Una rissa per motivi religiosi è finita in tragedia con 12 nigeriani e ghanesi buttati giù dal gommone e lasciati morire in mare per la loro fede. Gli altri salvati da una catena umana. Mentre fonti diplomatiche confermano: la marea umana non si fermerà

È un'altra pagina d'orrore in una sequenza senza fine. Quindici persone, di nazionalità ivoriana, senegalese, maliana e della Guinea Bissau, sono state arrestate e portate al carcere Pagliarelli di Palermo con l'accusa di omicidio plurimo aggravato dall'odio religioso. Avrebbero infatti buttato in mare, lasciandoli morire annegati,  12 altri passeggeri di un gommone partito dalla Libia alla volta dell'Italia, raggiunto dai soccorsi il 15 aprile.

Uccisi. Perché? Stando alle prime ricostruzioni dei testimoni, alcuni ragazzi nigeriani e ghanesi, in minoranza sulla piccola imbarcazione, sarebbero stati ammazzati a causa di un litigio per motivi religiosi: loro erano cristiani, mentre gli altri musulmani. «Non si conosce il numero esatto dei profughi buttati in acqua», hanno detto all'Adnkronos fonti investigative: «Ma si suppone siano circa una decina».

Dopo l'alterco, la rissa: quindi i quindici passeggeri che buttano a mare gli altri, solo per la loro fede. «I superstiti», dice la Polizia: «si sarebbero salvati soltanto perché oppostisi strenuamente al tentativo di annegamento, in alcune casi formando anche una vera e propria catena umana».

Stanno proseguendo in queste ore le indagini della squadra mobile e gli interrogatori a chi ha assistito alla strage. Tutti sono sbarcati a Palermo durante la giornata di ieri. Il procuratore Franco Lo Voi ha inoltrato il provvedimento d'arresto d'urgenza al ministro della Giustizia Andrea Orlando, che l'ha firmato immediatamente. L'intervento di Orlando era necessario perché i fatti sono accaduti in acque internazionali.

La tragedia ha innescato ovviamente subito il dibattito in Italia, con esponenti politici (per ora Gasparri, Meloni, Comi, Binetti), che si sono precipitati a chiedere una linea più dura al governo in materia di migrazioni. Ma la complessità della situazione aumenta, a partire dalle radici: quella Libia dove l ministro Paolo Gentiloni ha suggerito la possibilità di interventi specifici, mirati, di "antiterrorismo".

Il problema però sarà intercettare i trafficanti e i loro interessi. Come ha spiegato approfonditamente una fonte diplomatica in Libia al Middle East Eye, «Non c'è una strategia politica come con Gheddafi, che manipolava i flussi migratori verso l'Europa». Cosa c'è allora? «Che i migranti significano soldi, e su questi soldi c'è un interesse esplicito delle comunità locali», continua la fonte: «Riteniamo che il 10 per cento del prodotto interno lordo attuale della Libia dipenda oggi dal traffico di esseri umani e di armi o droga. Per cui è chiaro che c'è una parte consistente della popolazione che è contraria alla normalizzazione del paese, perché non ne avrebbe benefici economici».

Sono sempre le milizie tribali a controllare de facto i numerosi centri di detenzione per i migranti sub-sahariani in Libia, dove centinaia, migliaia di persone, vengono ammassate in condizioni igieniche terrificanti, oltre che alla mercé di torture, violenze e privazioni che molti sopravvissuti hanno potuto raccontare. Non ci sono standard né controlli, e anche per chi vorrebbe tornare a casa, fuggire dal conflitto civile libico senza per forza rischiare il Mediterraneo verso l'Europa, la strada è bloccata.