La data fissata è quella del 31 gennaio: sarà quello il giorno in cui i sanitari di Medici Senza Frontiere lasceranno il loro presidio di Pozzallo, dove dal febbraio 2015 hanno lavorato al fianco dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Ragusa.
Lì, nel centro di primo soccorso e accoglienza, che da ieri ospita anche il terzo hotspot italiano per il riconoscimento dei nuovi arrivati, il compito dei MSF era quella di aiutare i medici dell’Asl nelle prime attività di screening sanitario per chi sbarcava e di fornire, nei Centri di Accoglienza Straordinaria della Provincia di Ragusa, supporto psicologico e assistenza a vittime di eventi traumatici.
Un servizio che, tra pochi giorni, i Medici Senza Frontiere smetteranno di offrire e che tornerà completamente alla Asl, alla quale MSF forniva supporto esterno. Da febbraio scorso ha garantito circa 3000 consultazioni mediche e 800 consulti psicologici, su 15 mila arrivi.
Sulle ragioni di questa fuga, che da MSF dicono di non volere e, anzi, di aver fatto di tutto per evitare, non ci sono dubbi: “Sono mesi" dicono dall’associazione "che diciamo che le condizioni del CPSA sono insostenibili, e che le condizioni in cui vengono trattati i migranti rendono difficoltoso, ove non addirittura vano, il nostro operato”.
Nel lungo elenco delle ‘condizioni impossibili’ dell’ex dogana di Pozzallo dove ha sede il Centro di accoglienza straordinaria, compaiono sia la precaria situazione strutturale dell’edificio, che quelle del trattamento concreto dei migranti.
“Partiamo dal concreto: i bagni sono senza porte, cosa che oltre che poco igienica è poco dignitosa; lo scorso luglio c’è stata, forse per il caldo un’infestazione di blatte negli ambulatori; l’acqua calda non c’è o quasi, fatta eccezione per le primissime ore del mattino; abbiamo chiesto più volte che il centro si dotasse di un’area predisposta per il trattamento della scabbia visto che è la malattia più diffusa tra chi arriva qui e il cui trattamento prevede che il paziente sia completamente nudo: ma ancora una volta, niente e fino ad ora ci siamo arrangiati a usare i bagni, con una procedura antiigienica, poco dignitosa e persino pericolosa, visto che poi il pavimento rimane scivoloso per ore”.
Tutte lamentele che sono state scritte nero su bianco su un rapporto consegnato alle Commissione di inchiesta sul sistema di accoglienza, identificazione e trattenimento dei migranti delle Camere lo scorso novembre ma che, salvo qualche lavoretto di manutenzione e la disinfestazione dagli insetti sono rimasti per lo più lettera morta.
“Faremmo molto volentieri a meno di andarcene- dice Claudia Lodesani, coordinatore medico del gruppo- e se da qui a dieci giorni, per miracolo, le condizioni di lavoro per noi e di permanenza per gli ospiti migliorassero, saremmo solo felici di restare”.
I problemi, a Pozzallo, non riguardano solo i muri, le porte e gli insetti, ma anche il modo in cui ci si sta chiusi dentro. “Chi arriva nel centro di Pozzallo- continua Lodesani-, benché non sia in nessun modo detenuto, spesso rimane lì per settimane, senza poter nemmeno uscire a prendere una boccata d’aria.Una condizione di claustrofobia che è pessima per chi, come è spesso il caso dei migranti, arriva da situazioni già traumatizzanti. L’unica porta del centro spesso rimane chiusa rendendo impraticabile anche l’unica cabina telefonica, che è all’esterno”.
Dunque un centro di assistenza che somiglia, benché non lo sia, a un centro di detenzione. Anzi no: forse è persino un po' peggio.
“A Pozzallo non esiste modo di separare gli uomini dalle donne, che devono convivere promiscuamente negli stessi locali, il che, in molti casi è culturalmente e psicologicamente problematico. La struttura del centro non permette una suddivisione degli ospiti accolti né per genere, né per età, né per vulnerabilità; manca poi un’ala specifica protetta dedicata all’accoglienza dei minori non accompagnati che condividono gli stessi spazi, inclusi i servizi igienici, degli adulti”.
Nel report consegnato alle camere a novembre MSF ha denunciato come le condizioni del centro abbiamo probabilmente generato “episodi di agitazione e sintomi di ansia di origine psicosomatica alcuni dei quali sfociati in atteggiamenti autolesionisti”.
“In queste condizioni, la nostra capacità di offrire una risposta efficace ai bisogni medici e psicologici delle persone vulnerabili - come le donne gravide, i minori e le vittime di tortura - accolte nel centro di Pozzallo e nei centri di accoglienza di Ragusa è estremamente limitata e anzi- continua Lodesani- ora che ha aperto il nuovo hotspot temiamo che le cose possano solo peggiorare”.