La quinta stagione della serie Netflix è inverosimile oltre ogni limite. Ma il vero timore è che ci stiano illudendo e che l’ultimo atto in realtà sia ancora lontano

Quando in un film dell’orrore la musica incalza e la fanciulla vestita di bianco che impugna uno stecchino per affrontare le avversità sta per aprire la porta dietro la quale palesemente si nasconde il serial killer che la ridurrà in briciole, tutti, ma proprio tutti urlano allo schermo «Fermati, non lo fare, togli quella mano dalla maniglia!». Ecco, la pulsione che scatta in automatico verso coloro, pochi a dire il vero, che ancora non hanno affrontato la quinta stagione de “La Casa di carta” è esattamente la stessa: non lo fate.

E non tanto perché il Professore che tutto programma e tutto risolve si scopre essere un abile ginecologo capace di far uscire con ovvia naturalezza una bimba in posizione podalica con il solo gesto di una mano (visto che il piede è fuori uso).

Neppure perché su 250 minuti di visione di questa prima parte quasi duecento siano un film di guerra di risulta, dove si passa con assoluta disinvoltura dalle citazioni di Ungaretti a quelle di Rambo, mentre in quelle quattro mura, come direbbe il professor Aristogitone, volano bombe a mano e caricatori di mitragliatrice, mentre i cattivi “fascisti” usano la mimetica per confondersi nei celebri boschi che fioriscono nelle banche. E a esser generosi gli si potrebbe persino perdonare di aver trasformato un meraviglioso personaggio infame come Alicia Serra in una genitrice dai buoni sentimenti. Insomma, qui non è più in gioco la verosimiglianza che è stata gettata dalla rupe Tarpea da almeno due anni e nessuno si sente di reclamarla, al punto che nell’impegnativo affresco della novella Resistenza in tuta rossa, il fatto che ordinari impiegati riescano a far saltare un lucchetto con un solo sparo diventa quasi plausibile.

Quel che lascia un vistoso punto interrogativo sul volto ridotto a maschera di Dalì dello spettatore incredulo, e che dovrebbe essere un ottimo motivo per non fargli aprire quella porta, è l’ennesimo procrastinarsi della parola fine. I protagonisti muoiono ma il rischio è che risorgano, il colpo va a segno e subito ne è pronto un altro, il presente arranca e allora largo ai flashback, la vittoria latita e allora si passi all’esaltazione della sconfitta, il gran genio del capobanda è in difficoltà e subito la poliziotta passata all’altro lato della forza prende il comando con il piglio da Professoressa, che ha buttato la divisa alle ortiche senza pensarci un solo attimo.

Insomma, la sensazione prevalente è che ci stiano illudendo con l’appuntamento degli ultimi cinque episodi dal 3 dicembre ma che in realtà la serie non finirà mai. Lasciando il globo nell’eterna attesa. Altro che Godot.

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