Sanità
«Ma quale E.R: lavorare al pronto soccorso è diventato insostenibile»
Aggressioni, denunce, carenza di organico. E la fuga dal 118 è ormai un dato di fatto. «Negli Usa medici e infermieri d’emergenza sono una classe privilegiata: nelle nostre condizioni è già tanto riuscire a timbrare il cartellino». Viaggio tra il personale sanitario
Sono le sette di sera, il telefono squilla e dall'altra parte prontamente risponde Salvatore Manca, il Presidente della Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu) che qualche giorno fa è scesa in piazza a Roma per portare all'attenzione dell'opinione pubblica la fuga in atto dal pronto soccorso da parte del personale medico e infermieristico. Su 12 mila medici di urgenza, ne mancano 4 mila, più 10 mila infermieri. Numeri che parlano di turni massacranti, carichi di lavoro raddoppiati e rischi che aumentano dovuti alla stanchezza, in luoghi dove la risposte vanno date velocemente. Manca oggi è in pensione, ma non smette di lavorare. Quando risponde ha appena concluso un turno come medico vaccinatore, ma per 40 anni è stato medico di pronto soccorso, primario dell'ospedale di Oristano, un Dea di primo livello e direttore del dipartimento di emergenza. Sa bene di che parla e non fatica a descrivere la situazione. «Le difficoltà che abbiamo oggi nascono da una sottostima delle carenze di organico, da una mancata programmazione sanitaria e dalle scuole di specializzazione che non attirano più i giovani. Tutto questo è accentuato dalla gravosità lavorativa del medico di pronto soccorso, che opera in strutture spesso non adeguate. Inoltre, la carenza di posti letto nei reparti si ripercuote sul pronto soccorso, con l'effetto di avere pazienti in attesa per diverse ore o giorni sulle barelle. Tutte queste problematiche fanno sì che i colleghi medici e infermieri, che hanno dato dato l'anima nel periodo del Covid, oggi non ce la fanno più a sopportare questi ritmi di lavoro».
Prosegue ribadendo che il lavoro medico d'urgenza deve essere fatto da personale altamente qualificato e oggi c'è la tendenza ad improvvisare con l'utilizzo delle cooperative o delle società di servizi. Arrivano spesso persone senza alcun tipo di qualifica e oltretutto tutti i medici dell'emergenza che ci sono hanno capito che lì si guadagna di più. Così non stanno nemmeno partecipando ai concorsi a tempo indeterminato. Con le società di servizi si sta creando così un doppio danno.
«Un medico che lavora attraverso la cooperativa guadagna 60 euro l'ora, consideri che un turno di guardia dura 12 ore, questo vuol dire 720 euro per un solo turno. Se uno fa quattro turni in un mese, supera lo stipendio di un dirigente medico che lavora 38 ore settimanali per un mese. Ma essendo in carenza di organico i colleghi sono obbligati a fare almeno due notti la settimana e tre weekend al mese». Ma quanto guadagna un medico assunto regolarmente? Tra i 2600 ai 2800 euro al mese.
Quella del personale ingaggiato tramite le cooperative è una situazione che si replica in tutte le regioni d'Italia, anche se non ci sono stime precise sul numero di questa forza lavoro. Ma come raccontava un medico in piazza a Roma «c'è da sperare che i medici parlino almeno italiano. Una volta ho dovuto cacciarne uno perché non riusciva a dialogare con i pazienti. Ma come si fa?».
A confermare la situazione è anche il Dr. Beniamino Susi, primario del reparto d'urgenza di Civitavecchia-Bracciano nel Lazio dove su un organico di 25 medici, sette sono assunti dal Servizio sanitario nazionale, 2 sono pensionati e gli altri sono liberi professionisti, quest'ultimi reclutati con manifestazioni di interesse. Perché non partecipano ai concorsi? «Perché non hanno i titoli richiesti per lavorare, ovvero la specializzazione in medicina d'urgenza o equipollenti – spiega - Il livello così si abbassa, ma mai come con le cooperative. Questi professionisti sono gli stessi da anni, hanno fatto un percorso di affiancamento, conoscono le procedure e quindi hanno fatto un percorso di crescita. Durante il Covid ho avuto dei ragazzi appena laureati e uno di questi lo avevo nominato team leader perché era davvero in gamba. Non è una disgrazia al cubo avere persone giovani, ci vuole sicuramente tempo per crescere. Se ho sempre le stesse persone ci posso lavorare, ma il problema sono le cooperative che mandano sempre persone diverse».
Ma dopo il Covid non sono arrivati degli incentivi ai medici? «Ci sono circa 90 euro in più in busta paga, ma non è questo che risolve i problemi del pronto soccorso» afferma Manca. Però c'è chi è ancora in attesa, come gli infermieri che non hanno visto un euro. A spiegarlo è il Segretario Provinciale del sindacato Nursind, Stefano Barone «L'erogazione di questi soldi è legata al rinnovo del contratto nazionale. Il punto è che dobbiamo concludere la contrattazione per il periodo 2019-2021. La beffa è che stiamo contrattando qualcosa che nei fatti è già scaduto».
«Negli Stati Uniti i medici di emergenza sono una classe privilegiata, lavorano di meno e vengono pagati di più perché si pretende il massimo dell'impegno e del risultato. Nelle condizioni in cui lavoriamo noi è già tanto che uno timbra il cartellino» racconta Susi alla fine di un turno di lavoro iniziato alle 8 del mattino e conclusosi alle 19:00. E forse non è un caso, da quello che dice, che negli anni '90 spopolasse il telefilm “Er – medici in prima linea” ambientato in un pronto soccorso di Chicago. «Oggi molti degli specializzandi che abbiamo si sono fatti suggestionare da quella serie, peccato che poi le aspettative siano deluse dalla realtà» commenta Susi. Stessa situazione per gli infermieri che «dopo una laurea triennale si ritrovano a svolgere funzioni alberghiere che non sono adatte al livello di preparazione richiesto» racconta Barone che prima di approdare al sindacato era impegnato nei reparti. «I giovani infermieri arrivano pieni di buone intenzioni, ma poi si trovano a lavorare in contesti in cui non sono per nulla valorizzati».
Se i medici con esperienza non si avvicinano al pronto soccorso, anche i giovani laureati ne stanno alla larga. Quest'anno su 1200 borse, ne sono andate deserte più di 400.
Così aggressioni, denunce, carichi di lavoro maggiori, impossibilità di svolgere la professione privata, tengono lontani i giovani dalla medicina d'urgenza. Anche perché un medico di pronto soccorso guadagna quanto uno di reparto. «Andrebbe riconosciuta la diversità del nostro lavoro rispetto agli altri. Non ne abbiamo fatta una questione di soldi, però chi sta in piedi tutta la notte andrebbe pagato diversamente da chi nei turni di notte può riposare – spiega Susi che aggiunge - «a noi l'indennità di malattie infettive non viene riconosciuta, eppure tutti i pazienti Covid sono entrati in ospedale attraverso le porte del pronto soccorso per esempio».
Nei pronto soccorso, il rischio denuncia è dietro l'angolo. “Con il flusso di gente che sta tornando ai livelli pre covid e la mancanza di organico è molto facile cadere, anche per stanchezza, nell'errore medico. Con carenze di organico così pronunciate non si possono dare risposte ottimali in tempi brevi ai cittadini. E così i cittadini scaricano la propria frustrazione dovuta alla lunga attesa sugli operatori che trova lì” racconta Manca. L'Inail conta più di mille aggressioni contro il personale sanitario ogni anno e anche se molti ospedali hanno istituito la figura del vigilantes “abbiamo visto che non può intervenire sulle persone, ma solo sulla tutela dei beni. Quindi come deterrente è molto debole“ rimarca Barone che al tema è molto sensibile. E la lista delle aggressioni degli ultimi due mesi mostrano come il fenomeno sia uniforme da nord a sud: Potenza, Fermo, Careggi, Roma. A farne le spese sempre i medici in prima linea. Anzi in una trincea sempre più deserta.