Sono solo le ultime due donne ammazzate. Da uomini che non sanno cosa significhi un rifiuto. Ripartire dalle scuole, educare gli adolescenti: è l'unica strada per provare a rimanere vive

Sara Campanella aveva 22 anni, studiava Tecniche di laboratorio biomedico del Policlinico. È stata accoltellata a morte a Messina da uno studente della sua stessa facoltà. Per la strada, le è stata tagliata la gola. Lui non era il suo fidanzato, e neppure un ex. Si conoscevano e basta. Ma da ben due anni il ragazzo, 27enne originario di Noto (Siracusa), rivolgeva a Sara Campanella attenzioni «insistenti e reiterate» al punto che lei avrebbe più volte raccontato alle amiche il timore per quelle attenzioni pressanti e non gradite. «Perché non mi sorridi più come prima» le diceva Stefano Argentino, il solito bravo ragazzo, il solito figlio su cui la famiglia non poteva dubitare. 

 

Ilaria Sula invece studiava alla Sapienza di Roma ed era  stata fidanzata con Mark Samson. Lui, dopo averla uccisa, ha infilato il corpo dentro a una valigia, ritrovato questa mattina - 2 aprile - all'alba in un bosco in fondo a un dirupo, nei pressi del comune di Poli, a un’ora di auto e 40 chilometri a Est della capitale. Un lavoratore giovane che viveva in famiglia. Di lui i vicini, al solito, dicono «un bravissimo ragazzo, figlio di bravissime persone». Intanto l’elenco interminabile di donne ammazzate da insospettabili uomini irreprensibili si allunga. Una lista rosso sangue che si accompagna, anch’essa sempre con le stesse parole di sconforto, di dolore collettivo, di braccia senza forza per quel senso di impotenza che attanaglia una società che ha paura anche a muoversi.

 

Perché le parole volano, come i coltelli che uccidono. Il “no” è ancora uno scoglio insormontabile, il rifiuto inaccettabile, il corpo dell’altra una proprietà indivisibile. Perché questo, sembra dire la mattanza quotidiana, è ciò che viene detto e insegnato e ripetuto. E sino a che la libertà altrui non verrà insegnata a partire dai primi respiri, come materia necessaria alla crescita di un mondo intero, saremo ancora fermi lì, a quella lista di nomi, di armi che affondano, di acidi che sfregiano, di valigie dentro cui nascondere i corpi che sono considerati solo come una proprietà privata.

 

Ogni volta che accade un femminicidio, uno ogni tre giorni, si ricorda la necessità di entrare in quelle classi di sconosciuti, giovanissimi che vivono nelle nostre case, che abbiamo nutrito e allevato e che si rivelano altro da noi, dal mondo che pensiamo di abitare insieme.

 

Non a caso la serie Adolescence ha fatto così tanto scalpore. Perché all’improvviso racconta senza staccare la camera non solo come nelle famiglie vincano i non detti, ma come la scuola sia ancora tragicamente fatta di muri che perpetuano all’infinito un codice non scritto, ormai inviolabile. Come emerge da studi recentissimi, un ragazzo su tre non ritiene che forme di controllo e limitazioni della libertà altrui rappresentino abusi. Impedire di stringere nuove amicizie o imporre al partner che vestiti indossare non viene considerato una violazione della libertà personale, chiedere dove sei, fammi vedere, lasciati geolocalizzare, è considerato assolutamente normale. Ce lo raccontano sin dall’infanzia in un cerchio che ha assai poco di magico ma che risulta difficile spezzare singolarmente se dall’altra parte non hai una presa di coscienza imposta d’imperio.

 

Va bene discutere di una nuova scuola, Harry Potter, la Bibbia, l’Inno di Mameli, o quel che serve all’ideologia governativa del momento. Ma il tema principe deve essere quello della libertà. La libertà del corpo delle donne, la libertà di scelta, la libertà di essere. Possibilmente vive.

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