Oddio, tra poco c'è pure Sanremo: ormai tanto vale guardare la radio

Fateci caso: in televisione si canta sempre. Da un talent all'altro, dai senior ai bambini. Una sorta di accanimento. In attesa dell'apoteosi del Festival

Canta che ti passa si diceva un tempo. E il nostro di tempo deve aver preso il detto in parola. Su qualunque canale ormai si dà libero sfogo alle corde vocali con quel gusto sottile per l’accanimento che trova come unica variabile la notorietà più o meno assodata del portatore di microfono. Dal trascurabile “The Voice” su Rai Due si è passati ai ragazzini di “Sanremoyoung”, poi ci sono stati gli imitatori canterini di “Tale e Quale show” appena più conosciuti di quelli della successiva versione degli ignoti.

Cover dopo cover, mentre “X Factor” regala da Sky la sua edizione più scialba, Celentano da Mediaset abbandona le ansie da rivoluzione e preso per un orecchio dal buon senso torna con “Adrian” a proporre cavalli di battaglia e carezze in un pugno. Altro giro altro canale si torna in casa Rai dove in cerca di un’idea qualsiasi devono essersi detti che tre orette o giù di lì di canzoni famose reinterpretate da altri potesse essere una trovata niente male.

Così una dopo l’altra si è passati dalle celebrazioni dei grandi Dalla Battisti De André con “Una storia da cantare”, alla napoletanità di Gigi D’Alessio che con Vanessa Incontrada offre “Vent’anni che siamo italiani”. Il format, sempre quello: ecco a voi qualcuno che canta. Fine. Facile e senza impegno come un tubino nero. Intanto su Canale 5 aspettando la versione prime time degli “Amici” di Maria, la Hunziker ripropone in gran fretta “All together now”, signori nessuno che cantano ascoltati da vip che in realtà sono appena appena meno di nessuno.

E mentre Milly Carlucci prepara il suo “Cantante Mascherato”, “Sanremo giovani” aggiusta il terreno per i senior di febbraio. All’appello mancava una sera, solo una, a rischio silenzio, giusto dopo la morte disperata di Cavaradossi alla Scala diventata cover anch’essa. Un sabato del villaggio televisivo in cui su la piazzola in frotta saltassero i fanciulli gridando con lieto rumore.

Ma l’idea geniale era dietro l’angolo: far sorbire a un pubblico adulto le dodici canzoncine de “Lo Zecchino d’oro”, con mini cantanti ben vestiti e pettinati alla bisogna che venivano giudicati e interrogati, piccole vittime della grande tv a cui domandare se avessero o meno un fidanzato. A sei anni. E tra Acca e pesci parlanti, inframezzati dalle esibizioni, canore neanche a dirlo, degli ospiti di punta, i brani scorrevano, uno dopo l’altro nella spasmodica attesa che arrivasse la mezzanotte. Per far scomparire gli incolpevoli minori prima di farli ritornare innocue zucche silenziose. Magari a forma di radio, che visto l’andazzo generale tanto varrebbe guardare quella direttamente.

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