Il memorandum firmato dalla Ue con Tunisi ha un solo scopo: bloccare gli africani lontano dai confini europei. Mentre le ong denunciano le violazioni dei diritti

Un sorriso, lo sguardo attento a cogliere i movimenti della mano che firmava e poi un applauso liberatorio. La postura della premier italiana Giorgia Meloni durante la firma del “Memorandum d’intesa” tra l’Unione Europea e la Tunisia dice molto su quanto quell’accordo fosse voluto dall’attuale governo di Roma. Soprattutto perché il Memorandum è un punto fermo dell’approccio della destra italiana ed europea alla questione migratoria.

 

Esternalizzare le frontiere sembra la soluzione sulla quale tutti stanno convergendo e il Nordafrica in tal senso assume un ruolo strategico di primo piano. Con buona pace di chi cerca di ricordare il disastro prodotto da decisioni simili in Libia, i rapporti tra i governanti europei e i capi di stato nordafricani continuano a essere viziati dall’interesse.

 

Il caso giudiziario di Patrick Zaki e delle relazioni economiche tra l’Italia e l’Egitto ne è un’altra prova. Il “piano Mattei” per l’energia con gli accordi dell’Eni sul gas, le commesse di Leonardo e Fincantieri non sono state toccate dalla trattativa per la liberazione dello studente che dopo essere stato condannato a ulteriori 14 mesi di prigionia per aver criticato il suo governo, ha ritrovato la libertà mediante la grazia concessa dal presidente Al-Sisi. Un gesto di munificenza quasi regale, che ricorda più l’operato dei signori del passato che una vittoria del diritto sull’oppressione dei regimi autoritari.

 

Anche per questo le dichiarazioni entusiaste di Giorgia Meloni sul nuovo accordo con Tunisi non convincono. «Il Memorandum è un importante passo per creare una vera partnership tra l’Ue e la Tunisia», ha dichiarato la presidente del consiglio al termine della cerimonia ufficiale, il 16 luglio, auspicando che l’accordo diventi un «modello per le relazioni dell’Europa con gli altri Paesi del Nord Africa».

 

Il motivo è semplice: oltre ad aver fatto della lotta ai migranti un baluardo della propria campagna elettorale, il governo italiano dall’inizio della legislatura sta cercando di creare un asse europeo intorno al quale far convergere i partiti ai quali Meloni si sente più vicina, ovvero Diritto e Giustizia del premier polacco Mateusz Morawiecki e Fidesz dell’ungherese Viktor Orbán per orientare le decisioni dell’Europarlamento.

 

Nonostante lo scorso 29 giugno, mentre si discuteva il “Patto sulla migrazione”, Budapest e Varsavia avessero provato a bloccare i lavori del Consiglio europeo, la leader italiana aveva sminuito dichiarando «non sono insoddisfatta da chi difende i propri confini». Anche perché, il paragrafo del memorandum con la Tunisia era stato comunque inserito nel capitolo sulle relazioni esterne e per questo, a Consiglio concluso, Meloni aveva affermato che «la svolta totale è sulla dimensione esterna, non interna, del problema migratorio».

 

Pochi giorni dopo, il 5 luglio, Meloni atterra a Varsavia per dimostrare che l’unità di intenti tra Italia e Polonia è tutt’altro che incrinata: «non c’è divisione perché lavoriamo su come fermare la migrazione illegale, non su come gestirla», aveva spiegato la premier.

 

Dunque le parole d’ordine sono chiare: la migrazione è prima di tutto un «problema», non va «gestita» ma bloccata e per farlo bisogna organizzarsi «fuori dai confini europei». Ecco perché il Memorandum d’intesa con la Tunisia è così importante. Dei “cinque pilastri” che sono alla base del trattato, ovvero assistenza macrofinanziaria dell’Ue, rafforzamento dei legami economici, cooperazione sull’energia verde e promozione degli scambi culturali, migrazione e lotta al traffico di migranti, l’ultimo è senz’altro il più dirimente.

 

Bruxelles si è impegnata a fornire a Tunisi un finanziamento di 900 milioni di euro, condizionati a determinate clausole, e di ulteriori 150 milioni per il sostegno economico e 105 milioni (queste due ultime tranche subito) per il rafforzamento della gestione delle frontiere, le operazioni di ricerca e soccorso in mare e le misure di contrasto al «traffico di esseri umani», incluso l’acquisto di nuovi mezzi per la guardia costiera locale.

 

Secondo il ministero dell’Interno italiano gli sbarchi dalle coste tunisine verso il nostro Paese fino a inizio luglio sono stati 43.484, aumentati di 6 volte rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e molto più consistenti di quelli provenienti dalla Libia (fermi a 28.825). Intanto, in Tunisia il presidente Kais Saied ha iniziato a parlare di «sostituzione etnica» a proposito dei migranti neri che arrivano dalle zone centrali del continente.

 

Lo scorso 3 luglio centinaia di migranti provenienti dalle zone subsahariane hanno protestato nella città tunisina di Sfax, e da qui sono stati deportati, secondo Human Rights Watch, «in zone inospitali vicino alla Libia e all’Ovest dell’Algeria, senza cibo, acqua e riparo a temperature oltre i 40 gradi». Le Ong tunisine parlano di «situazione catastrofica» per queste persone e, in occasione della firma del Memorandum diverse associazioni, tra cui Forum Tunisien pour les Droits Économiques et Sociaux, Un ponte per, Action Aid e molte altre hanno denunciato che l’accordo ostacolerà «qualsiasi forma di mobilità dalla Tunisia verso l’Europa» e metterà in pericolo la vita di migliaia di persone che in questo momento si trovano in territorio tunisino. Il Memorandum non considera, inoltre «le gravi violazioni dei diritti umani subite dai migranti e richiedenti asilo di origine sub-sahariana e il generale deterioramento della situazione democratica nel Paese».

 

In un momento in cui il Nordafrica è interessato da un impoverimento crescente della classe media e da una pericolosa svolta xenofoba, il nuovo corso della politica estera dell’Ue sui migranti, dunque, pone degli interrogativi di natura etica e pratica non trascurabili, al di là degli annunci dei vari uffici politici europei.