Parafrasando il Perozzi di “Amici miei”, anche il conduttore, come il genio, è fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione. Più o meno l’esatto contrario di quel che passa il convento televisivo, in particolar modo se si tratta di avvenimenti di un certo peso. Programmi imbolsiti, indecisi ai limiti dell’indolenza e lenti come bradipi ansanti che arrancano sino alla fine del palinsesto. Per questo il buon Alessandro Cattelan rappresenta una gustosa eccezione. Nato in quel di Tortona, alla soglia dei quarant’anni vanta al suo attivo la capacità di trasmettere il divertimento puro che prova facendo il suo mestiere. Artigiano della parola, nel senso che cesella ogni confronto come se fosse il più importante, si è ritagliato nello spazio televisivo una posizione invidiabile: quello di essere invocato ogni volta che il programma di qualcun altro mostra segni di cedimento. Da qui, probabilmente, il titolo del suo show.
“E poi c’è Cattelan”, (EPCC per i più) ovvero visto che è mancato a tutti nel circondario da piccolo schermo almeno ce lo ritroviamo con piacere su Sky Uno. Se per esempio, durante i David di Donatello tornati mestamente all’ombra del cavallo di viale Mazzini vengono fatte interviste briose come quella a Dario Argento, che si è sentito domandare se effettivamente esistesse una differenza tra horror e thriller, il sospiro dello spettatore termina sempre con un «Ah, perché non lo conduce Cattelan?».
Che tradotto significa banalmente, per quale motivo non dobbiamo avere il diritto di veder tenere quel microfono nelle mani di chi si è fatto almeno una vaga idea su chi sia il suo interlocutore. Dettaglio che per la buona riuscita di un’intervista in genere aiuta.
Questa invocazione ormai torna sempre più di frequente, perché per onestà intellettuale bisogna ammettere che è vero che ad Alessandro Cattelan si potrebbe affidare a cuor leggero praticamente ogni sorta di intrattenimento. Ma è ancor più vero che il panorama contemporaneo lo fa sembrare una sorta di Gulliver in una tv di lillipuziani. Dove l’inglese è una lingua definitivamente sconosciuta, il bacio l’ambizione massima che si possa ottenere da un’ospite di bella presenza, la battuta spicciola, possibilmente sulla fisicità altrui il livello più alto. Così, mentre il nostro porta in giro la sua bella faccia in un programma in cui si trova perfettamente a suo agio, tutto il resto annaspa nella noia omologata. Tra programmi talmente uguali da rasentare l’accanimento terapeutico.
E piano piano si arriverà a febbraio. Per poter dire, una volta ancora, «Ah, se Sanremo lo conducesse Alessandro Cattelan...»