Aumenti di salario aziendali e legati alla produttività. Con un contratto nazionale dei metalmeccanici solo di garanzia. È la proposta su cui puntano governo e imprenditori

Quattrini & territorio. Eccoli i maxi-scogli che la nave del contratto con la “C” maiuscola, quello dei metalmeccanici, deve aggirare per non andare a sbattere. Federmeccanica - la federazione delle associazioni di categoria che, dentro la Confindustria, rappresentano 16 mila imprese con quasi un milione di occupati - nel novembre 2015 ha messo sul tappeto una piattaforma destinata a rappresentare una svolta «epocale», almeno secondo l’organizzazione presieduta da Fabio Storchi, sul pianeta delle relazioni industriali.

Un manifesto ricco di disponibilità sul piano del welfare - anche grazie ad alcuni progetti già presi o annunciati dal governo di Matteo Renzi - e articolato sul tema dei premi legati alla produttività e ai risultati. Ma miserello sul lato degli aumenti salariali. Soprattutto quelli che devono scattare in modo automatico e uguali per tutti.

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Contratto dei metalmeccanici, proposte a confronto
10/4/2016

Com’era facilmente prevedibile, i sindacati metalmeccanici hanno applaudito di fronte a proposte come quelle che vedono le imprese farsi carico di una fetta di previdenza integrativa o la partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali, ma hanno ringhiato al cospetto della “tirchieria” in tema di aumenti salariali e sull’obiettivo padronale di esaltare il ruolo dei contratti aziendali e di dare al contratto nazionale un compito di garanzia, di difesa del salario minimo e poco più. In pratica, la federazione degli industriali meccanici accetterebbe di concedere aumenti slegati a produttività e risultati solo a chi, attualmente, incassa una busta paga inferiore ai minimi contrattuali: una platea pari a circa il 5 per cento del totale delle tute blu.

GERMANIA IN FUGA
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Erano largamente immaginabili i “niet” dei sindacati a questa impostazione e quelli di Federmeccanica a prendere in considerazione l’opzione dei contratti territoriali laddove non sia possibile - per le dimensioni ridotte delle aziende o la non volontà del datore di lavoro - siglare intese aziendali. Meno prevedibile, forse, il rapido ricompattamento con conseguente esibizione muscolare della Fiom di Maurizio Landini e delle due altre sigle del settore, la Fim di Marco Bentivogli e la Uilm di Ruggero Palombella.

Nel tratteggiare lo stato delle cose non rifugge dalle iperboli neppure Bentivogli: «È il più duro rinnovo contrattuale della storia. Scaduto il contratto del 2009, di fatto non ci sono state più regole. Federmeccanica è arrivata a formulare la proposta dopo un lungo tour nelle associazioni territoriali, dove ha raccolto le rabbiose volontà dei piccoli imprenditori che si sentono soffocati dal peso del costo del lavoro, specie di quelli che si sentivano più rappresentati da Sergio Marchionne che dalla Confindustria». Il boss di Fiat-Chrysler piace a Matteo Renzi e a tanti associati a Confindustria, anche se dall’organizzazione padronale se ne è andato sbattendo la porta all’epoca di Emma Marcegaglia.

Così, paradossalmente, la piattaforma di Federmeccanica sembra ottenere il plauso di governo e Lingotto, ma un’accoglienza meno granitica nella stessa Confindustria. «L’esecutivo ha intenzione di mantenere la barra dritta per favorire l’aumento di produttività nelle aziende, che è l’elemento centrale per rendere consistente la crescita del Paese, non mollerà la presa sulla contrattazione aziendale legata alla produttività», assicura Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro in Bocconi e presidente dell’Anpal, l’Agenzia per le politiche attive del lavoro. Lui è uno degli esperti che ha elaborato i tasselli fondamentali inseriti nella Legge di Stabilità: tassazione agevolata al 10 per cento per i premi di produttività; zero tasse per i voucher dedicati a spese mediche e asili nido; un superbonus massimo di 2.500 euro, defiscalizzato, per i lavoratori delle aziende che coinvolgono i dipendenti nell’organizzazione. In filigrana si leggono i punti della piattaforma di Federmeccanica, riportata a pagina 40.

Fiom, Fim e Uilm - che pure nel mondo Fiat si sono scontrate duramente - davanti al manifesto “rivoluzionario” di Federmeccanica, che potrebbe aprire le porte a un nuovo modello di contratto per tutti, ben visto dal governo e da molti imprenditori, che di fatto vedrebbe gli aumenti salariali agganciati per intero alla produttività di una singola azienda, più che a un intero settore, si sono unite. E hanno dissotterrato l’ascia di guerra dello sciopero generale unitario, una minaccia che non si vedeva da anni e che un tempo era capace di paralizzare il Paese e far tremare i governi: appuntamento mercoledì 20 aprile, con l’astensione dal lavoro di quattro ore.


IL DIETROFRONT DI DOLCETTA

Sarà il primo esame di spessore per il presidente incaricato di Confindustria, Vincenzo Boccia, che giovedì 31 marzo ha battuto, per una manciata di voti, proprio uno dei campioni della meccanica tricolore, il bolognese Alberto Vacchi, che ha fatto della sua Ima una multinazionale con 4.800 addetti.

La vittoria di Boccia sta creando qualche inquietudine nel fronte degli industriali meno disposti a fare passi indietro dalla piattaforma “innovativa” brandita da Federmeccanica. È vero che tutti e quattro gli iniziali candidati alla poltrona di capo della Confindustria avevano dichiarato la propria adesione alla piattaforma, Boccia compreso, ma ora gli intransigenti s’interrogano, anche se nessuno esce allo scoperto.

Neppure Stefano Dolcetta, l’industriale delle batterie Fiamm, che nell’ottobre scorso, quando i chimici avevano firmato un contratto più tradizionale, era andato in collisione con il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, un big del settore. Dolcetta, che di Confindustria è vicepresidente con delega alle relazioni sindacali, sostenuto da altri presidenti delle associazioni venete, ha inizialmente considerato l’accordo una specie di sgambetto alla linea stessa che Confindustria aveva sposato poche settimane prima, assumendo le proposte di Federmeccanica come se fossero incise nella pietra. Ma, dopo aver tanto tuonato contro Squinzi, ha votato per Boccia, cioè per il candidato sponsorizzato dal patron della Mapei.

Segnali che non sono piaciuti affatto a molti industriali meccanici e anche a parecchie organizzazioni territoriali di zone in cui la presenza dei meccanici è fortissima. Dice per esempio Guido Venturini, direttore di Confindustria Bergamo: «Il contratto firmato da Federchimica è senz’altro il più grosso scivolone della gestione Squinzi. Speriamo che Boccia difenda l’impostazione di Federmeccanica. Anche se con lui si sono schierati i rappresentanti di categorie che non paiono entusiaste di quella proposta, come la chimica ma pure il legno, la grafica, le costruzioni, molte aziende partecipate dallo Stato». Anche dalle parti di Palazzo Chigi, nonostante abbiano ben altri guai da fronteggiare, hanno alzato le antenne. «La piattaforma di Federmeccanica reggeva finché aveva il riconosciuto peso politico di un presidente metalmeccanico forte come Vacchi», dice una fonte vicina al governo, che aggiunge: «Le imprese sono disposte ad andare in battaglia se sanno di avere alle spalle una macchina pronta a sostenerli. Se la situazione all’interno di Confindustria si fa confusa e permangono le divisioni che hanno portato alla spaccatura nell’elezione del presidente, è probabile che tante facciano retromarcia e puntino a chiudere il contratto in fretta. La mia pessimistica previsione è che il “manifesto” dei meccanici ne uscirà annacquato».

Federmeccanica sostiene che negli ultimi sei anni le retribuzioni procapite sono salite del 6,5 per cento mentre la ricchezza complessiva prodotta dal settore è calata del 18 per cento. Ecco perché il contratto nazionale deve lasciare spazio a quello aziendale e punta su un sistema che contempli la possibilità di sostanziali deroghe definibili a livello aziendale anche sui contenuti economici, che non devono essere cumulativi, all’interno di schemi da stabilire a livello nazionale.
Commenta Bentivogli: «La volontà di Federmeccanica, in soldoni, è quella di non pagare il contratto nazionale dove c’è quello aziendale. E il governo Renzi, in sintonia con gli industriali, vuol puntare sul minimo salariale. Inserire il salario minimo in categorie già contrattualizzate è un errore, finirebbe per peggiorarne la situazione». Secondo il leader della Fim, la ricetta di Federmeccanica grava sulle imprese in maggiore difficoltà e rischia di scaricare le tensioni salariali a livello aziendale, non dà garanzie e fa saltare le relazioni industriali. In attesa della ripresa delle trattative post-sciopero, la domanda è semplice: come andrà a finire? Cesare Damiano, Pd, presidente della Commissione Lavoro della Camera, ex sindacalista di primo piano e soprattutto ex ministro del Lavoro («l’ultimo contratto dei metalmeccanici l’ho firmato io, pochi giorni prima che cadesse il governo Prodi, otto anni fa») prevede che alla fine il compromesso ci sarà: «Il sindacato non può aspettarsi un risultato salariale vistoso sul contratto nazionale in tempi di deflazione, però un aumento ci sarà anche se i soldi veri andranno dati a livello aziendale. E sull’unità ritrovata tra Fiom, Fim e Uilm mi auguro che si riveli stabile».


SPAURACCHIO MARCHIONNE

Il compromesso, per Damiano, comunque non sarà sulla contrattazione territoriale. «È una questione antica: Federmeccanica ha sempre visto di cattivo occhio le negoziazioni territoriali e non cambierà idea stavolta». La pensa così anche un altro ex sindacalista di lungo corso, Giuliano Cazzola, in Cgil dal 1965 al 1993, con un passato nella Fiom e due anni alla guida dei chimici: «Un punto d’incontro possibile sarà una sorta di indennità sostitutiva in caso di mancata contrattazione aziendale». Cazzola invita il sindacato a non impiccarsi al totem del contratto nazionale. «Non ha senso farne il fulcro del dibattito quando la storia lo ha reso sorpassato. Governo e Federmeccanica, col salario minimo e l’accelerazione sulle trattative aziendali, provano a tracciare un percorso moderno. Negli anni Sessanta, non dimentichiamolo, fu il sindacato a battersi per i contratti aziendali. Era una posizione d’avanguardia». All’epoca, tuttavia, il sindacato pensava soprattutto ai grandi gruppi, mentre le piccole e medie imprese, tessuto vitale della manifattura italiana, erano considerate “marginali”. Ora invece, come ha sottolineato Maurizio Landini, tra i metalmeccanici «la contrattazione aziendale si fa solo nel 37 per cento delle imprese e riguarda una minoranza di lavoratori». Il contratto nazionale, ribadisce il segretario della Fiom, «deve tutelare il potere d’acquisto reale delle retribuzioni; quello aziendale, che vogliamo sviluppare, si aggiunge».

Insomma, lo scontro sostanziale tra la federazione confindustriale guidata da Fabio Storchi e la triplice sindacale è proprio sugli aumenti del contratto nazionale, a cui è dura rinunciare. «Quando la posizione di Federmeccanica si è “marmorizzata” sul salario abbiamo deciso, insieme a Fim e Fiom, di dare una risposta comune a Federmeccanica», spiega Bentivogli. La sua organizzazione, pochi giorni fa, ha firmato un patto d’azione con i colletti bianchi del gruppo Fca e il segretario Fim la scelta la spiega così: «Alla Fiat le cose stanno andando benissimo - investimenti, aumenti salariali, nuovi modelli - anche perché si è creata unità tra i dipendenti».

Non si stupisce dell’attrazione esercitata dal modello Marchionne un attento suiveur di affari sindacali come Walter Galbusera, che è stato segretario generale dei chimici Uil e capo della mitica Flm a Milano, ora presidente della Fondazione Anna Kuliscioff: «Il numero uno di Fca ha dimostrato con i fatti che, in Italia, si può stare senza contratto nazionale. E nel suo gruppo sono stati i lavoratori con il voto a sconfiggere la Fiom, non lui. E se la Confindustria non cambierà passo, non sono da escludere altre uscite di gruppi affascinati dal Marchionne style».

Prima lo sciopero, poi trattative da condurre sull’orlo del precipizio. Avrà bisogno di una solida imbarcazione e di un efficiente equipaggio, il neo presidente Boccia, per condurre in porto la navigazione di Confindustria nei mari della metalmeccanica, bisognosa di un corposo rilancio.