Lilli la rossa, Lilli Testarossa, Lilli la maestrina dalla penna rossa, il cipiglio di Lilli, certo questa Lilli che bel caratterino, i tailleur di Lilli, Lilli sex symbol, Lilli la giornalista pashminata. E via dicendo. È dura la vita da Gruber, giornalista, conduttrice, scrittrice, cinque lingue e un’innata propensione all’intelligenza, costretta di volta in volta a essere incorniciata in un commento che mira al basso come ambizione comune. Le citazioni variegate la seguono e la perseguitano, ma sembravano essersi placate nella solida corazzata conduttiva di Otto e mezzo, certezza da palinsesto La7 in cui, senza agitazione alcuna, si muove da anni con modi impeccabili.
Dopo essere stata la prima in varie specialità, tra le quali quella della conduzione “al femminile” del Tg1 in tempi in cui le quote rosa erano solo il prezzo delle Barbie, la Gruber ha affinato come sua caratteristica principale non tanto quella, perlopiù inedita nel panorama italico, di porre le domande, quanto la pretesa, ancor più inedita, di ottenere in cambio delle risposte. «Lei non mi deve ricordare niente: io faccio le domande e lei mi deve rispondere». «È contento di non dover più lavorare in mutande sulle spiagge? Sa, la forma è sostanza». «Ho il dovere di farle delle domande. Chiedo delle questioni e lei mi risponde. Non mi faccia togliere l’audio» e via dicendo.
Ma, come spesso accade, il desiderio di rivalsa che sembrava sopito si è improvvisamente risvegliato dal momento in cui Lilli Gruber ha dato alle stampe il suo ultimo libro, “Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone”. Presentando qua e là come è d’obbligo in questi casi la sua fatica, in cui denuncia l’invisibilità femminile e la necessità di una democratica ricerca di parità tra i sessi, ha visto il risveglio generalizzato di signori che come randagi allo sbando hanno dovuto far fronte alle legittime considerazioni dell’autrice. Così sono ripartiti i florilegi, della donna senza fronzoli, che incute un certo timore perché assertiva, divisiva, e altri iva un po’ a caso.
Ma si sa, come ha detto Sallusti, che «al di là della bravura se un conduttore uomo va sopra le righe viene subito massacrato, una donna invece gode di una certa protezione». Sarà per questo che Dietlinde da Bolzano detta Lilli non ha sussultato quando qualcuno ha provato a confrontare il suo modo di fare tv a quello di Mario Giordano, Ma semplicemente ha preso fiato, ha inclinato la testa e ha risposto con gelida grazia: «Gradirei evitare paragoni non opportuni: io cerco di fare la giornalista e la faccio da più di trent’anni». Sipario. Applausi. E bis, se possibile.