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Rifiuta di piegarsi alle imposizioni del “capo dei capi” di Ostia e lo denuncia ai carabinieri. È un fatto inedito nella Capitale, soprattutto sul litorale, e la protagonista è un’imprenditrice di 49 anni che ha rifiutato di sottostare al ricatto mafioso: le veniva offerta “protezione” per un grande cantiere che sta per aprire a Ostia in cambio del pagamento di 500mila euro. La donna ha denunciato ai carabinieri i suoi estorsori, fornendo le prove ai magistrati, e così li ha fatti arrestare su ordine del giudice. Raccontata in questo modo, la reazione della donna potrebbe sembrare una storia normale, perché è in queste cose normali che si dovrebbe muovere l’imprenditoria. Ma a Roma e nel suo litorale, invaso dalle mafie, purtroppo questa non è la normalità, perché la cronaca ci mostra storie e fatti legati all’imprenditoria che vanno in direzione contraria e con la loro azione “deviata” hanno spesso portato a rafforzare la criminalità organizzata. Questa donna, che ha deciso di raccontare la sua storia a L’Espresso, si chiama Barbara Mezzaroma, e la sua famiglia è nota nella Capitale, suo padre è il costruttore Pietro Mezzaroma.
Questa non è solo una storia di coraggio e di esempio imprenditoriale, ma è la dimostrazione di come la criminalità organizzata crea consenso sociale, illegale, impadronendosi di un territorio in cui vuole dimostrare che sono i boss a comandare e a decidere anche chi deve lavorare.
La denuncia nei mesi scorsi dell’imprenditrice ha portato in carcere un esponente importante, secondo gli investigatori, della criminalità di Ostia. Si tratta di Roberto De Santis, detto “nasca”, considerato il “capo dei capi”, l’uomo degli “equilibri di Ostia”, perché in grado di mettere tutti d’accordo: chi in passato si è rifiutato di obbedire ai suoi ordini è stato gambizzato, punito, e per questo tutti gli portano rispetto. Con lui è finito in carcere anche un altro personaggio in vista a Ostia, Paolo Papagni, imprenditore attivo nella gestione delle strutture balneari, condannato a quattro mesi per le minacce alla giornalista di Repubblica Federica Angeli.
«Ho agito secondo la mia linea di coscienza che mi porta su una sola strada, quella della giustizia. Non c’è un altro percorso, questi fatti vanno sempre denunciati», dice Barbara Mezzaroma. Tutto parte alla fine dello scorso anno, quando lei inizia a ricevere una serie di messaggi da Paolo Papagni che aveva saputo del progetto che l’imprenditrice stava avviando ad Ostia con la sua impresa in cui sono socie pure le sue due sorelle.
Il progetto riguarda la realizzazione di 155 appartamenti di tipo residenziale, per una superficie commerciale di quindicimila metri quadrati, nella zona del Borghetto dei Pescatori. Oltre alla parte residenziale è prevista una parte commerciale di circa tremilacinquecento metri quadrati e poi una zona di quasi tremila adibiti a servizi ed una restante parte di tipo turistico-ricettivo. È un grosso lavoro per diverse decine di milioni di euro che prevede la realizzazione di un’imponente opera di urbanizzazione, con la costruzione anche di un complesso residenziale e commerciale, che dovrà sorgere su vasti appezzamenti di terreno. Un lavoro che fa subito gola ai boss che hanno il controllo del territorio.
Papagni si attiva subito in favore del suo amico De Santis e fa in modo di parlare con Barbara Mezzaroma. Riesce a strapparle un appuntamento e i due si vedono in un bar all’Eur. L’imprenditore di Ostia chiede informazioni sul progetto, sulle autorizzazioni presentate al Comune, sul valore dell’appalto complessivo e sui prezzi di vendita degli immobili che sarebbero stati realizzati. Lui è un fiume in piena. È euforico per la grossa somma di denaro che si riverserà con questi lavori su Ostia. E a quel punto Papagni cala la maschera e le dice che per questo lavoro deve «assolutamente» incontrare «un soggetto» che lui descrive come «l’uomo degli equilibri di Ostia» e le rivela che si tratta di una persona legata alla criminalità locale. Per farle capire la caratura dell’uomo di cui sta parlando, Papagni le racconta che era stato suo socio circa vent’anni prima, aggiungendo che questa persona aveva pure sparato a esponenti di clan avversari, «ma lo aveva fatto solo per mantenere gli equilibri» e che gli appartenenti alla famiglia dei Fasciani erano dei «ragazzini» in confronto a lui.
Quello di cui Papagni parla è, invece, a suo dire “il capo dei capi”, in grado di mettere tutti d’accordo. Alla fine, fa il nome di questo risolutore: Roberto De Santis, detto “nasca”. Con lui, secondo Papagni, Mezzaroma non avrebbe avuto alcuna preoccupazione burocratica e criminale ad avviare il cantiere. Ai problemi ci avrebbe pensato lui. «Sono rimasta turbata e spaventata dal fatto che volesse farmi incontrare un soggetto con il “background” criminale che mi aveva prospettato e penso lo abbia percepito», dice Mezzaroma, la quale resiste a queste pressioni. Ma nei giorni successivi Papagni torna alla carica e le fissa un appuntamento, i due si vedono e l’imprenditore illustra ancora una volta la figura di De Santis, descrivendolo come un soggetto molto ricco, con «appoggi» nel mondo politico e legami con i servizi segreti. Papagni, per metterle pressione, le ribadisce che quando alcuni soggetti si erano messi contro “nasca”, lui li aveva gambizzati. E qui Papagni svela il vero senso della loro operazione criminale.
L’imprenditore cerca di rassicurare Mezzaroma che De Santis non era interessato ad ottenere un vantaggio economico da lei e non le avrebbe chiesto di avere particolari comportamenti imprenditoriali perché le ditte che si sarebbero aggiudicate i lavori sarebbero state aziende di Ostia «legate» a “nasca”, il quale avrebbe poi provveduto a farsi riconoscere da queste una percentuale del cinque per cento dell’ammontare complessivo dell’appalto.
Secondo Papagni, per De Santis non si trattava dunque di una questione economica, bensì dell’esercizio del potere sul territorio di Ostia e “nasca” doveva dimostrare, anche a «soggetti posti al di sopra di lui» che era in grado di controllare le grandi attività imprenditoriali e gli appalti della costa romana.
E quindi secondo Papagni questo sarebbe stato, per Mezzaroma, il vantaggio di avere De Santis dalla sua parte: non avrebbe subìto estorsioni o danneggiamenti. Facendo degli esempi concreti, le ha detto che “nasca” era in grado di risolverle eventuali problemi con i proprietari degli appezzamenti di terreno limitrofi. Ma il punto su cui Papagni insisteva era che la donna vedesse “il capo dei capi”, specificando che si sarebbe trattato di un incontro breve, al quale però egli non avrebbe potuto presenziare. Alla fine Mezzaroma accetta. Ma prima di vedere De Santis denuncia tutto ai carabinieri. L’inchiesta viene seguita dal sostituto Mario Palazzi che dispone ogni provvedimento per iniziare a indagare.
La donna va all’appuntamento con “nasca” e lui, con modi felpati, fa una presentazione di sé stesso, definendosi una persona «molto ascoltata» ed «una leggenda metropolitana» e aggiunge: «Diciamo ironicamente, usiamo questo termine». E fa notare che è uno molto attento, riferendosi alle indagini e agli investigatori, che si vanta di riuscire ad eludere: «Tenga presente che non uso telefono da sedici anni, vivo in bicicletta... vivo con le mie paranoie tra virgolette, ma vivo talmente bene...». De Santis intende sottolineare il credito che ha assunto sul territorio ed il suo ruolo anche «sociale», nella tradizione della auto-rappresentazione di un boss rispettato: «Vivo in mezzo a tante persone che voglio bene, che accudisco, mi prendo cura, che soffrono, persone in sofferenza, per tanti altri motivi vivono in sofferenza e quindi mi debbo adoperare quando trovo l’interlocutore giusto, giusto mi adopero per cercare di armonizzare le varie anime, in modo che le cose vadano... ». È come se si sostituisse allo Stato creando un suo welfare criminale.
Come funziona questo welfare criminale? “Nasca” dice a Mezzaroma che lui sarebbe in grado di metterla al riparo dalla quasi totalità delle problematiche che potrebbero sorgere durante la costruzione del complesso residenziale: «Le posso dare una certezza del novantacinque per cento di serenità». E per la sua «protezione», De Santis chiede all’imprenditrice, oltre al fatto di far lavorare le sue imprese da cui poi ricava altri soldi, una “parcella” dello 0,5 percento sui ricavi. «Quindi... sui cinquecento [ ... ] Noi la mettiamo nella condizione di serenità, paga per questo!»: su una stima totale di cento milioni di euro, De Santis quantifica la sua parcella in 500mila euro, «da corrispondere in contanti». Mezzaroma però non accetta l’offerta. Ritorna dai carabinieri e denuncia questi nuovi fatti. E scatta l’arresto per “nasca” e Papagni i quali credevano di aver fatto un’offerta che Mezzaroma non poteva rifiutare. E invece Barbara l’ha respinta con i mezzi che conosce: la giustizia.