Il caso
Il funerale di Diabolik tra ultras e neofascisti: altro che evento privato
Centinaia di tifosi sono giunti da tutta Italia per essere presenti all'ultimo saluto al leader degli Irriducibili Fabrizio Piscitelli. Tra loro anche Luca Lucci, il leader della curva del Milan amico di Salvini
Cori da stadio, saluti romani, bandiere, fumogeni. Capi ultras dalle curve di tutta Italia, esponenti del neofascismo capitolino e non. Momenti di tensione con le forze dell'ordine e ripetuti insulti ai cronisti presenti.
Non è mancato nulla mercoledì pomeriggio al Divino Amore, dove si è tenuta la cerimonia funebre di Fabrizio Piscitelli. Quello di Diabolik però è stato un funerale tutt'altro che privato, come inizialmente previsto dalla Questura: sono stati centinaia gli ultras, non solo della Lazio, accorsi nel piazzale del santuario sulla via Ardeatina per rendere omaggio al loro leader ucciso lo scorso 7 agosto scorso al Parco degli Acquedotti, con un'esecuzione in pieno stile mafioso.
Un omicidio ancora senza colpevoli, ma che sembra avere poco a che vedere con il mondo del pallone e tanto con le attività criminali del leader degli Irriducibili, finito nell'inchiesta su Mafia Capitale e recentemente in un'indagine della Direzione distrettuale antimafia sul traffico di stupefacenti. Da qui le polemiche tra la famiglia del capo ultras e il questore per lo svolgimento delle esequie, inizialmente previste per il 13 agosto in forma strettamente privata. La moglie e le figlie si opposero e il funerale non si svolse, nonostante i 250 agenti già schierati dalla Questura in tutta la Capitale. Oggi invece sono 300.
Poco dopo le 13 il piazzale del santuario inizia a riempirsi dei "ragazzi del Diablo". «È uno che per come lo conosco io andrebbe a piedi e solo al funerale suo», recita lo striscione che hanno attaccato alle transenne che delimitano lo spazio che gli uomini della Questura gli hanno riservato. Alcuni indossano magliette nere, con gli occhi di Diabolik, il ladro dei fumetti da cui Piscitelli prese il soprannome, altri bianca con "Irriducibili" scritto sulle spalle.
Sono passate da poco le 14 quando arriva il carro funebre con il feretro, seguito dalle auto dei parenti, la moglie, la sorella, le figlie. Si ferma davanti lo striscione degli Irriducibili, viene aperto il portellone, parte un applauso che durerà cinque minuti.
Qualcuno alza una sciarpa della Roma, qualcun altro alza il braccio per un saluto romano. Finito il primo saluto dei tifosi, il corteo funebre si dirige verso la chiesa, sulla collina sopra il piazzale, nella zona riservata solo alle cento persone indicate dalla famiglia. Sulla salita si incamminano gli amici della curva e alcuni volti noti nel mondo biancoceleste: c'è Toni Malco, il cantautore romano che tante canzoni ha dedicato alla Lazio, nuovi e vecchi capi degli ultras laziali, come "Il cinese" e Yuri Alviti. Ma c'è anche Maurizio Boccacci, vecchio esponente del neofascismo capitolino sempre molto attivo nelle curve: nel 1994 partecipò agli scontri di Brescia tra ultras di Lazio e Roma e forze dell'ordine, in cui rimase ferito il vicequestore Giovanni Selmin.
Boccacci però non è l'unico leader del neofascismo romano presente al Divino Amore. Per Forza Nuova ci sono Stefano Schiavulli, sodale di Boccacci ai tempi di Militia, il coordinatore per il Lazio Valerio Arenare, e quello del Veneto Luca Castellini, leader degli ultras dell'Hellas Verona.
Nel piazzale ci sono poi rappresentanti delle curve di mezza Italia, soprattutto di quei gruppi più vicini all'estrema destra. C'è anche una delegazione di ultras del Milan, capeggiata da Giancarlo Cappellini e Luca Lucci, il leader delle Brigate Rossonere più volte arrestato per reati di droga, che lo scorso dicembre fu fotografato insieme all'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini.
Gli insulti ai giornalisti, chiusi in un recinto dalle forze dell'ordine, sono un continuo. "Sciacalli", "Vorrei vede se ve more la famiglia vostra, a 'infami", "Comunisti", "Assassini", "Mejo le guardie che voi merde", sono tra le frasi più gettonate dai tifosi che si avvicinano.
La cerimonia funebre finisce poco prima delle 16. Iniziano a scendere la famiglia e gli amici presenti in chiesa. I leader degli Irriducibili arrivano tenendo lo striscione con il loro nome, facendo saluti romani e il segno di vittoria con le dita: "Avemo vinto noi", dicono ai giornalisti, "Riprendete questo, avemo vinto noi".
Nel piazzale intanto, di fronte allo spazio per gli ultras, vengono posti due cavalletti dove adagiare il feretro. È proprio allora che iniziano a scaldarsi gli animi. La Digos sembra non volerlo consentire, inizia una sorta di trattativa con la famiglia e gli ultras. Cresce la tensione, tant'è che arrivano i blindati della Polizia e della Guardia di Finanza da cui scendono agenti in tenuta antisommossa che vengono fatti schierare.
La moglie di Diabolik si sente male, arriva un'ambulanza: viene messa sulla barella, ma rimane nel piazzale. Gli agenti continuano a prepararsi. Una delle due figlie di Diabolik inizia a inveire contro di loro, gli tira addosso dell'acqua: "Guardate che state a fa, che state a fa", urla. Intanto partono i cori contro la Polizia: "Merde siete e merde resterete". Qualcuno si rivolge ai giornalisti, innervosito: "Scrivetelo che quei teppisti dei laziali non fanno scendere la bara eh. State a fa il filmino del matrimonio? Brave, mignotte".
Dopo mezzora però la "trattativa" tra Digos e ultras finisce: vengono portati via i treppiedi su cui doveva essere messa la bara di Diabolik. Il carro funebre può scendere. Viene accolto dall'inno della Lazio cantato a squarcia gola dagli ultras, i leader si avvicinano all'auto, la toccano, la baciano.
Partono i fumogeni bianchi e celesti, continuano i cori per Piscitelli: "C'è solo un capitano", "Fabrizio sempre con noi". Altri dal vago richiamo nazifascista: "SS, SS Lazio. SS, SS Lazio". Il carro funebre poi riparte, dopo pochi metri si riferma per un altro saluto. Poi si dirige verso il cimitero di Prima Porta, dove il corpo di Diabolik verrà cremato e seppellito. Non manca però qualche altra tensione tra gli ultras che volevano seguire il corteo e le forze dell'ordine, ma ai giornalisti che volevano avvicinarsi per documentare tutto non era permesso avvicinarcisi: "Disposizioni del dirigente", dice il funzionario presente. Finisce così il funerale tutt'altro che privato di Fabrizio Piscitelli.