Secondo un’indagine dell’Università di Berkeley l’attrattiva del sistema accademico del nostro Paese è scarsa: difficoltà d'accesso, poche posizioni, anni di precariato, retribuzioni basse

Circa un milione di italiani ha lasciato il Paese tra il 2012 e il 2021. Di questi, un quarto sono laureati: ogni anno tra il 5 e l’8 percento dei giovani altamente formati va via dall’Italia. I dati Istat e del ministero dell’Università non esplicitano le ragioni per un flusso così intenso di partenze, ma un’indagine condotta da Almalaurea sulla condizione occupazione dei laureati è utile per capire: all’estero ci sono migliori opportunità sia in termini di retribuzione, sia di carriera.

 

I laureati di secondo livello che lavorano fuori dall’Italia, a un anno dal titolo, guadagnano il 41,8 percento in più di quelli che restano: 1.963 euro mensili netti contro 1.384. A cinque anni dalla laurea la situazione peggiora. Chi vive all’estero ha in media uno stipendio di 2.352 euro netti al mese. Chi resta di 1.599. Tra gli italiani che lasciano il Paese dopo aver completato il percorso di studi ci sono anche quelli che se ne vanno dopo aver conseguito il dottorato. Secondo Istat l’Italia è il Paese da cui ne fuggono di più: circa uno su cinque. Un numero in progressivo aumento se si confronta con i dati degli anni precedenti disponibili.

 

Come si capisce dall’analisi “L’attrattiva del sistema universitario europeo” svolta all’Università di Berkeley, in California, per la Conferenza dei rettori delle Università italiane, le prospettive di lavoro e le retribuzioni per i ricercatori e i professori del nostro Paese sono le peggiori se confrontate con quelle dei colleghi inglesi, tedeschi e francesi: il sistema d’accesso è complicato, il percorso di abilitazione è lungo, così come gli anni di precariato, a fronte di pochi posizioni per professori di ruolo. E retribuzioni basse.

 

Secondo i dati dell’indagine, un ricercatore italiano assunto a seguito di concorso per un periodo di tre anni, ha uno stipendio netto di 28.256 euro annui che è poco più della metà di quanto prende uno “junior professor” in Baviera, Germania. Un “lecturer” inglese invece guadagna 49.168 mila euro l’anno. Andando avanti con la carriera, per i professori associati la situazione non migliora di molto: quello inglese ha un salario medio di 69.835, il corrispondente tedesco di 70.333, il francese di 44.522. E l’italiano di 40.988. Per i professori di ruolo emerge una differenza netta tra gli inglesi e i tedeschi che guadagnano rispettivamente 91.973 e 82.627 euro netti l’anno. E gli italiani e i francesi che invece hanno una paga di 56.335 euro e 57.178.

 

Se, come scrivono gli accademici che hanno realizzato l’analisi, misurare l’attrattiva del sistema universitario è anche un modo per certificare lo stato di salute dell’istruzione, è evidente che in Italia le cose non vanno benissimo: il peggioramento delle condizioni di lavoro, il deterioramento dei salari e le minacce alla sicurezza del lavoro hanno reso la professione accademica meno desiderabile, soprattutto per i più giovani. Che, infatti, se ne vanno.

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