Sono solo 25 mila, ma crescono in fretta e a Roma hanno costruito il tempio più grande d’Europa. Dove si ricostruisce l’albero genealogico di tutta l’umanità e si battezzano anche i defunti (Foto di Daria Addabbo)

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La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni è cresciuta lentamente, nel corso di dieci lunghi anni, sotto gli occhi dei devoti di quel tempio del consumismo che è il centro commerciale di Porta di Roma. I mormoni sono riusciti a costruire la loro sede principale d’Italia e d’Europa nella capitale della cristianità, come sognavano da tempo, loro che sono una delle ultime chiese cristiane per nascita e una delle prime per rapidità di espansione. E l’hanno pure costruita alta, maestosa, sfarzosa da fare a gara con la basilica di San Pietro. Però la sede è lontanissima dal Cupolone, dieci chilometri a nord, in via di Settebagni, a due passi dal traffico del grande raccordo anulare.

I romani hanno accolto l’inaugurazione di questo nuovo centro religioso con curiosità. Le due settimane di visite guidate hanno visto code lunghissime: oltre quarantamila visitatori per la sede di una confessione che conta circa venticinquemila fedeli. Un terreno di sei ettari con il tempio vero e proprio, un edificio per le cerimonie, una foresteria e un edificio che accoglie i visitatori e ospita la sede italiana dell’archivio, dove i mormoni contano di ricostruire l’albero genealogico di tutti i settanta miliardi di esseri umani che si sono susseguiti sul pianeta terra per riuscire un giorno a salvarli tutti grazie a cerimonie di battesimo dei defunti.

Davanti a chi entra nel tempio si aprono spazi grandiosi, roba da Vaticano dei secoli d’oro: sale, cappelle, scaloni, lampadari scintillanti, vetrate, decorazioni d’oro e pietre preziose. Ambienti che ora sono chiusi per sempre a chi non sia mormone, e che non possono essere fotografati. Restano aperti al pubblico il grande giardino con olivi, fiori, cascate e panchine, e due dei quattro edifici che si affacciano sul piazzale. Uno ospita le cerimonie, con una cappella spartana ed essenziale come una chiesa protestante, una vasca battesimale e molte sale per incontri. Poi il grande centro visitatori, arredato invece con il lusso di un albergo a cinque stelle: non per niente tra i pochi Vip mormoni, oltre all’ex candidato presidente Usa Mitt Romney, ci sono i fratelli Marriott, proprietari della catena di alberghi. Per il resto, i mormoni sono persone normalissime, come le utilitarie che affollano il parcheggio romano, in netto contrasto con lo sfarzo degli edifici.

Ma c’era proprio bisogno di una sede così grande? O è una costruzione “in crescita”, in vista di nuovi adepti? E cosa possono trovare gli italiani in questa religione rivelata negli anni Trenta dell’Ottocento a un americano di nome Joseph Smith dall’arcangelo Moroni - quello che suona la tromba sulla guglia più alta del tempio di Roma? «Dobbiamo avere qualcosa di davvero attraente, visto che la nostra vita non è certo la più semplice del mondo», scherza Alessandro Dini Ciacci, responsabile per l’Italia della chiesa mormone, che si è convertito a 18 anni «dopo essere stato felicemente cattolico». E inizia a elencare: «Chiediamo di osservare rigidamente i dieci comandamenti, di evitare ogni sostanza eccitante, di digiunare un giorno al mese dando ai poveri quello che si risparmia, di dare alla comunità il dieci per cento dei propri guadagni...».
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La castità fuori dal matrimonio è obbligatoria per tutti, e particolarmente punitiva per i gay, che non possono sperare di sposarsi: «A meno che un giorno il Signore non ci chieda il contrario, ma dubito che lo farà, non sposeremo mai un uomo con un altro uomo, e non chiuderemo mai un occhio». Era un mormone, in effetti, David Matheson, lo psicoterapeuta che a gennaio ha raccontato all’Espresso la sua fallita esperienza di rieducatore di gay.

In cambio di questa disciplina ferrea, i mormoni contano di ottenere non solo la salvezza ultraterrena ma anche la serenità sulla terra, garantita da un rapporto diretto «con Dio e Gesù che sono persone in carne e ossa», spiega Dini Ciacci, e da una famiglia felice come quelle delle immagini americane degli anni Cinquanta. Famiglie tradizionali, con tanti bambini, la madre che si occupa dei figli, il catechismo insieme una volta alla settimana, le cerimonie al tempio. Un legame fortissimo che affronta una prova molto dura quando i giovani partono come missionari: la separazione può durare un anno o più, e i contatti permessi sono rarissimi.

Il vincolo familiare non si spezza neanche con la morte: «Il legame tra marito e moglie e quello tra genitori e figli viene suggellato con diverse cerimonie e dura anche dopo questa vita», spiega Dini Ciacci. Eppure il matrimonio non è indissolubile: «Noi crediamo profondamente nel libero arbitrio. Quindi se due coniugi decidono di divorziare possono farlo. E anche risposarsi, senza avere problemi con la comunità».

La famiglia tradizionale come rifugio contro il mondo che cambia, «una sponda solida e rassicurante rispetto a una società che si modernizza»: è questo il principale appeal della dottrina mormone secondo lo studioso Paolo Naso, che alla chiesa americana ha dedicato un saggio nel libro “Le religioni nell’Italia che cambia” curato da Enzo Pace per Carocci. Ma è paradossale che questo culto della famiglia tradizionale venga proprio da un gruppo che è stato perseguitato per l’uso della poligamia.

Racconta Naso: «I primi mormoni avevano più mogli perché la consideravano una pratica biblica. E questo, per l’America che tollerava ogni religione ma che rimaneva profondamente puritana, era davvero troppo». Cacciati via ogni volta che tentavano di stabilirsi in un posto, i mormoni trovarono rifugio in uno dei luoghi più inospitali del nuovo mondo, un lago salato in mezzo a un deserto: quella che oggi è Salt Lake City, nello Utah.

I primi contatti con l’Italia non sono stati un successo. Nel fervore missionario che ancora oggi li contraddistingue - convinti come sono che solo il battesimo mormone garantisca la salvezza - i seguaci di Smith avevano pensato che il posto giusto per iniziare a convertire l’Italia fosse la Val Pellice, rifugio dei valdesi: «Un’enclave protestante gli era sembrata potenzialmente più accogliente, prima di affrontare i cattolici italiani», continua Naso. Non funzionò, e dopo qualche anno gli americani tornarono a casa, portando con sé qualche decina di convertiti.

L’avventura italiana riparte in grande negli anni Sessanta, prima dalle basi militari americane, poi con missionari e corsi d’inglese. Sette anni fa i mormoni hanno ottenuto il riconoscimento dello Stato italiano, che significa matrimoni con valore legale, ma non l’8 per mille: non perché sono già abbastanza ricchi, come dicono i maligni, ma, spiega Naso, «per la tradizione americana di separazione netta tra Stato e Chiesa».

E come la mettiamo con l’ora di religione? «Ci comportiamo come fanno tutti», assicura Dini Ciacci. «Alcuni genitori scelgono di non far seguire l’ora di religione ai figli, i miei figli invece la seguono. E non hanno problemi: c’è un ottimo dialogo con i docenti». Il capo dei mormoni italiani ci tiene a sottolineare quanto siano buoni i rapporti con la Chiesa cattolica: «Dopo la consacrazione del tempio da parte del dirigente mondiale, il profeta Russel Nelson, siamo stati ricevuti da Papa Francesco. È stato un incontro lungo e cordiale. Abbiamo molti fronti di impegno comune: la difesa della famiglia e della libertà religiosa, la preoccupazione per i giovani...».

Di certo, il legame con la tradizione cristiana è un’altra forte attrattiva verso la conversione: «Ti stacchi dal cattolicesimo che non ti convinceva ma rimani in un ambito che conosci, senza affrontare l’ignoto dato da religioni esotiche», commenta Naso.

Le somiglianze con una lettura tradizionalista del cattolicesimo in effetti sono così tante che le differenze sorprendono. Nella sede di Roma non ci sono crocifissi o Madonne, solo immagini di apostoli e profeti (Adamo, “Abrahamo”, Mosè, Pietro, Moroni e John Smith), scene dal vangelo, boschi pieni di luce e squarci di campagna toscana. Anche alle pareti di casa i mormoni appendono quasi solo immagini sacre, ma con qualche eccezione: come una Audrey Hepburn nei panni di Sabrina sulla parete di una stanza da letto femminile.

Vestiti accollati, pantaloni larghi e gonne sotto il ginocchio nascondono l’uso di biancheria speciale: bianca, monacale, con corsetti e mutandoni di taglio ottocentesco, per ricordare gli impegni presi e tenere al riparo dalle tentazioni. Niente fumo, vino, caffè, tè: altre religioni e anche semplici convinzioni salutiste impongono divieti alimentari più ardui. Il problema più grosso, in Italia, lo crea forse il tabù sul caffè: che non significa solo rinunciare all’espresso, ma anche al tiramisù...

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