Gianluca Vacchi, la noia e la nemesi nel documentario su Amazon

Oltre ai social c’è di più, avrebbe voluto raccontare l’agiografico “Mucho Mas”. Poi è esploso il caso degli ex dipendenti non pagati. Come una tempesta perfetta. Da cui si è potuto evincere che anche i ricchi piangono

«Ve lo dico subito: di me non sapete un bel niente e quel che pensate di sapere è un’enorme cazzata», dice in smoking Gianluca Vacchi l’influencer (che andrebbe scritto tutto attaccato) in apertura del documentario che racconta la sua vita e le sue (si fa per dire) opere. Una bella trovata, si saranno detti lui, Amazon Prime e la troupe tutta, per entrare nei computer degli italiani mostrando, visto che qualcuno magari lo chiede a gran voce, che oltre ai social c’è di più. Come le gambe.

 

Però il diavolo fa le pentole, i coperchi ma pure i mestoli e le presine, così a poche ore dal lancio del viaggio introspettivo di “Mucho Mas” sono spuntate denunce di cattiva gestione del personale filippino, niente ferie, niente tfr, niente straordinari, urlacci e pretese per quegli stessi dipendenti che con crestina e grembiule sgambettavano a ritmo su Tik Tok. Insomma, un tempismo cinico e baro.

 

Ma la tempesta è spesso perfetta, e l’uomo che tanto ha dato ai social e che si dona in mutande d’ordinanza al suo amato pubblico, viene ripagato al grido di vergogna proprio dai suoi ex follower. I quali delusi per le “distrazioni” contributive ai danni delle colf, hanno realizzato all’improvviso che il modello di riferimento di Gianluca Vacchi l’influencer non era Giuseppe Di Vittorio e hanno chiesto la cancellazione del docufilm. Quando si dice la nemesi. Non si fa così.

Ora, sulla Croce rossa non si spara. Ma si sa, che si può resistere a tutto tranne che alle tentazioni e alla luce delle cronache e degli audio rivelati da Repubblica ci si può concedere una sbirciata alle immagini patinate del faccione barbuto di questo signore di mezza età che passa la sua giornata nel disperato tentativo di rimanere giovane.

 

Il risultato però è abbastanza mesto. Un’ora e quindici minuti di primi piani, in cui gli occhi si riempiono sovente di lacrime commosse per la moglie, la figlia, il successo. E con accento bolognese monocorde, Vacchi procede nel suo soporifero racconto in odor di santità, per rivelare quanto sia dura la vita di un multimilionario, costretto dalla sua posizione in classifica a conservare gli addominali come se fossero panda in via d’estinzione, obbligato a temperature sotto zero per cacciare le rughe, e impegnato giorno e notte a spremere le meningi per ideare addirittura un video in cui apre il baule di un’auto.

 

Così, di citazione in citazione, si arriva alla chiusura in grande stile: «La gente comune pensa che con i soldi tutto venga naturalmente ma è un mito che va sfatato». Perché si sa, anche i ricchi piangono. 

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