Inchiesta

Violenza sulle donne, i braccialetti anti stalking sono una soluzione ma i giudici la ignorano

di Rita Rapisardi   10 maggio 2023

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Per anni sono stati pochi quelli in dotazione, oggi il problema sembra risolto. Ma manca la cultura dell’utilizzo: una misura efficace che non viene usata. Eppure si potrebbero salvare tante vite

«Lavoreremo per garantire la certezza della pena, per potenziare le misure di protezione delle vittime e rafforzare il ricorso allo strumento dei braccialetti elettronici, che spesso non vengono applicati perché semplicemente non ce ne sono», così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel suo discorso per la Giornata internazionale della violenza sulle donne, il novembre scorso.

Nel grande piano del governo che coinvolgerà tre dicasteri, Giustizia, Interno e Pari Opportunità, con obiettivi “prevenzione, protezione e certezza della pena”, i braccialetti elettronici sono una priorità assoluta. Ma la loro storia di mancata applicazione, per penuria prima e poca richiesta da parte delle autorità competenti dopo, potrebbero rendere il tutto difficoltoso.

Introdotti con un decreto legge nel 2000, come svuota carceri e favorire i domiciliari, di braccialetti nel primo decennio se ne contano poche decine, attivati a fronte di milioni di euro di spesa per lo Stato.

Le cose iniziano a cambiare nel 2013 con la sottoscrizione della Convenzione di Istanbul e con l’introduzione del Codice Rosso nel 2019 e l’apertura del braccialetto ai casi di violenza domestica e stalking. Una misura cautelare da valutare in seguito a una denuncia e un’indagine in corso e richiesto dal giudice come misura di protezione della vittima. In questi casi i dispositivi sono due: il braccialetto e un dispositivo in possesso da parte della vittima che l’avverte qualora l’aggressore si avvicini troppo; contemporaneamente un segnale allerta le forze dell’ordine che mandano una pattuglia a controllo.

Le problematiche di approvvigionamento continuano almeno fino all’anno scorso: nel 2017 il ministero dell’Interno stipula una gara per la fornitura, vinta poi da Fastweb. La società dal 2018 avrebbe dovuto fornire 1000-1200 braccialetti al mese per tre anni (quelli anti stalking sono una piccola parte), per un totale di 43.200 dispositivi e un costo complessivo di 23 milioni di euro. A ciò si aggiunge uno stanziamento al ministero degli Interni per la messa in pratica dei dispositivi elettronici di undici milioni euro per il 2020, ventuno per il 2021 e ventuno per il 2022. Va sottolineato che i braccialetti elettronici sono strumenti costosi, ognuno costerebbe circa 86.500 euro, in base ad una valutazione dell'Organismo Unitario della Avvocatura.

Nel 2021 in seguito a un’interrogazione parlamentare di Roberto Giacchetti fatta l’anno precedente al sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi, si apprende che in dotazione ce ne sono solo 2600, quando sarebbero dovuti essere 24mila. Problema vivo anche durante il periodo Covid dove si cerca di alleggerire le carceri per chi ha una detenzione da scontare inferiore ai sei mesi: motivo per cui, nonostante il contratto con Fastweb, il commissario straordinario Arcuri ne richiede sempre all’azienda ulteriori 1600.

Nel 2021 il ministero fa sapere che quelli attivi sono 4.595, 850 quelli che consentono di proteggere le vittime di violenza. «La colpa non è di Fastweb, in realtà, il quantitativo dipende da quanto richiesto di volta in volta da Ministero dell’interno. In sostanza il numero di braccialetti in uso dipende non da una carenza di dispositivi, ma esclusivamente dalle attivazioni e disattivazioni disposte dalle Autorità competenti», denuncia la polizia penitenziaria.

«Il problema di approvvigionamento è superato, i braccialetti ci sono, disponibili in tutta Italia, ma ne vengono utilizzati solo tra i tremila e i quattromila l’anno», spiega il procuratore di Tivoli Francesco Menditto, che ha messo in piedi il cosiddetto “modello Tivoli” noto a livello internazionale, basato proprio sull’uso dei braccialetti.

«Quando arrivai a Tivoli ‘si diceva’ che non c’erano, accertai che non era vero; li chiediamo e i giudici li applicano, è più una mancata attenzione all’utilizzo dello strumento». Una “pigrizia”, aggiunge il procuratore, che si potrebbe risolvere inserendo l’obbligatorietà del braccialetto elettronico, salvo motivazioni specifiche, per questo tipo di reati. Quindi per il procuratore i braccialetti ci sono, ma sono poche le richieste.

Un altro aspetto per cui “la legge è fatta male”, continua Menditto, è il necessario consenso da parte dell’aggressore all’utilizzo: «Bisognerebbe fare come per gli arresti domiciliari, in caso di rifiuto si valuta il carcere. Ne ho sentite di scuse per non usare il braccialetto: “soffro di allergie”, “ho il pacemaker", “rischio la vita”. Noi consideriamo il rifiuto un indice di pericolosità, quindi chiediamo una misura più grave». A questo si aggiunge la valutazione della distanza: «La legge dovrebbe imporre una distanza minima, da 500 a 1000 metri. Ho seguito casi per cui il giudice dava 100 metri, senza così dare tempo alla pattuglia di intervenire».

Un disegno di legge presentato nella passata legislatura da quattro ministre (Bonetti, Cartabia, Gelmini e Lamorgese) ora fermo in Parlamento, prevede alcune migliorie: non solo la cancellazione del consenso da parte dell’aggressore, ma anche la possibilità di procedere d’ufficio (e non dopo denuncia) e l’arresto in caso di violazione del divieto di avvicinamento (non più quindi in flagranza di reato).

«Il braccialetto elettronico non solo è utile, lo definirei indispensabile per proteggere di più e meglio le donne in casi di violenza», commenta la senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione Femminicidi nella scorsa legislatura, «A questo scopo bisogna soprattutto lavorare sulle misure cautelari che sono la precondizione per l’applicazione del braccialetto. Il tema centrale è che il pm deve riconoscere, da subito, la violenza, comprendendo e valutando il rischio per la donna e dunque la pericolosità sociale dell’uomo che agisce la violenza. Per questo è fondamentale la formazione e la specializzazione dei pm». Spesso la violenza non è infatti tempestivamente riconosciuta o come, si legge nelle archiviazioni delle denunce di violenza, è declassata a conflitto tra partner.

L’utilizzo però dice che se si applicano i braccialetti, le violazioni sono irrisorie, tradotto, possono voler dire vite salvate. Il primo trimestre del 2023 conta oltre trenta vittime, in aumento rispetto l’anno precedente, e la maggior parte di queste donne aveva denunciato il proprio aggressore. Ma le denunce spesso non bastano, anzi, diventano ulteriore motivo di escalation e persecuzione per le donne. Le recidive, secondo la Commissione Femminicidi, anche dopo il carcere, sono altissime, circa l’85% dei casi; motivo per cui la procura di Tivoli utilizza il braccialetto anche dopo la fine della detenzione. Il dispositivo funziona da deterrente, è applicato per tutto il tempo del procedimento giudiziario e, solo a discrezione del giudice, dopo una valutazione di buona condotta, dopo sei mesi o un anno se ne valuta la sospensione.

La loro efficacia è dimostrata anche se si guarda fuori dall’Italia. In Spagna nel 2019 i socialisti hanno attuato una grande riforma sul contrasto alla violenza sulle donne che ha spinto sull’utilizzo dei braccialetti, definiti una misura contro “il terrorismo machista”: in nessun caso si sono verificate ulteriori violenze. Ma i numeri anche in questi casi sono limitati: circa 3mila l’anno in Spagna, 4mila in Uk, 2500 in Australia.

«Purtroppo il numero di braccialetti elettronici è ad oggi sempre molto esiguo rispetto alle effettive esigenze, legate sia alla necessità di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, sia all'alto numero annuale di denunce per maltrattamenti domestici e stalking», spiega Michela Nacca, avvocata e presidente di Maison Antigone, che aggiunge: «Rimane il problema del fattore umano: ossia la sottovalutazione del pericolo corso dalla vittima, che può indurre il gip a ritenere non necessaria la richiesta di adozione del braccialetto elettronico, oltre il provvedimento di non avvicinamento per l'imputato. Per tale motivo le richieste in tal senso sarebbero ancora rare».

I dati però sono chiari: circa il 60-80% dei casi le denunce per maltrattamenti e stalking finiscono archiviate, e le vittime continuano a rimanere esposte al rischio di rivittimizzazione. «Contro questo fenomeno distorsivo purtroppo non esistono braccialetti salvavita che possano proteggere le donne», conclude Nacca.