Il Primo maggio non è una ricorrenza. È una domanda: quanto vale oggi il lavoro?

I giovani non possono più permettersi di scegliere cosa studiare "per trovare lavoro". Devono studiare per trovare se stessi: la passione è il vero differenziale tra gli esseri umani e l'intelligenza artificiale

Il Primo maggio non può essere solo una semplice ricorrenza. È una domanda che ci interpella: quanto vale, oggi, il lavoro? Quanta dignità resta in un mondo che, troppo spesso, considera i lavoratori una merce da spostare, spremere, svalutare? I giovani, figli di un tempo più rapido, che impone cambi repentini, un tempo cadenzato da crisi ed emergenze costanti, non possono sottrarsi a questa domanda.

 

Abbiamo stipulato i nostri primi contratti nell'epoca in cui le grandi conquiste dei lavoratori sono state rimesse in discussione. Un mercato che interpreta i diritti come un ostacolo alla competitività, un intralcio agli interessi superiori delle aziende. E del Paese. Eppure, quelle conquiste - il diritto al riposo, a un salario giusto, alla sicurezza, alla rappresentanza - non sono opzioni. Sono ciò che ci ha reso comunità, popolo, Repubblica. Sono la carne viva della nostra Costituzione. E oggi non basta più difenderle: serve rilanciarle, ampliarle, riscriverle alla luce delle nuove sfide globali.

 

Siamo immersi, talvolta con poca consapevolezza, in una rivoluzione digitale che trasforma tutto, ogni giorno. Non sappiamo con chiarezza quali saranno i lavori di domani. La maggior parte di essi non è stata ancora concepita. Perciò, risulta inutile e persino pericoloso scegliere un percorso solo “perché così trovo lavoro”. Questo schema non funziona più. In un periodo di stravolgimenti continui, ciò che più conta per preservare la nostra insostituibilità, quella di giovani lavoratori, è inseguire le passioni, coltivare le attitudini, ascoltare la voce interiore che ci indica chi siamo davvero.

 

La passione è il vero differenziale tra gli esseri viventi e l'intelligenza artificiale. La motivazione che alimenta una curiosità sempre diversa, scardinata da ogni algoritmo. Solo perseguendo ciò che ci fa sentire umani costruiremo un futuro in cui il lavoro non degeneri in un mero mezzo di sostentamento, ma resista come luogo di realizzazione personale e sociale.

 

Tuttavia, non possiamo illuderci che in Italia continuino a essere garantiti gli attuali diritti dei lavoratori, già deteriorati rispetto a generazioni precedenti. I grandi attori mondiali dell'economia hanno un potere contrattuale in grado di soverchiare i governi nazionali. Non di rado le multinazionali riescono a mettere in competizioni gli Stati tra loro, scegliendo dove produrre in base a dove è più conveniente sfruttare il lavoro, devastare l’ambiente, aggirare la fiscalità, corrompere il potere. E così, in nome della concorrenza globale, anche da noi le garanzie vengono erose giorno dopo giorno.

 

Il lavoro dignitoso è sotto attacco su scala planetaria. Per questo, anche la risposta deve essere globale, solidale, coraggiosa. Non possiamo più permetterci singoli Stati inermi o rassegnati. Serve un nuovo patto internazionale che rimetta al centro il valore del lavoro e la dignità della persona. Serve una “Costituzione della Terra”, come ha scritto il prof. Luigi Ferrajoli, una Carta capace di unificare le lotte sparse, di imporre regole comuni ai potentati economici, di restituire speranza a chi lavora nei campi, nelle fabbriche, nelle reti digitali, nei laboratori del sapere.

 

E poi, ovunque nel mondo ci sono ancora bambini che lavorano, donne costrette a scegliere tra maternità e reddito, migranti ridotti in schiavitù persino nei campi europei, giovani precari che non riescono a progettare un futuro. Bisogna lottare per tutti loro. Bisogna lottare affinché il lavoro smetta di essere considerato un privilegio, ma un diritto garantito ovunque, con pari dignità. Il Primo maggio non è un giorno del passato. È la nostra sfida più urgente.

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