Via dalla guerra
Molto slancio, tanti dubbi: i buchi nella rete di accoglienza dei profughi ucraini
Basta registrarsi in questura per ottenere la protezione temporanea di un anno estesa a tutti. Ma preoccupano i numeri degli arrivi. In Italia sono 60mila e manca un piano per l’ospitalità. Le misure urgenti prevedono solo 3000 posti in più. E poi l’emergenza degli altri rifugiati
Sulla carta, le frontiere dell’Italia e degli altri Paesi d’Europa sono porte aperte agli ucraini in fuga dalla guerra. È nella pratica che il sistema dell’accoglienza difetta. Perché se è vero che a scappare sono in prevalenza donne e bambini, costretti a separarsi da mariti, padri e fratelli chiamati dalla Patria a difendere la libertà del proprio popolo dall’invasione russa, la portata dei flussi non ha tardato a rivelare l’insufficienza della capacità di assorbimento italiana. Come dire, secondo il Consorzio italiano di solidarietà, che l’esperienza non ha insegnato ancora niente, o quasi, a un Paese geograficamente e storicamente più esposto di altri alle ondate migratorie. Con tutte le conseguenze che un simile fenomeno comporta.
«La vecchia Europa sembra sempre più chiusa in se stessa e pochi sono gli spiragli di speranza sia che si guardi ai singoli Stati, sia che si considerino le politiche dell’Unione», scrive Mariacristina Molfetta, referente della sezione protezione internazionale e diritto d’asilo della Fondazione Migrantes e dell’Osservatorio permanente sui rifugiati, nelle conclusioni de “Il diritto d’asilo. Report 2021”, che insieme alla sociologa Chiara Marchetti ha curato per Migrantes. Uno dei contributi della quinta edizione, 350 pagine di analisi e numeri, arriva proprio dal presidente dell’Ics, Gianfranco Schiavone, che si sofferma sulle «pericolose ambiguità che il Patto europeo su migrazione e asilo sta giocando, specie rispetto ai due concetti di solidarietà e di equa distribuzione delle responsabilità tra gli Stati».
Un tema quanto mai attuale, ora che la spinta di migranti dall’Ucraina apre un nuovo fronte di emergenza umanitaria. Tanto più, considerati i numeri con cui la Polonia, in particolare, si sta misurando: oltre 2 milioni di rifugiati, di cui la metà minorenni, assorbiti in meno di un mese, dei 3,5 milioni che hanno complessivamente già lasciato il Paese per entrare in Europa. «Dal punto di vista giuridico, la procedura in vigore è positiva – spiega Schiavone –. I profughi ucraini usufruiscono di una misura di protezione temporanea, che esclude la necessità di presentare una domanda di asilo individuale. Domanda – aggiunge – che risulterebbe inutile, trattandosi di richieste motivate tutte allo stesso modo, e che produrrebbe l’effetto di lasciare i richiedenti per anni in attesa di una risposta per forza di cose positiva».
Fu la direttiva europea n.55 del 2001 a introdurla: una sorta di protezione collettiva in caso di afflusso massiccio di sfollati da zone di guerra. «Valida in tutti i Paesi europei e della durata minima di un anno – continua – dà diritto a lavorare e a ricevere accoglienza, senza bisogno di tanta burocrazia, ma con la sola registrazione della presenza nelle questure».
La nota dolente, osserva Schiavone, è rappresentata dalla mancata obbligatorietà di una ripartizione delle quote di profughi tra uno Stato e l’altro. Che peraltro, sempre in base alla direttiva, beneficerebbero di fondi erogati dall’Ue. «Avendo libertà di circolazione, gli ucraini possono scegliersi il Paese in cui chiedere lo status giuridico della protezione temporanea – spiega –. Vige il principio dell’autodistribuzione. In Italia, finora, sono arrivate più di 60 mila persone. Ma se il conflitto non dovesse avviarsi verso un rapido rientro, è evidente che bisognerà modificare qualcosa. Ci sono Paesi, come la Polonia e la Romania, che hanno bisogno di alleggerire il peso degli arrivi. D’altra parte, però, il sistema di accoglienza italiano non sarebbe in grado di sopportarne altri e se la Commissione europea ci chiedesse di ospitare ulteriori 50 mila ucraini, non sapremmo dove metterli».
Al momento, il 98 per cento di quelli presenti in Italia è assorbito dalle reti parentali. «Non abbiamo posti liberi a disposizione delle emergenze – continua il presidente dell’Ics – e questo sottodimensionamento è il risultato di una mancata programmazione di cui è responsabile la politica, in particolare quella gialloverde, che ha mortificato e progressivamente ridotto il sistema di accoglienza, generando le lacune di cui oggi paghiamo lo scotto».
Da qui, la difficoltà di una qualsiasi previsione. Come quella contenuta nel decreto legge n.16 del 28 febbraio scorso sulle «ulteriori misure urgenti per la crisi in Ucraina». «All’articolo 3, il governo ha autorizzato l’attivazione di 3 mila posti nel Sistema di accoglienza e integrazione. Si tratta – osserva Schiavone – di posti di cui non disponiamo e in fase di reperimento, ma comunque inferiori, quantomeno di uno zero, rispetto al numero di persone entrate in Italia nelle prime tre settimane di guerra». Numeri destinati a fare i conti con un problema di gestione anche quotidiana degli sfollati, visto che a cercare rifugio sono soprattutto donne e bambini, con o senza madri. E che c’è quindi bisogno di figure professionali specifiche, dai mediatori e gli interpreti, agli psicologi. «Finora, la capillarità del sistema scolastico è riuscita ad assorbire le richieste – afferma –, ma se le necessità dovessero aumentare, anche questo fronte entrerebbe in crisi».
Atteso alla fine della settimana scorsa, intanto, il decreto legge sulle «misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina», approvato venerdì scorso dal consiglio dei ministri, se da un lato ha esteso il piano per l’accoglienza dei profughi ucraini fino a 91.500 posti, dall’altro non ha ancora fornito le risposte che chiariranno a enti e associazioni il perimetro di applicazione della protezione temporanea. Saranno le ordinanze attuative della Protezione civile, cui è stata affidata la competenza della macchina organizzativa, a regolare il rapporto con Regioni, Comuni e Terzo settore.
Sullo sfondo, intanto, al netto dell’attacco russo all’Ucraina che rischia di muovere sullo scacchiere europeo i quasi dieci milioni di sfollati calcolati dall’Unhcr (sei milioni e mezzo non hanno ancora abbandonato il Paese), resta un quadro mondiale tutt’altro che incoraggiante. È il report di Migrantes a tratteggiarlo, evidenziando, tra gli altri, il passo indietro rispetto alla conquista delle frontiere aperte introdotte con l’accordo di Schengen che alcuni Paesi (Germania Francia, Austria, Norvegia, Svezia e Danimarca) hanno compiuto reintroducendo in modo permanente i controlli alle rispettive frontiere interne all’Ue. E bocciando anche le sperimentazioni italiane di corridoi umanitari e per studenti rifugiati «che, se diffuse su ampia scala, permetterebbero un accesso sicuro dei rifugiati all’Europa». Infine, i numeri. L’Unhcr stima che, a metà 2021, la popolazione in situazione di sradicamento forzato nel mondo abbia superato gli 84 milioni di persone. «Almeno 1,6 milioni in più – si legge – rispetto al già triste “record” di 82,4 milioni calcolati a fine 2020». Secondo l’agenzia dell’Onu, si tratta di 26,6 milioni di rifugiati, 4,4 milioni di richiedenti asilo, 3,9 milioni di venezuelani dispersi all’estero senza status e tra i 48 milioni e i 50,9 milioni di sfollati interni. Il 2022, con la catastrofe in atto in Ucraina, potrebbe sfiorare il tetto dei 100 milioni.