Ci sono le salme. Poche, rispetto all'enormità della tragedia. La più grande che abbia scosso il Mediterraneo da dopo la guerra mondiale. Novecento morti, secondo un testimone. Il dolore per questi naufragi-massacri riapre ogni volta il dibattito: come salvare le vite di chi cerca rifugio in Europa?
Le organizzazioni umanitarie hanno una sola risposta: riattivando Mare Nostrum, con i fondi e gli sforzi congiunti dell'Unione Europa. Intanto questo, dicono, poi tutto il resto. Ma è tutto il resto che si impone nel dibattito italiano. “Sì il cordoglio, ma”, “Morti orrende, però” sono le frasi ricorrenti. Il punto di partenza è sempre lo stesso: saremmo in overload di ospitalità, sovraccarichi di migranti affamati.
Ma esiste davvero, nel paese, questa “emergenza accoglienza”? Almeno, esiste ugualmente dappertutto? È vero che i posti sono finiti, gli abitanti allo stremo, le città al collasso per la marea di profughi che l'Italia è chiamata ad ospitare? «Di sicuro l'Italia sta facendo uno sforzo immane, soprattutto per la gestione degli sbarchi e della prima accoglienza. Ma non dimentichiamo che in questo momento i comuni coinvolti per dare un tetto ai migranti sono 500. Dico: 500, su ottomila», ricorda Oliviero Forti della Caritas Italiana: «Stiamo dando molto, soprattutto nelle regioni del Sud, ma la saturazione è ancora lontana».
Ping pong. È reale il problema, insomma, o soprattutto politico? Forse la seconda. Non solo la destra di Matteo Salvini guida ormai il fronte dello “Stop ai rifugiati politici”. La battaglia è diventata anche interna al Pd, con sindaci come quello di un paese in provincia di Padova – arrivato a minacciare le dimissioni - che si rifiutano di rispondere alle richieste delle prefetture per la ricerca di alberghi, caserme e scuole in cui ospitare i richiedenti asilo.
«A me sinceramente spaventa questa caduta morale, questa rimozione di un principio valoriale che non dovremmo mettere in discussione: parliamo di famiglie, mamme, giovani e bambini che scappano dall'inferno», dice contrariato Luca Vecchi, sindaco di Reggio Emilia, anche lui del Pd ma lontano dalla rivolta dei sindaci del Nord: «Qui ospitiamo oltre 300 profughi, in questo momento, 200 solo in città», continua: «E riusciamo a farlo senza nessun disagio per i cittadini. I ragazzi aiutano il comune aiutando volontariamente con dei lavori socialmente utili. Tutta la gestione è affidata a una catena di comando chiara: la prefettura riceve gli avvisi, quindi una cooperativa sociale, la “Dimora di Abramo”, che ha una convenzione con il ministero, gestisce i posti letto nella provincia, e infine le Asl e il comune si occupano dei controlli alle strutture, perché rispettino i principi igienici e gli standard richiesti».
Luca Zaia, il governatore uscente del Veneto, questa mattina, motivava così il suo tonitruante “Basta” al governo: «Per tutta una serie di motivi confermo il no del Veneto a nuovi arrivi», ha detto: «Siamo un territorio che già si fa carico di 515 mila immigrati, in una Regione che è la terza d’Italia per incidenza di residenti immigrati, pari all’11% della popolazione». «Bene, noi siamo al 18 per cento, abbiamo cittadini di oltre 100 nazioni», ribatte da Reggio Emilia il sindaco Pd: «E trovo sia folle continuare a buttare in un unico calderone “gli immigrati” intendendo insieme i lavoratori regolari, i clandestini e i profughi».
Sempre dall'Emilia Romagna arriva un altro piccolo barlume in un dibattito politico in cui sembra avanzare a gran voce solo l'esercito dei “chiudere-i-confini”: a Cesena i 64 profughi accolti in città si aggirano con casacche e attrezzature nei parchi e nei giardini pubblici per dare una mano alla manutenzione. «A poche ore dall'ennesima, tremenda tragedia nel canale di Sicilia», ha detto il sindaco Paolo Lucchi: «Crediamo sia davvero giusto raccontare ai cesenati che le persone accolte i città hanno forza e voglia di rendersi utili. Il pensiero va ai 700 morti e dispersi di ieri, alla disperazione delle loro famiglie e dei tanti connazionali italiani, inorriditi da ciò che sta accadendo ogni giorno nel mare di una Italia lasciata sola con una responsabilità troppo grande, che andrebbe condivisa almeno in Europa».
A gettare altra luce sugli squilibri locali dell'Italia in materia d'accoglienza sono anche i dati che pubblica “l'Espresso”. Riguardano i migranti accolti in strutture “straordinarie”, ovvero i tanto contestati – anche perché spesso forieri di costi fuori controllo – centri aperti dalle prefetture pagando cooperative e associazioni. Nella tabella non rientrano le strutture regolari e i Cara, ma il risultato è ugualmente significativo.
Dividendo le presenze per provincia e per numero di residenti infatti emerge lo sforzo di terre come quelle di Trapani, Campobasso ma anche Trieste e Benevento, per dare un tetto ai richiedenti asilo. E le frontiere chiuse invece di province come quelle di Pisa, Treviso o Padova, dove la percentuale di accolti in emergenza è pressoché pari a quella dell'Aquila, che sta ancora subendo però le conseguenze del terremoto. Fra i mobilifici di Monza e Brianza per esempio ci sono tre profughi ogni diecimila abitanti. A Varese uno ogni duemila e cinquecento cittadini. Un peso così insormontabile?