Nel giorno della commemorazione del disastro aereo che provocò 81 morti, i familiari delle vittime continuano a invocare verità e criticano la "direttiva Renzi" che ha desecretato gli atti d'inchiesta: "Documenti già noti"

Strage di Ustica, un altro anniversario senza la verità: il trentaseiesimo. Il 27 giugno del 1980 sono da poco passate le nove di sera quando il volo DC-9 dell'Itavia, decollato dall'aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna e diretto a Palermo, scoppia in volo e si abissa nelle acque al largo fra le isole di Ustica e Ponza. L'ultimo contatto radio con il pilota è delle 20.59. Da quel momento solo il silenzio. Nell'incidente muoiono 81 persone. Un «mistero italiano», verrà ribattezzato più tardi, rimasto ancora senza spiegazioni.
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Cedimento strutturale, bomba a bordo, un missile che colpisce il velivolo o la collisione con un aereo militare: sono almeno quattro le ipotesi su cui in questi anni si è concentrato il lavoro degli inquirenti. Ma le indagini - complici false dichiarazioni e depistaggi - non hanno mai portato all'individuazione delle cause né hanno mai fatto chiarito eventuali responsabilità. Una strage, dunque, ancora senza colpevoli. E sulla quale aleggiano ombre e «opacità persistenti», come le ha definite il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un telegramma diffuso dalla presidente dell'Associazione parenti delle vittime, Daria Bonfietti.

In questi decenni commissioni parlamentari, inchieste giornalistiche e giudiziarie hanno cercato le cause di quella sciagura: un cedimento, un attentato o un complotto internazionale? Ancora non è chiaro. Sta di fatto che il DC-9 rimase inabissato a più di 3.700 metri di profondità fino al 1987, quando Giuliano Amato, all'epoca ministro del Tesoro, stanziò i fondi per il recupero del relitto: recupero che venne completato nel 1991. Da allora i resti dell'aereo sono conservati al Museo per la memoria di Ustica, a Bologna, dove anche quest'anno i familiari delle vittime si sono riuniti per ricordare la strage e invocare «trasparenza» su quanto accadde quella notte.
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Nulla ancora è emerso – sostengono i parenti dei morti di Ustica – dagli atti desecretati dal governo Renzi nell'aprile 2014, quando il premier insediatosi da due mesi a Palazzo Chigi annunciò di aver rimosso il segreto di Stato da centinaia di documenti relativi a otto stragi della storia recente d'Italia: da Ustica a Piazza Fontana, da Piazza della Loggia a Brescia fino alla bomba alla stazione di Bologna.

«Non ci sono documenti di quei giorni, di quei mesi e di quell’anno ma solo materiale relativo a cose già note», ha denunciato Daria Bonfietti, che ha studiato le carte messe a disposizione dalla presidenza del Consiglio. «Emerge drammaticamente che la stragrande maggioranza dei carteggi versati fa riferimento ad indagini successive agli eventi e non a documentazione prodotta nel periodo stesso di interesse», ha sottolineato ancora Bonfietti che il prossimo 30 giugno parteciperà a una tavola rotonda con il governo, rappresentato dal sottosegretario Claudio De Vincenti, proprio per discutere sull'utilità della “direttiva Renzi”.

Alla viglia dell'anniversario, associazioni e parenti delle vittime hanno auspicato che l'evento non si trasfromasse anche quest'anno «in uno stanco rituale senza passi avanti verso una verità univoca e condivisa» e insistono affinché il governo autorizzi il rilascio di nuovi documenti.

«Mancano ancora troppi tasselli, lo Stato ha il dovere ci continuare a cercare la verità», ha detto la presidente della Camera Laura Boldrini che si è aggiunta al l'appello di parenti e istituzioni che in questi anni hanno continuano a pungolare i governi affinché dessero un contributo e una collaborazione concreta per la ricerca della verità.