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Attualità
gennaio, 2019

Reddito di Cittadinanza, perché sarà un flop

Maurizio Del Conte, presidente di Anpal, l'agenzia nazionale politiche attive lavoro, spiega: «L'intero sistema non regge»

Il Reddito di cittadinanza, il provvedimento simbolo della campagna elettorale per le elezioni Europee del Movimento 5Stelle, è venuto alla luce. È stato partorito nella serata di giovedì 17 gennaio al Consiglio dei Ministri, mentre le risorse erano già state accantonate con l'ultima legge di Bilancio. Gli italiani sborseranno 4,68 miliardi di euro (più altri due che erano già stati stanziati per il Reddito di Inclusione del precedente governo) per sostenere l'uscita di cinque milioni di persone (1,2 milioni di famiglie) dalla povertà assoluta. Il Reddito di cittadinanza riuscirà ad «abolire la povertà», come dice il vicepremier Luigi Di Maio, o si trasformerà nell'ennesimo sussidio garantito da uno Stato assistenzialista?

Ne parliamo con Maurizio Del Conte, professore di Diritto del Lavoro alla Bocconi di Milano e presidente in uscita di Anpal, l'agenzia nazionale per il lavoro, cioè l'ente cardine, quello che dovrà cercare le proposte occupazionali per i cinque milioni di italiani dell'Rdc.

La macchina di Anpal parte già zoppa perché, come abbiamo detto, il presidente è in uscita. O meglio, così c'è scritto nella Legge di Bilancio 2019, in base alla quale «entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della Legge di Bilancio (quindi entro la fine di gennaio) saranno nominati il presidente e il nuovo direttore generale di Anpal». Il motivo è presto detto, Del Conte ha più volte evidenziato le criticità del Reddito di Cittadinanza e manifestato perplessità sulle capacità dei Centri per l'Impiego, coordinati da Anpal ma in realtà gestiti dalle Regioni, di rispondere alle richieste di cinque milioni di italiani.
La lettera
"Che sinistra è quella che chiama animale da divano chi spera nel reddito di cittadinanza?"
18/1/2019

Professore, quando decadrà il suo ruolo alla guida di Anpal?
«Ho appreso dalla stampa che, nel corso di un recente consiglio dei ministri, è stato avviato l'iter la nomina del mio successore, Mimmo Parisi. Ma ancora non mi è stato comunicato nulla a tal proposito».

Dunque, nell'attesa di una comunicazione ufficiale, ci racconta qual è la situazione che ha trovato in Anpal e i motivi per cui sarà difficile che i centri per l'impiego riusciranno a rispondere alle richieste occupazionali di cinque milioni di italiani?
«C'è una complessità di meccanismi burocratici che è quasi insuperabile. Per decidere qualunque cosa, per far partire qualunque processo, ci vogliono tempi autorizzativi che sono tre volte quelli che sarebbero connessi alla risoluzione del problema. Per assumere nuovo personale ci vuole almeno un anno. Altrettanto tempo è necessario per cambiare la struttura organizzativa. Perché ogni decisione deve passare dal ministero del Lavoro, poi da quello del Tesoro e dalle ragionerie. Tempi così lunghi influiscono sulle decisioni stesse e, talune volte, sembra più conveniente non fare nulla anziché intervenire con anni di ritardo. Di base c'è stato l'errore di immaginare Anpal come una struttura a costo zero, uno spin off del ministero del Lavoro. L'obiettivo era darle un assetto organizzativo autonomo, ma in concreto questa scelta ha impedito di fare investimenti sull'agenzia, come invece è avvenuto negli altri paesi. E quando costruisci un'agenzia che sottrae competenze al ministero, non ti puoi aspettare che quest'ultimo sia entusiasta della sua presenza».

Per uscire dall'angolo, infatti, è stata creata Anpal Servizi, una società di diritto privato con maggiore autonomia. È servita?
«È servita a ridurre l'inefficienza, anche se ha scatenato forti reazioni contrarie. Ho semplificato la struttura, riducendo da 19 a due gli obiettivi dell'agenzia, che si concentrano solo sui servizi per il lavoro e sulla transizione dalla scuola al lavoro. In questo passaggio ho trovato delle resistenze enormi».

L'altro gigantesco scoglio è stata l'incomunicabilità della rete informatica dei centri per l'impiego. Quando lei è arrivato in Anpal ogni centro utilizzava un proprio sistema informatico, che non comunicava con gli altri. Detto altrimenti, il Cpi di Catania non comunicava con quello di Napoli o Bolzano. Oggi qual è la situazione?
«Avere 550 centri per l'impiego che non dialogano tra loro significa non poter leggere e valutare il mercato del lavoro. Mi ero dato l'obiettivo di costruire un sistema informatico unico, ma era impossibile arrivarci per logiche di proprietà dei sistemi, di appalti locali. Siamo però riusciti a creare un modello unitario in cui c'è una interoperabilità tra i sistemi. Dunque, ognuno continua a utilizzare la propria infrastruttura informatica, ma i dati vengono caricati su di un sistema nazionale. Un lavoro complesso, non lo nascondo. Inoltre non è possibile avere uno storico delle informazioni e molto di quello che possediamo è parziale. L'obiettivo era creare un'agenzia federale, in grado di trasmettere le proprie misure e coordinate da Roma fino alle aree locali. Tuttavia non è stato possibile realizzarlo: tutto rimane su base regionale. Ciò che viene prodotto a livello nazionale svanisce, perché fagocitato dalle scelte territoriali. Un altro obiettivo era un piano di ristrutturazione dei centri per l'impiego per garantire servizi minimi, uguali per tutti sull'intero territorio nazionale, perché non è pensabile che in alcune aree il primo colloquio al centro per l'impiego avvenga dopo due anni dal primo contatto con l'utente. Anche qui, siamo molto lontani dal centrare il bersaglio».

Oggi un'opportunità ci sarebbe, visto che il governo ha stanziato delle risorse aggiuntive per potenziare i centri per l'impiego. Cosa non la convince?
«Il piano di ristrutturazione si può fare con alle spalle un progetto di rafforzamento delle strutture dei centri per l'impiego. Le risorse vengono utilizzate per far fronte all'aumentata platea degli utenti che si riverserà sui centri per l'impiego, ma assumere delle persone non basta per rinforzare i centri per l'impiego, servono anche formazione e mezzi adeguati. Sarebbe come costruire un piano aziendale senza un'infrastruttura. Non regge».

Si spieghi meglio.
«In Legge di Bilancio sono stati stanziati 120 milioni per quest'anno e 160 per gli anni successivi per assumere quattro mila dipendenti dei Cpi regionali. Oggi i dipendenti dei cpi sono otto mila in tutto, significa una crescita della forza lavoro del 50 per cento. Non si risponde, però, a domande banali, del tipo: dove le metto queste persone? Dove sono le scrivanie e i computer per farli lavorare? Inoltre, saranno assunti con i tempi che ciascuna Regione intenderà impiegare per indire i concorsi pubblici. Non c'è nulla, né nel decreto, tantomeno nella prassi, che ci possa dire che queste persone verranno assunte entro una certa data. Ogni Regione si darà i tempi che si dà: stimo anni».

Forse sarà possibile sopperire a questo problema con i famosi navigator?
«In Finanziaria c'è una norma che mette 250 milioni a disposizione per il 2019 e il 2020 alla contrattualizzazione di questi soggetti, che dovrebbero essere circa tremila. Sono persone di cui non conosciamo il profilo, che presumibilmente dovrebbero essere dei tutor, operatori dei servizi per l'impiego, saranno assunti da Anpal servizi. Anche qui mi domando dove andranno a lavorare, perché Anpal Servizi non ha spazi a sufficienza per far lavorare migliaia di persone. Se si riuscisse ad assumerli con un contratto co.co.co, dovrebbero lavorare ai centri per l'impiego locali, ma per farlo devono ottenere il nulla osta delle Regioni e quindi Anpal deve sottoscrivere una convenzione con queste ultime. Ma ancora prima Anpal Servizi dovrebbe occuparsi del reclutamento che, trattandosi di una società partecipata da un'agenzia pubblica, prevede una procedura di selezione per prove scritte e orali. Serviranno mesi per concludere l'iter di formazione. E tutto questo per soli due anni di lavoro di collaborazione, al termine del quale c'è il rischio che tutte queste persone facciano ricorso e chiedano la stabilizzazione del proprio ruolo».

Eppure i navigator potrebbero essere una risorsa per rimettere in moto il sistema dei centri per l'impiego?
«Il nodo della questione è che le aziende, quando cercano personale, non si rivolgono ai centri per l'impiego perché non ricevono alcun servizio. A un'azienda non interessa ricevere un elenco dei profili dei cpi, bensì una preselezione di curriculum coerente con la domanda di professionalità. I navigator, quindi, dovrebbero essere persone radicate sul territorio, conoscitori delle scuole e dei centri di formazione, delle aziende e delle loro esigenze. Inoltre, il navigator non può essere il formatore delle persone in cerca di lavoro, ma colui che le indirizza ai centri di formazione più adeguati rispetto alle richieste territoriali. In Anpal abbiamo realizzato un elenco delle qualifiche e delle professionalità che servono urgentemente nei cpi: servono orientatori, psicologi del lavoro, esperti informatici, esperti giuridici. Ma tutto questo non è stato minimamente valutato».

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