Beautiful e la tv: mi si nota di più se la guardo o non la guardo?

In televisione e nel web, una puntata tira l’altra, come i commenti. E se non basta la gente comune, ecco la politica

Quando Ridge Forrester sposò Caroline tutti pensarono all’amore eterno, quello delle fiabe che non si avvera mai in questa arida terra. Poi però arrivarono le nozze con Brooke e poi Brooke sposò il padre di Ridge e poi Ridge risposò Brooke e poi Caroline che nel frattempo era morta risorse per sposare Ridge.

A oggi in quel di Beautiful siamo ancora fermi lì. La povera Brooke ha passato i 50 da un pezzo, si è presa la fede da Ridge otto volte e si dibatte tra padri e figli, sempre alla stessa ora, sempre sullo stesso canale, ferma immobile in quella scatola da oltre trent’anni. Per confermare il valore rivoluzionario delle soap opera che mettendo in scena passo dopo passo le storie immaginifiche del quotidiano familiare, amore, tradimenti, fratelli a sorpresa, madri fedifraghe e cognate poco di buono, rassicuravano nei loro deliri sentimentali ogni spettatore che in ciabatte e bigodini si trovava a ciarlare nel tinello.

La ripetizione ossessiva dei concetti elementari, i personaggi tagliati con l’accetta che potevano somigliare a chiunque entravano nelle case per il tempo di un caffè. In poche parole una sorta di accondiscendente dimostrazione che quando Hans Magnus Enzensberger definiva la televisione un mezzo di comunicazione vuoto senza veri contenuti, né programmi sostanzialmente differenziati aveva le sue buone ragioni.
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La citazione celebre viene dall’episodio Isole di “Caro Diario”. Nanni Moretti fa il giro delle Eolie con un amico intellettuale che si vanta di non guardare la tv da 30 anni. Poi, all’improvviso, su un traghetto capta un dialogo di “Sentieri” guarda caso proprio un infinito quanto insipido racconto di gente comune, e precipita nel girone infernale della teledipendenza. Sino a quando, terrorizzato all’idea di un soggiorno senza corrente elettrica corre disperato verso la civiltà gridando come un ossesso: «Televisione! Ascensore! Telefono! Acqua calda! Aspettatemi! Televisione! Eeeh! Ma come fate a vivere senza televisione? Ferma! Fermi! Hans Magnus Enzensberger mi fa pena quando dice che la televisione trasmette il nulla. Aaah! Ferma! Karl Popper, hai torto marcio! Non è vero che la televisione è un mostro che corrompe i bambini! Anzi, i bambini non si rincretiniscono davanti alla televisione, ma sognano ad occhi aperti, come un tempo sognavano ascoltando le fiabe e le leggende!». Un’intuizione, alle solite, di Nanni Moretti che aveva capito sin troppo bene che le storie degli altri in fondo sono un po’ la tua storia.
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Dopo il boom delle soap le telecamere si fanno spazio e sgomitando cominciano a entrare direttamente dentro la vita di uomini e donne, i nostri amici, i nostri vicini di casa. Perché se la televisione è il nulla, è solo un oggetto, come il frigorifero va riempito con quello che più ti somiglia. I reality così stravolgono in men che non si dica le giornate dello spettatore medio.

Uno specchio, continuo, in cui riflettersi a microfoni aperti per flussi di coscienza e inutili sottigliezze, un po’ come Facebook in cui sproloqui e dettagli sulla limatura delle unghie vengono nobilitati dal momento che gli si attribuisce uno spazio dedicato. Perché un conto è guardare la televisione e un conto è entrarci dentro, fisicamente, stipati nella scatola. Dove si va in scena giorno dopo giorno. Alzi la mano chi non ha buttato almeno un occhio facendo finta fosse critico, ai tradimenti pruriginosi, gli insulti smodati, le ripicche e le volgarità gratuite elargite da perfetti sconosciuti elevati a protagonisti. Ormai si scrutano i corpi, avvinghiati e offesi, che occupando ore e ore alla fine senza altro merito diventano famosi e in quanto tali giudicano le nuove leve di signori nessuno, in un flusso di ripresa inarrestabile.

L’asticella si alza (o si abbassa) di continuo verso l’abolizione totale di filtri, in una ricerca spasmodica quanto insensata di presa diretta.

Negli anni, si è ritenuto plausibile passare del tempo a contare i fagioli in un barattolo, a scommettere su dei pacchi di cartone e mentre passavano senza pensieri cruciverba giganti, su isole sperdute pletore di affamati senza trucco litigavano in mutande per un pezzo di cocco in diretta. Diventando inutili star. Anche i processi ormai si fanno in tv, dentro la tv. In quel lontano ’93 di “Caro Diario” fu mandato in onda il dibattimento Enimont, con Forlani e la saliva rappresa agli angoli della bocca per l’ansia da testimonianza. Era la prima volta, e fu un successo clamoroso.

Oggi la diretta, il tribunale vero ripreso e riproposto non basta più. Il processo si apre e si chiude nello spazio di un programma, che trova la sua vittima e a prescindere dal fatto che abbia tutte le colpe del mondo viene deciso con un copione scritto quale punizione sia più adatta. La stessa che viene inflitta senza filtro alcuno sul dibattito pubblico via social dove miriadi di laureati “all’università della vita” si sentono costretti a dire la propria, su vaccini e leggi elettorali, razzismi e piddioti, ondeggiando come trifidi in fase di moltiplicazione compulsiva. Così la televisione fa la fine dell’imperatore che se ne va bellamente a passeggio mostrando le sue misere grazie alla folla festante sino a che non arriva un bambino molesto che gli rovina l’illusione degli abiti sontuosi. È nudo, è nudo, grida il piccino, e il povero regnante si ritrova beffato e deriso in mezzo a un popolo bue che smette all’improvviso di esserlo solo per i gridolini di un minorenne.

Ecco, la povera, maltrattata bislacca tv che ci segue passo passo, il vuoto, che gironzola tra i palinsesti che in pochi hanno voglia di riempire. Un cannolo senza crema, è come un regnante senza abiti nuovi, illusione da telecomando che premia i fedeli con un gesto della mano durante il corteo. Ci si lascia andare e via, una puntata tira l’altra, un commento chiama il prossimo e se non basta più la gente comune, che avanzi la politica, senza filtri come da manuale, con tweet ed esternazioni a caso, selfie e commenti che un tempo sarebbero stati troppo bassi persino detti in ascensore e che oggi aprono telegiornali e talk show, e diventano, nella loro insipienza, materia di discussione. Perché tutto entra nella scatola, basta che abbia la misura adatta.

Umberto Eco, che della televisione aveva capito parecchio, dedicò una delle sue Bustine all’intervista al cormorano delle Shetland. Il quale con le piume inzuppate di petrolio faceva una vitaccia in favor di telecamere per commuovere il popolo degli spettatori con le sue ali unte. «Noi cormorani siamo della grandezza giusta per il teleschermo», diceva il pennuto nell’intervista immaginaria, «a me mi possono riprendere in primo piano perché si vede tutta l’immagine. Mi ha chiamato anche l’Unicef perché l’essere umano non commuove. Hanno provato a mostrare i bambini africani denutriti con la pancia gonfia e le mosche sul viso, ma alla gente fa schifo e cambia canale. Gli animali invece fanno tenerezza. Poi lei capisce, quando cominci con la televisione poi ti vogliono dappertutto, per la pubblicità, in Parlamento, è una spirale».

Ieri il cormorano, oggi i gattini su Facebook, teneri cucciolotti postati da quelle stesse dita che un attimo prima hanno augurato la morte a nemici di vario genere e numero nei più coloriti dei modi. Intanto mentre tutto ciò passa ordinariamente sotto gli occhi il dibattito si autoalimenta con il distacco fasullo di chi quella roba lì non la guarda, figuriamoci, per non parlare dell’orrore del “popolo del web”, per carità. È estremamente più facile esternare il proprio pubblico disprezzo che provare a migliorarne il contenuto, pur subendo tacitamente entrambi. Beniamino Placido, che dio lo benedica, a proposito del saggio di Enzensberger raccomandava ai ragazzi del liceo di ritagliarlo e di metterlo da parte. «Prima o poi un tema in classe su (e contro) la tv arriva. Si ispirino nello svolgimento a questo salmo penitenzial-imprecatorio e avranno un gran bel voto. Si ha sempre un bel voto a scuola quando si parla male della televisione, in generale». Anche dopo la maturità se è per questo. Un argomento da salotto assicurato.

E parafrasando Moretti proviamo a chiederci: mi si nota di più se la guardo o se non la guardo?

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