Catiuscia Marini.«Potrà essere praticata gratuitamente all'interno del servizio sanitario nazionale con tutte le garanzie di sicurezza e qualità che la sanità pubblica assicura».
La meta nelle Marche per chi vuole avere figli saranno Ancona e Pesaro: nel capoluogo è di prossima apertura un nuovo centro di procreazione medicalmente assistita. Ancora non sciolto il nodo del pagamento, come spiega l’assessore alla salute Almerino Mezzolani: «Attendiamo una condivisone generale, per poter normare le questioni relative alla gratuità dell’intervento o alla previsione di un ticket».
Unica tra le regioni del Sud, la Sicilia ha autorizzato dal primo settembre i maggiori centri di fecondazione assistita. «Noi siamo pronti per partire ma non vorremmo che ci possa essere speculazione con coppie che vanno fuori regione e poi vengono comunque rimborsate dalle asl. Va regolamentato l’intero settore evitando soprattuto che il privato si butti nel business», spiega a l’Espresso l’assessore alla sanità Lucia Borsellino.
Per le coppie siciliane il “listino prezzi” nei centri privati arriva fino a 4.000-5.000 euro. Per evitare che il costo gravi tutto sulle famiglie la giunta Crocetta pensa ad un sistema di compartecipazione: un rimborso da 1.700 euro o la copertura totale. Dipende da quanto deciderà a Roma il ministero della Salute.
IL FRONTE DEL NORD
Più attivi al Nord dove il Piemonte ha recepito le linee guida ma ha rimandato lo scioglimento del nodo costi (ci dovrebbe essere un ticket tra i 600 e i 700 euro) ad un provvedimento successivo in attesa degli indirizzi nazionali. Stesso problemi dei costi per la vicina Liguria che vorrebbe procedere in base al reddito.
In Veneto, il governatore leghista Luca Zaia va in controtendenza rispetto al compagno di partito Maroni: «A partire dal primo ottobre vorremmo iniziare ad effettuare la pratica applicando il ticket da 36 euro. Stimiamo richieste per circa 500 casi l'anno».
Anche il Friuli Venezia Giulia apre alla fecondazione eterologa con una leggina scritta su misura. Non mancano però i paletti: coniugi o conviventi di sesso diverso, maggiorenni e di età potenzialmente fertile, in grado cioè di affrontare positivamente una gravidanza. Con il limite massimo, per la donna, alzato a 50 anni.
Nelle coppie che in questi anni sono andate all’estero per l’eterologa quasi il 70 per cento delle donne ha più di 43 anni. Il rischio concreto è che la questione del ticket riguarderà meno della metà delle donne in attesa.
Ancora nulla, invece, in un’altra decina di regioni che devono decidere se optare per il ticket o per l’apertura totale e gratuita. Chi cerca un bambino, grazie alla fecondazione eterologa, guardi bene sulla mappa quale strada ha scelto il proprio governatore.