Dieci anni di reclusione per il presidente Gianni Zonin. Otto anni e mezzo per l’ex vicedirettore generale Emanuele Giustini e otto anni per l’altro vicedirettore Andrea Piazzetta, il responsabile della finanza di gruppo. Sono queste le principali richieste di condanna nel primo, e finora unico processo andato in scena per il crack della Popolare di Vicenza, l’istituto di credito al centro di un dissesto da 3,7 miliardi di euro che ha coinvolto 100 mila risparmiatori, tra prestiti irregolari per centinaia di milioni e bilanci addomesticati per nascondere le perdite.
La sentenza dovrebbe arrivare entro il prossimo febbraio, ma riguarda solo i reati di ostacolo alla vigilanza di Banca d’Italia e di falso in prospetto. In caso di condanna e di ricorso in appello, la prescrizione è più che probabile, quasi certa. In teoria, resta il filone principale d’indagine, quello per la bancarotta, che ha tempi di prescrizione molto più lunghi. Il procedimento aperto nel 2017 dopo la dichiarazione d’insolvenza della banca procede però a rilento.
A sette anni di distanza dalle prime indagini della procura di Vicenza che portarono alle dimissioni di Zonin e di tutti i manager di vertice, non è ancora stata chiusa l’indagine preliminare per la bancarotta e nessuno osa fare pronostici sui tempi del processo in aula. A questo punto, agli azionisti che hanno perso il loro investimento, inghiottito dal crack, non resta che sperare nei risarcimenti a carico degli imputati. A febbraio del 2018 il giudice per l’udienza preliminare aveva disposto un sequestro conservativo di beni di Zonin per un valore di 176 milioni. L’eventuale sentenza di condanna in primo grado nell’unico processo in corso rappresenta un primo punto fermo che renderebbe giuridicamente meno complicata l’azione di rivalsa dei risparmiatori.