Siriani e iracheni fuggono anche dai campi profughi. Per arrivare in Occidente. Seguendo dalla Turchia la rotta dell'Est. In pochi giorni. Con la Grecia a farsi carico di 100mila persone. Mentre l'Italia insegue sempre nuove urgenze

Ci sono il Mediterraneo spalancato e le polemiche sull'accoglienza. I quaranta morti dell'ultimo naufragio e la rivolta dei prefetti al ruolo di capro espiatorio della malagestione. E tutto questo in un'Italia al riparo dalla vera, nuova emergenza migratoria, concentrata adesso altrove, sul confine fra Turchia e Grecia e da lì alle repubbliche balcaniche, dove code di decine di migliaia di migranti si snodano fra i campi di Macedonia e Bulgaria.

C'è tutto questo, ma anche la paura di dover aumentare i posti, gli sforzi e quindi i costi, dopo l'arrivo, il 23 luglio, della delegazione del Parlamento europeo venuta a controllare quanto l'Italia stia applicando le identificazioni di Polizia e come si prepari alla costruzione dei nuovi centri di ospitalità-reclusione previsti dall'Agenda Europea.

Partiamo dai numeri. Che mostrano come il Mediterraneo non sia in questo momento la porta principale d'Europa. Le previsioni per gli sbarchi alle coste Sud d'Italia infatti restano stabili: 200mila persone in tutto l'anno. Nel 2014 furono 170mila. Ma meno della metà rimase allora sul territorio.

E qui il problema: con la chiusura a singhiozzo delle frontiere (vedi Ventimiglia) e il commissariamento europeo dei controlli agli sbarchi, molti più migranti saranno costretti a farsi identificare e fare domanda d'asilo in Italia, nonostante il loro obiettivo sia arrivare in Germania e Nord Europa. E quindi dovranno essere accolti qui fino alla risposta delle Commissioni.
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Cifre aggiornate a riguardo non ce ne sono: come notava Furio Colombo su Il Fatto Quotidiano, il ministero ha smesso di fare bollettini, preferendo il silenzio alla spiegazione. Resta che i salvataggi, per quanto scioccanti nel loro dolore quotidiano (il naufragio dell'altro ieri, con 40 morti, i 2700 soccorsi poco prima) non sembrano preannunciare un'invasione. Almeno non direttamente dal Nord Africa.

LA NUOVA ROTTA
Il fronte aperto infatti è un altro. Nei primi sei mesi del 2015 sono entrati in Grecia più di 100mila migranti. Nello stesso periodo dell'anno scorso erano stati 15mila. Un aumento del 600 per cento. «Sono prevalentemente siriani», commenta Carlotta Sami, portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati: «Molti hanno lasciato il paese solo cinque giorni prima. L'altro giorno abbiamo visto arrivare un ragazzo ferito, con ancora le pallottole in corpo». Significa che il canale è diretto, veloce. Dalla Siria alla Turchia, quindi all'Europa.
Il caso
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La facilità e la velocità è mostrata anche dal boom di annunci su Facebook, che nonostante le denunce continua a essere usato come strumento di Marketing dai trafficanti appostati in Libia ma soprattutto a Istanbul ultimamente. E sulle piccole isole su cui sbarcano i profughi, non c'è nulla di attrezzato.

A Lesbo l'Unhcr sta cercando di migliorare le condizioni della tendopoli di Kara Tepe, che per il degrado e il rischio igienico in cui sopravvivevano i migranti è finita sui giornali di mezzo mondo. Da lì cercano di raggiungere l'Europa attraversando con ogni mezzo possibile, dal treno alla bici, dalla macchina ai sentieri a piedi, le frontiere di Serbia, Albania, Macedonia e Ungheria.
Una coda di migranti fra i campi dell'Europa dell'Est, da Facebook

IN FUGA DALLA FUGA
Molti fanno parte di quello che gli esperti definiscono il “secondo movimento”. Ovvero la recente, doppia fuga  di milioni di siriani e iracheni che hanno perso la speranza di tornare a casa e si muovono adesso verso l'Europa dopo aver vissuto per lungo tempo nei campi d'accoglienza limitrofi alle zone di conflitto. La Federazione irachena per i rifugiati, ad esempio, ha detto che ogni giorno, ormai, 300 curdi iracheni abbandonano la loro terra in cerca di una vita migliore ad Occidente, un esodo di massa che non si vedeva dagli anni '90. «Dal Kurdistan ne partono 60 o 100 al giorno per arrivare in Grecia», ha detto un trafficante all'agenzia di stampa Rudaw.

Ma non è solo dall'Iraq la nuova emergenza. «In Siria vivono sette milioni di sfollati interni», ricorda Sami: «E le condizioni nel paese, al quinto anno di guerra, sono sempre peggiori, in qualsiasi area». La situazione si è aggravata non solo nelle zone di conflitto. «Anche nei campi d'accoglienza che gestiamo noi i servizi non sono più sufficienti», continua la portavoce: «Perché i donatori non stanno aiutando come previsto e i nostri fondi sono meno della metà di quelli necessari. L'altro giorno ho visto una bambina siriana di due anni. Era malnutrita. Non mi era mai capitato prima».
Eugenio Scalfari
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ITALIA IN AFFANNO
Tutto questo si ripercuote anche in Italia. Alla stretta dei vincoli imposta dalla Ue infatti si sommano i ritardi delle commissioni territoriali, che pur raddoppiate non riescono a rispondere in tempi brevi alle domande d'asilo. Così le richieste di posti letto aumentano ad ogni sbarco, in un'urgenza continua che vede i prefetti in frontiera fra le proteste e i soldi distribuiti in via diretta a centri ed hotel.

«Il prefetto di Roma, intelligentemente, nell'ultimo bando ha previsto standard più stringenti, controlli, e un numero leggermente maggiore di letti rispetto al previsto, in modo da anticipare le richieste», spiega Bernardino Guarino del Centro Astalli di Roma: «I sindaci del Nord si rassegnino che questo è un fenomeno ordinario e che ospitare i richiedenti asilo è un nostro dovere. Anche se alcune regioni continuano a non farsi carico della loro parte».

Il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha ribadito il 21 luglio la disponibilità a rendere fruibili alcune caserme, che vanno però ristrutturate per diventare centri d'accoglienza. E dovranno superare gli altolà degli amministratori locali, come non è riuscito a Padova, col prefetto costretto a un dietrofront per il veto del leader della giunta.

«C'è un clima di ostilità diffuso, ingiustificabile. Che colpisce anche noi», racconta Oliviero Forti della Caritas: «Noi stessi non riusciamo in questo momento a concordare col territorio le misure da prendere. I sindaci sono sordi. E i prefetti ci chiamano con tempi strettissimi per trovare posti e appartamenti. È molto positivo il fatto che il sistema stia reggendo anche così».