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Attualità
ottobre, 2021

«Sono uomo e anche mamma, per me è una potenza in più»

Per la maggior parte delle persone trans con figli il concepimento è avvenuto prima della transizione ma oggi è possibile portare avanti una gravidanza anche durante il percorso

Madri e padri transessuali esplorano le possibilità della genitorialità contemporanea. Tra questi c’è anche Egon Botteghi, ha due figli che avevano 3 e 5 anni quando ha iniziato la transizione F to M (da femmina a maschio). Un percorso di affermazione del proprio genere che, per alcuni, non coincide con il sesso biologico.

È un cammino a tappe non obbligate che termina quando la persona conquista il proprio benessere psicofisico. «Fino al 2015 lo stato ha, di fatto, portato avanti una campagna di sterilizzazione. Per chiedere il cambio di nome e sesso sui documenti era necessario sottoporsi agli interventi chirurgici che cambiano i caratteri sessuali anatomici primari e che inevitabilmente portano all’impossibilità di avere figli. Per questo, anche se da qualche anno le operazioni non sono più obbligatorie, la genitorialità T (trans ndr) è rimasta un tabù» spiega Botteghi che è il delegato nazionale del gruppo di supporto per i genitori trans della Rete Genitori Rainbow.

Eppure i genitori T esistono anche se sono invisibili come tutte le persone transessuali nel nostro paese. Non ci sono rilevazioni statistiche ma soltanto alcune stime, ricavate da chi si rivolge ai centri per l'adeguamento di genere e dal raffronto con la letteratura internazionale, secondo cui avrebbero intrapreso il percorso di transizione circa 500 mila persone.

Foto di Carmelo Richelmi

Andrea ha poco più di trent’anni anni e un figlio avuto con un compagno con cui adesso preferisce avere a che fare il meno possibile. Il sesso biologico di Andrea alla nascita del bambino era femminile ma sei anni fa ha deciso di intraprendere il percorso di transizione che oggi gli permette di essere maschio anche secondo la carta di identità. 

«Nel 2011 quando ho iniziato la transizione ero preoccupato per i miei figli perché la poca informazione che era disponibile era ancora fuorviata dalle teorie secondo cui la disforia di genere è una malattia mentale di cui i figli avrebbero percepito le dannose conseguenze. È stato il confronto con i pari che mi ha permesso di capire che non è affatto così. La cosa che danneggia davvero i bambini è la confusione, per questo ho sempre spiegato loro la verità. Li ho inclusi nel mio percorso e ho fatto capire che la nostra relazione non sarebbe cambiata. Mi sentivo uomo e avrei voluto che anche gli altri mi percepissero per quello che sono. È cambiato il mio ruolo sociale ma io sono rimasto sempre lo stesso».

Botteghi in Lingua Madre, lo spettacolo della regista argentina Lola Arias che a ottobre andrà in scena a Bologna, rappresenta se stesso e racconta che cosa vuol dire essere genitori T. «Due anni fa sono andato a rifare la carta di identità di mia figlia minorenne. Erano i tempi in cui Matteo Salvini da ministro aveva appena chiesto il reintegro della dicitura “madre” e “padre” sui documenti. L’impiegata del Comune non sapeva che fare perché anche se sono la madre di Lisa (nome di fantasia) il mio nome e il mio aspetto sono quelli di un uomo. Ho provato a spiegarmi ma la signora non voleva darmi retta. Sono arrivati altri dipendenti convinti di poter risolvere la situazione, avevo gli occhi di tutto l’ufficio puntati su di me».

Botteghi ricorda che l’esperienza non fu affatto piacevole ma oggi ride perché pensa che un decreto fatto per rinforzare il prestigio della famiglia tradizionale ha di fatto legittimato un uomo a sentirsi mamma. «Sulla carta di identità di Lisa c’è ancora il mio nome, maschile, sotto la dicitura madre. Ognuno è diverso ma per me è una potenza in più essere un uomo e anche mamma».

Foto di Carmelo Richelmi

Dopo quattro mesi dall’inizio del percorso psicologico Andrea ha ricevuto il documento necessario all’autorizzazione dell’iter ormonale, la perizia con la diagnosi di disforia di genere.«Ero felicissimo di aver ricevuto l’autorizzazione così in fretta ma avrei voluto che il supporto psicologico coinvolgesse anche le persone per me più care, come la mia ex moglie e mio figlio»

In Italia la riassegnazione del sesso e del genere è consentita dalla legge n.164 del 1982, avviene tramite un procedimento giudiziale - cioè in tribunale - affinché il giudice accerti la volontà ferma nella persona che fa domanda per la rettifica dei dati anagrafici sui documenti. «Muore il nome ma la persona è sempre la stessa, quindi tutto ciò che riguarda sesso e nome viene convertito mentre il background - genitorialità, responsabilità personali, penali, quello che è il vissuto - resta» spiega Serena Montuori, avvocata che si occupa di famiglia, minori, tutela della persona e diritti LGBTQIA+.

Una volta autorizzata la rettifica da una sentenza del tribunale tutti gli uffici amministrativi emettono i nuovi documenti come la patente, tessera sanitaria, laurea, etc. Da questo momento chi ha chiesto il cambio non esiste più con il nome precedente ma con il nome di elezione. Nel giudizio è possibile chiedere solo la modifica del nome e del sesso anagrafico o aggiungere anche l’autorizzazione per l’intervento chirurgico di riattribuzione del sesso nel caso in cui la persona lo ritenga necessario per il raggiungimento del proprio benessere.

La copertina de L'Espresso disegnata da Fumettibrutti

«Non si può parlare di transizione in modo omogeneo perché le storie delle persone sono diverse e il punto di arrivo non è uguale per tutti. - continua Montuori - Si parte dalla diagnosi di disforia o incongruenza di genere che è una sofferenza intensa, persistente che consiste nel sentire la propria identità diversa dal sesso biologico. Può portare alla depressione e anche al suicidio. Poi si procede per tappe - l’iter ormonale, quello legale e le operazioni - che ognuno può scegliere se fare o no sulla base del proprio star bene». Si parla di salute sessuale: il diritto all'identità di genere è un elemento costitutivo del diritto all'identità personale che fa parte dei diritti fondamentali della persona e della tutela della salute che la Repubblica italiana deve garantire in accordo con l’articolo 32 della nostra Costituzione.

 

«Neppure l’iter legale è lo stesso per tutti perché sebbene la legge ci sia - e rimanga sempre quella - esistono ancora zone grigie che lasciano le modalità della sua applicazione nelle mani del giudice che è ogni volta diverso. Però, se un diritto non viene garantito a tutti allo stesso modo allora non può dirsi diritto».

Foto di Carmelo Richelmi

Andrea oggi non si sente più mamma ma neanche papà.« Sono il genitore. Fa parte della nostra etica sociale definire i ruoli di madre e padre, è una questione culturale ancora molto forte»

Botteghi racconta di aver aspettato anni per ottenere la rettifica dei dati sui documenti, molto di più di altri suoi conoscenti «probabilmente - ipotizza - perché il fatto che fossi una donna con figli ha fatto sì che il giudice ponesse più attenzione nell’accertare la mia ferma volontà di transizionare cercando conferme da parte esperti e consulenti. Questo succede perché la genitorilità trans è un argomento ancora da sdoganare sia per l’opinione pubblica sia per alcuni addetti ai lavori». La quasi totalità delle persone T con figli, infatti, ha portato avanti la gravidanza prima della transizione ma oggi è possibile rimanere incinta anche durante il percorso.

Non c’è ancora una procedura chiara e non vale per tutti perché dipende da variabili personali, però, da quando il trattamento chirurgico non è più indispensabile per il cambio di identità di genere all’anagrafe è possibile che una persona FtM interrompa temporaneamente la terapia ormonale per condurre la gravidanza.

Si chiamano papà cavalluccio marino, seahorse dad, perché è l’esemplare maschio dell’animale che tiene le uova nel ventre fino alla nascita. «Se ne parla ancora molto poco, anche per i medici è un campo in esplorazione proprio perché fino a pochi anni fa non eravamo abituati a prendere in considerazione l’idea che un uomo potesse decidere di concepire un figlio» ma grazie ai racconti di chi sceglie di condividere la propria esperienza, soprattutto attraverso i social, e al lavoro delle associazioni a supporto della genitorialità contemporanea, come quella di cui fa parte Botteghi, la società sta imparando a capire che alcune categorie di pensiero devono essere riformate.

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