Un ennesimo progetto di legge depositato alla Camera chiede di rendere ufficiale il “Canto degli italiani”. È il terzo solo in questa legislatura, il ventunesimo negli ultimi 15 anni. Ma nessuna proposta è mai stata neppure discussa

“In Italia nulla è stabile come il provvisorio”: chissà se Giuseppe Prezzolini pensava all’inno di Mameli quando coniò uno dei suoi aforismi più celebri. A 70 dal referendum da cui nacque la Prima Repubblica e alla vigilia di quello che dovrebbe traghettarci nella Terza, infatti, il “Canto degli italiani” - caso unico al mondo - non è ancora ufficialmente riconosciuto. Era il 12 ottobre 1946 quando il Consiglio dei ministri, presieduto da Alcide De Gasperi, lo adottò come inno militare provvisorio. Umberto II era partito da quattro mesi per l’esilio in Portogallo e occorreva al più presto sostituire la Marcia reale sabauda: il 4 novembre le Forze armate avrebbero giurato fedeltà alla neonata Repubblica e ne occorreva al più presto uno nuovo. E lì siamo fermi, sette decenni dopo: non è arrivata mai una legge, né il decreto annunciato dall’allora ministro della Guerra Cipriano Facchinetti, né l’inserimento nella Carta costituzionale, la cui elaborazione muoveva i primi passi proprio in quelle settimane.

Non che il Parlamento non ci abbia provato, a sanare questa situazione: soltanto negli ultimi 15 anni, ha ricostruito l’Espresso, fra Camera e Senato sono stati depositati 21 progetti di legge. E non solo non se ne è mai fatto nulla: non sono mai stati nemmeno discussi, anche se con un po’ di buona volontà basterebbero davvero poche ore di lavoro. L’unico risultato concreto è la legge con cui nel 2012 è stato istituita il 17 marzo la “Giornata dell'Unità nazionale, della Costituzione, dell'inno e della bandiera”, per commemorare la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861. E anche in quella circostanza si rischiò di finire in burla, fra i leghisti che per protesta abbandonarono l’Aula (“aveva ragione Metternich”, il riferimento pseudo-colto dell’ex ministro Roberto Castelli) e i sudtirolesi del Svp contrari (“in Alto Adige questo significa soffiare sul fuoco della protesta”) finché non fu concesso loro di decidere in autonomia se il provvedimento prevaricava la sensibile identità della minoranza tedesca.

C’è chi ritiene che quella legge, nata per insegnare “Fratelli d’Italia” nelle scuole, abbia risolto implicitamente il problema. Solo che a leggere il testo, a dispetto del titolo, non sembra così scontato: si parla di iniziative nelle classi per riflettere “sulle vicende che hanno condotto alla scelta dell'inno di Mameli” ma nulla più.

Intanto le proposte di legge fioccano, anche perché non costa nulla e danno visibilità. L’ultima è quella del deputato Umberto D’Ottavio (Pd). Ma arriva in ritardo: prima di lui, solo a considerare l’ultima legislatura, ci hanno già pensato il suo collega di partito Gianluca Benamati (con una proposta-fotocopia di un’altra risalente al 2010) e il parlamentare Gaetano Nastri, che in Fratelli d’Italia ci milita. Tutti e due senza grande successo: a tre anni di distanza le due iniziative legislative non sono mai nemmeno state inserite all’ordine del giorno della commissione Affari costituzionali, alla quale sono state assegnate. E stessa sorte hanno conosciuto tutte le altre depositate in Parlamento negli ultimi 15 anni: dalla prima nel 2002, del finiano Agostino Ghiglia, alle quattro presentate ai tempi del cagionevole governo Prodi, fino alle 13 della scorsa legislatura.

Il totale fa 21 e per tutte la specifica è chiara: “Non ancora iniziato l'esame”. Insomma, il Canto degli italiani può aspettare. Per citare Rino Gaetano, “Michele Novaro incontra Mameli e insieme scrivono un pezzo tuttora in voga”. Ma da qui a renderlo l’inno ufficiale della Repubblica ce ne vuole. Almeno finora.

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