Renzi si vanta: abbiamo catturato 1002 trafficanti. Ma Onu ed Europa contestano: solo una decina l'anno finiscono in carcere, gli altri tornano tutti liberi

«Ne abbiamo arrestati mille e due». Matteo Renzi nella conferenza stampa con il collega maltese Joseph Muscat esalta i risultati dell'impegno italiano nella lotta agli schiavisti. E ribadisce quel numero: 1002 scafisti ammanettati nel nostro paese. Certo. Ma cosa succede dopo l'arresto? Quanti trafficanti di uomini vengono condannati? Quanti sono in carcere? La risposta a questi interrogativi offre un quadro molto meno incisivo. Perché – come accade in tanti altri settori – la macchina della giustizia funziona poco e male, fino a vanificare l'impegno di investigatori e procure.

Lo scrivono a chiare lettere gli osservatori internazionali. Esattamente un anno fa, il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazione Unite forniva dei dati precisi sulla lotta al racket dei migranti nel nostro paese.

Dopo avere visitato l’Italia nel settembre 2013 l’inviato dell’Onu, Joy Ngozi Ezeilo, ha sottolineato i punti deboli del nostro sistema. «La legge prevede pene severe per i reati connessi alla tratta tuttavia, i tassi di condanna sono molto bassi». Un'accusa basata sui dati ufficiali del ministero della Giustizia: «In Italia attualmente si contano 154 persone condannate per il reato di tratta: 70 hanno ricevuto sentenze che vanno dai 5 ai 10 anni, altri 45 invece sono stati puniti con periodi di carcere più lunghi».

Il problema è quello di fornire le prove nei processi. Al momento delle indagini, tanti sono pronti a testimoniare, puntando il dito contro i timonieri dei barconi. Ma al dibattimento, anni dopo, è difficile rintracciare profughi e migranti per portali in aula. Lo sottolineano tutti i rapporti degli osservatori internazionali. «Il basso numero di individui condannati rispetto al numero di indagini dimostra le difficoltà che si incontrano durante la fase di accusa». Se i testimoni non si presentano in tribunale o non confermano le dichiarazioni, per timore di ritorsioni da parte delle reti internazionali dei trafficanti, allora l'imputazione viene a cadere e lo scafista torna libero.

«Dato lo stato molto fragile delle vittime della tratta e la loro paura, capita che la dichiarazione iniziale di una vittima non sia più ammissibile in tribunale. Pertanto, l'accusa deve raccogliere prove sostanziali prima dell'udienza». Qualcosa di più delle parole, che possa resistere al contraddittorio del processo.

Non è il caso delle ultime indagini svolte dagli agenti dello Sco dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo facciano largo uso di intercettazioni, proprio per arrivare al giudizio con elementi forti da contestare.

Sulla stessa lunghezza d’onda il giudizio del “Greta”, il gruppo di esperti del Consiglio d’Europa contro il traffico di esseri umani. Ha fatto il punto sui procedimenti penali comunicati dalla Direzione nazionale Antimafia, in relazione ai tre articoli del codice penale relativi al “traffico di uomini”: 214 procedimenti sono stati avviati nel 2012 (contro 484 indagati) mentre l'anno prima, con il grande esodo dalle primavere penali c'erano state 228 inchieste contro 774 persone. Numeri simili per gli anni precedenti: il top nel 2009 con 271 istruttorie contro 1072 sospetti. Insomma, una grande attività investigativa. Che ha prodotto risultati scarsi. Il Consiglio di Europa evidenzia come nel 2010 ci siano state solo 14 condanne, nove l'anno successivo.

Così, anche dal Consiglio d’Europa, è arrivato lo stesso monito lanciato dalle Nazioni Unite: l'Italia deve fare più «sforzi per garantire che i reati in materia di traffico di esseri umani, per tutti i tipi di sfruttamento, siano attivamente indagati e perseguiti prontamente ed efficacemente, portando a sanzioni proporzionate e dissuasive».

Perché chi è pronto a mandare al massacro centinaia di persone, non teme certo qualche mese di carcere a Palermo. E si arriva a situazioni paradossali: un giovane tunisino, accusato di essere stato parte dell'equipaggio che nel luglio 2014 ha traghettato un migliaio di profughi, nello scorso febbraio è stato condannato a due anni, liberato e subito espulso. Rimandato a casa, pronto per un nuovo viaggio.