Da fisica a ingegneria, promossi e bocciati nei risultati dell’indagine Anvur, l’agenzia nazionale di valutazione



Per chi non ci ha badato troppo potrebbe forse sembrare una questione astratta – magari solo da addetti ai lavori. Eppure capire chi produce la migliore ricerca in Italia, e dove, non è solo una questione di prestigio o status accademico. In ballo ci sono anche soldi, sotto forma di finanziamenti destinati soprattutto a chi verrà giudicato più meritevole, e c’è da scommettere che i rimasti a secco difficilmente staranno in silenzio a guardare.

In quali università e in quali discipline allora si trova oggi la ricerca italiana di punta? E dove quella scadente? Il quadro più approfondito arriva dai risultati dell’Anvur, l’agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, che proprio di recente ha completato la sua seconda valutazione generale.

I partecipanti al progetto – poco meno di 20mila revisori, molti dei quali esteri – hanno analizzato circa 100mila “prodotti”: ovvero contributi scientifici come articoli, monografie, capitoli di libri e così via. In base ai risultati complessivi è possibile farci un’idea dello stato della ricerca italiana, ateneo per ateneo e disciplina per disciplina.

Economia
I risultati si riferiscono al triennio 2011-2014 e a sedici aree diverse. La ricerca economica italiana, per cominciare, risulta al miglior livello nella Bocconi di Milano, mentre i risultati della Sapienza sono stati decisamente deludenti: fra gli istituti di maggior dimensione è di gran lunga ultima.

Fra le università medie spicca Padova – che ha ottenuto buoni risultati anche in diverse altre discipline –, con Bari in fondo e Chieti-Pescara che ottiene un piazzamento al più mediocre. Nei centri minori il distacco fra migliori e peggiori appare ancora maggiore: in cima troviamo l’Imt di Lucca, molto in fondo l’e-Campus di Novedrate – università telematica in provincia di Como.

Per semplicità l’Anvur ha fissato la media complessiva di ciascuna disciplina sempre a 1, così da rendere più immediati i confronti fra istituzioni. Un valore pari a 1,50 come quello di Padova indica che, nel complesso, le ricerche hanno ottenuto un risultato 50 punti percentuale superiore alla media di area. Viceversa, il punteggio ottenuto da Bari pone l’università 42 punti sotto la media.


Fisica
In fisica è di nuovo Padova a sorpassare tutti gli altri grandi istituti, con Milano e Tor Vergata nella media; la Federico II di Napoli appena sotto. Fra università e centri di ricerca di grandezza minore la Sissa di Trieste compare spesso molto in alto – e anche in questa disciplina è così, tanto da superare Milano Bicocca. Molti altri nomi risultano intorno alla media nazionale, appena sopra o appena sotto, ma nessuno ha fatto male in fisica quanto le università di Messina e del Sannio – assai in basso rispetto al resto del gruppo.


Biologia
Padova non è invece prima nella ricerca in biologia, ma comunque segue a breve distanza l’università di Torino. Anche in questo caso le romane non fanno benissimo, con Tor Vergata appena sotto la media e La Sapienza ancora un altro po’ più in basso. Il primato – si fa per dire – del peggior risultato spetta di nuovo a un’istituzione della capitale, e ancora una volta si tratta di un’università telematica: Roma Marconi. Sempre fra le piccole, ma nell’altro verso, è il S. Anna di Pisa che ha presentato le ricerche biologiche valutate al meglio.


Medicina
Se invece parliamo di medicina le posizioni di Torino e Padova s’invertono, con la seconda che torna in testa. Bene i S. Raffaele sia di Milano che di Roma, con quello della capitale che a voler essere pignoli va un po’ meglio. Le ricerche valutate come peggiori rispettivamente fra istituti grandi, medi e piccoli compaiono invece in due università del sud – le siciliane Messina e Catania –, nonché in quella di Macerata, nell’Italia centrale.


Matematica e Informatica
In matematica e informatica, almeno fra le principali, il divario fra università appare invece meno ampio che altrove. Certo Pisa ha ottenuto i risultati migliori, ma rispetto alla Federico II di Napoli – in fondo alla classifica – la differenza non è poi così grande. Diverso è invece il discorso per gli istituti di dimensione minore, dove Pavia supera nettamente il resto del gruppo in un caso, mentre il duo Normale di Pisa e Sissa di Trieste svetta sulle piccole. A rendere ancora maggiori le differenze fra queste ultime è il pessimo risultato dell’università del Molise, la cui ricerca in questo campo non sembra davvero raggiungere standard di qualità decenti.


Ingegneria
Un ulteriore area è quella che raggruppa diversi tipi di ingegneria, dove ancora la ricerca padovana appare in ottima forma rispetto al resto del paese. Un’università del meridione come Salerno ha invece ottenuto ottimi risultati fra le istituzioni medie, mentre fra le piccole le università telematiche si confermano di gran lunga le peggiori del gruppo. Fra queste, il miglior risultato spetta a Unicusano di Roma, molto sopra la media nazionale.


Chimica
L’ultimo campo scelto è la chimica, dove come in molti altri casi troviamo un ampio fossato fra istituti del nord e del centro-sud, e in favore dei primi. Quelli con i risultati più scadenti compaiono spesso nel secondo gruppo, e nel caso della chimica sono Catania, Foggia e Basilicata – ma anche l’università delle Marche, le cui ricerche la portano assai in basso. Eccezione alla regola è Catanzaro, che invece nel gruppo delle piccole si colloca in cima, e comunque poco sopra il politecnico di Torino, Milano Bicocca o Tor Vergata.


Poiché la tentazione è forte e i numeri sono a portata di mano, conviene sottolineare che – proprio per come è stata costruita l’indagine – paragoni diretti fra settori diversi sono impossibili. I risultati di ogni disciplina si riferiscono solo al proprio interno. Pur deludendo gli appassionati dei confronti a tutti i costi, non ha senso dire che matematica a Padova è meglio di economia a Milano, oppure che i fisici di Napoli producono ricerca peggiore degli ingegneri di Torino.

A volte persino fare paragoni all’interno dello stesso settore può essere complicato. Già nella fisica italiana, come ricorda il rapporto di area, “i dati evidenziano una chiara dicotomia nella tipologia di prodotti sottoposti a valutazione [...], con le grandi collaborazioni della fisica delle particelle, delle alte energie e dell’astrofisica da un lato e il resto della disciplina dall’altro, dalla fisica della materia, alla fisica teorica, alla fisica applicata, all’astronomia fino alla ricerca interdisciplinare”.

Non sempre è facile mettere accanto gli sforzi che portano gli scienziati italiani in progetti dal budget miliardario come quelli del CERN di Ginevra, per citare un caso, a quelli impegnati in ricerche organizzate in modo diverso e magari più semplice. Succede spesso che i lavori scientifici del primo gruppo siano firmati anche da moltissimi autori diversi, e questo è un altro elemento che può complicare la situazione.

E dunque, raccomandano gli autori del rapporto, “il confronto fra istituzioni che si connotano maggiormente per prodotti dell’una o dell’altra tipologia di collaborazione richiede molta cautela”. In generale, paragoni fra istituzioni di dimensioni simili tendono a dare risultati più accurati – perché considerano soggetti simili fra loro –, e per questo l’Anvur le ha divise in gruppi a seconda che siano grandi, medie o piccole.

I risultati dell’Anvur non fanno riferimento all’insegnamento o ad altri compiti svolte da università e centri di ricerca, e questo esclude dalla valutazione una parte – a volte significativa – delle loro attività. Per esempio l’Imt di Lucca, pur risultando ampiamente in testa nella ricerca economica fra le istituzioni piccole, è stato coinvolto di recente in uno scandalo portato alla luce dal Fatto Quotidiano.

L’inchiesta ha evidenziato come ampie parti della tesi di dottorato di una sua ex studentessa, l’attuale ministro per la semplificazione e pubblica amministrazione Marianna Madia, risultino uguali a brani di altri lavori scientifici. Nel testo, scrive l’autrice dell’articolo, “ci sono passaggi pressoché identici a quelli presenti in altre pubblicazioni. La fonte di quei passaggi non risulta citata laddove il ministro li riporta nella sua tesi. Col risultato che spesso non è possibile distinguere le parole originali della Madia da quelle di altri autori”. L’istituto si è poi affidato a una commissione interna per accertare l’accaduto.

Casi in parte simili, come quello che coinvolto il deputato Pd e presidente della commissione bilancio Francesco Boccia, non rientrano né possono rientrare nella valutazione dell’Anvur e certo non si misurano a colpi di numeri – ma neppure possono essere esclusi se vogliamo farci un’idea di come funziona un ateneo o l’altro. Come minimo danneggiano gravemente la reputazione di chi vi è coinvolto, studenti, docenti o ricercatori che siano: difficile parlare di ricerca di qualità se – per cominciare – neppure risulta chiaro cosa è farina del proprio sacco e cosa no.

Per capire i risultati dell’Anvur c’è un altro elemento da sottolineare. Com’è naturale, istituzioni piccole producono nel complesso meno ricerca. E infatti, come segnalato di recente in un articolo su lavoce.info, dello stesso Imt di Lucca è stato necessario valutare tre anni di ricerche economiche in base a sole dieci pubblicazioni scientifiche. Certo non sarebbe stato possibile fare altrimenti, ma un numero tanto piccolo di ricerche rende i risultati intrinsecamente più variabili rispetto – per esempio – a quelli di grandi istituzioni in cui gli studi analizzati sono state molti di più. Non per forza risultati sbagliati, s’intende, ma inevitabilmente con margini di errore più ampi nei risultati.

Mettere in piedi il sistema dell’Anvur ha richiesto anni di sforzi, trattative, compromessi. Da parte di alcuni – in forte disaccordo con il metodo – anche una buona dose di polemiche. Come in tutti i casi in cui si cerca di misurare qualcosa di non facile da misurare, è bene ricordare che i risultati non vanno presi alla lettera.

Non ha molto senso guardare i centesimi di punto che separano una facoltà dall’altra, un dipartimento dal secondo: per cercare di farci un’idea di dove le cose funzionano meglio mettere da parte gli zero virgola e dare un’occhiata al quadro complessivo. Così da un lato c’è da fare i complimenti a chi è risultato in alto, dall’altro domandare cosa – e se – è stato prodotto con risorse che avrebbero potuto invece essere destinate ai più bravi.

L’autore ringrazia il professor Francesco Lippi per l’aiuto durante il lavoro di ricerca per questo articolo.