Una ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine ha individuato una correlazione inequivocabile fra modificare (anche di poco) la propria dieta e una riduzione della mortalità a vent’anni. Ecco le accortezze da tenere a mente

Anche i piccoli cambiamenti nelle proprie abitudini alimentari fanno la differenza sull'avere una vita più o meno lunga. Non sono necessarie scelte radicali: basta solo consumare un po' meno carne, più verdure e cereali integrali per veder diminuire sensibilmente il rischio di mortalità, in particolare per malattie cardiovascolari. A fare la differenza però è la costanza: non serve stravolgere le proprie abitudini, diventare necessariamente guru del veg per vivere più a lungo: l'importante è adottare qualche escamotage alimentare per tutta la vita, anche a partire da un'età non più giovanissima.

Ad affermarlo è una ricerca pubblicata i giorni scorsi sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine, che ha esaminato le abitudini alimentari di 74 mila americani, valutando l'associazione fra l'essere passati a una dieta sana ed equilibrata per un periodo di 12 anni dal 1986 al 1998 – lo studio prende in esame tre diete, fra cui la dieta mediterranea – e i tassi di mortalità complessiva nel 12 anni successivi, dal 1998 al 2010. Quello che è emerso è che il gruppo composto da chi aveva modificato anche di poco la propria dieta, aveva un rischio di morte precoce sensibilmente più basso rispetto a chi aveva continuato con una dieta non sana. Ma non solo: lo studio ha anche mostrato il contrario e cioè che peggiorare le proprie abitudini alimentari aumentava il rischio di mortalità.

“Il messaggio di questo studio è molto positivo perché conferma che mangiare meglio ti fa davvero vivere più a lungo e soprattutto che chiunque anche con piccoli gesti e a qualsiasi età può iniziare a godere di questi benefici” spiega a l'Espresso Alice Cancellato, nutrizionista presso il reparto di ginecologia oncologica e per il centro scienze natalità dell'Ospedale San Raffaele di Milano.

È sufficiente cambiare il 20% delle nostre abitudini alimentari
Non è il primo studio a sottolineare il legame fra cosa mangiamo e il rischio di sviluppare malattie croniche e quindi un'aspettativa di vita inferiore. Basti pensare a noto articolo apparso nell'ottobre del 2015 sulla cancerogenicità della carne rossa, di cui l'Espresso aveva parlato qui. La novità è che non è stato esaminato un alimento in particolare in riferimento a una causa di mortalità precisa – la carne, il formaggio, gli zuccheri in confronto all'insorgenza di cancro o malattie cardiovascolari – ma tre stili alimentari, fra loro molto simili, che sono stati associati alla mortalità complessiva. “La dieta è la combinazione di molte componenti che agiscono sinergicamente” scrivono gli autori.
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In genere dunque, il gruppo di chi aveva modificato del 20% la propria dieta secondo i consigli dei tre regimi alimentari esaminati – il 20% non è moltissimo, se ci pensiamo – aveva mostrato dopo vent'anni una riduzione della mortalità fino al 17% rispetto a chi non lo aveva fatto. Ma cosa significa “migliorare del 20%”? Significa per esempio aver anche solo introdotto una porzione giornaliera di noci o legumi o aver consumato meno carne rossa, cioè non ogni giorno ma solo saltuariamente. Una diminuzione dei tassi di mortalità del 17% significa invece che se il tasso di mortalità di una data popolazione è poniamo di 10 morti ogni 1000 abitanti, il gruppo in questione mostra una mortalità del 17% inferiore rispetto a questo 10 per 1000.

I piccoli gesti che fanno la differenza
“Gli alimenti che hanno contribuito alla diminuzione della mortalità sono in particolare i cereali integrali, che sarebbero da preferirsi a quelli raffinati, non perché questi ultimi siano dannosi come invece spesso viene erroneamente raccontato, ma perché sono meno nutritivi, hanno meno vitamine del gruppo B, (quelli raffinati non contengono omega 3 ma solo quelli integrali) sali minerali, e fibre” spiega ancora Cancellato. “Un elemento importante è poi il pesce, che andrebbe mangiato spesso, in particolare quello pescato, da preferirsi a quello di allevamento, che viene alimentato con mangimi e non si nutre dunque di altri pesci o di alghe. Inoltre è importante selezionare pesci di taglia piccola, che cioè hanno avuto meno tempo di incamerare metalli pesanti al contrario di pesci più grossi come il tonno o il pesce spada, e comprare pesce azzurro come sgombro, sarde e alici, che si trovano anche nel Mediterraneo e che sono ricchissimi di omega 3. Ottimo il pesce surgelato, che mantiene tutte le proprietà del pesce appena pescato”.
Anche sulla verdura possiamo lavorare – ci spiega la dottoressa – per esempio scegliendo verdura di stagione meno a rischio di essere stata trattata con pesticidi, e che andrebbe consumata a tutti i pasti, con porzioni di almeno 250 g se cotta e 50g se cruda. Non vale dunque la regola di inserire qualche foglia qua e là: la verdura, che sia cotta o cruda, va consumata in porzioni adeguate.

Carne rossa due volte al mese
Il vero pomo della discordia però è la carne, in particolare quella rossa, su cui si tende a fare di tutta l'erba un fascio. “La carne rossa è l'esempio più eclatante del fatto che a fare la differenza fra fare male oppure no è la dose” spiega Cancellato. “Perché non nuocia alla nostra salute dobbiamo limitarci a gustare la carne un paio di volte al mese, o al massimo, se le dosi non sono elevatissime, una volta alla settimana (50g a settimana è per gli insaccati e 500g a settimana per la carne bianca e rossa) E ancora meno dovremmo consumare gli insaccati, che in più sono pieni di sale e di nitriti, che vengono usati come conservanti. Consumare carne ogni giorno a lungo andare incide sulla nostra aspettativa di vita, e questo studio ne è l'ennesima conferma.”
Se proprio dobbiamo consumare carne, da recenti studi pare che quella bianca abbia effetti meno negativi sulla salute, anche se – consiglia la nutrizionista – anche con la carne bianca è bene non superare le 3 volte a settimana. Lo evidenzia un altro studio, pubblicato lo scorso maggio sul British Medical Journal, anch'essa fra le riviste mediche più prestigiose al mondo, dove si mostra che il consumo massiccio di carne rossa e lavorata è associato con un aumento della mortalità. Un risultato che è emerso studiando per 16 anni le abitudini alimentari di 536 mila americani e analizzando le loro cause di morte. Chi consumava in percentuale sul totale della carne più carne bianca e pesce mostrava tassi di mortalità leggermente più bassi, in particolare riguardo alle morti per malattie croniche del fegato.

Le tre lezioni da imparare
La prima lezione da portare a casa da questo studio è che la costanza è importantissima: il cambiamento nel rischio di morte è risultato infatti più pronunciato a lungo termine, cioè a 16 anni dall'inizio della dieta rispetto a 8 anni dopo. Per esempio – si legge – un cambiamento del 20% nella dieta era associato a una riduzione della mortalità dell'11% dopo 8 anni ma del 26% dopo 16 anni. La seconda è che nel complesso questo studio suggerisce che non è fondamentale fissarsi con una dieta specifica e seguire quella e solo quella per tutta la vita. I buoni consigli in termini di alimentazione sana sono pochi e sempre quelli: mangiare meno carne e meno formaggi e sostituirla con i legumi che forniscono sempre proteine, mangiare meno prodotti elaborati, più verdura in porzioni adeguate, più frutta, più pesce e più cereali integrali. “Lo stesso studio ha dimostrato che queste tre diete esaminate, fra cui anche la dieta mediterranea, differiscono in realtà molto poco fra loro” commenta la dottoressa Cancellato.

Infine, la terza importante lezione è il concetto secondo cui migliorare la salute non significa fare una cosa sola, ma migliorare il nostro stile di vita nel complesso. La prevenzione è una rete, non una stanza chiusa. I partecipanti allo studio che hanno mostrato i miglioramenti più consistenti delle proprie abitudini alimentari sono stati i giovani, quelli che facevano più attività fisica e consumavano meno alcol. E soprattutto, a 12 anni di distanza queste persone erano in media più magre, fumavano di meno, facevano più attività fisica rispetto a chi aveva mantenuto una dieta meno sana.