L’occasione perduta di Mps per l’ottusità dei poteri locali

Prima della tragica acquisizione di Antonveneta, da cui sono nati i guai per l’istituto di Siena, il Monte ebbe la possibilità di far parte di un vero gruppo internazionale. Il rifiuto avvenne per dinamiche simili a quelle che vediamo anche oggi

Nessuno meglio di loro conosce il dossier Mps. Anche perché della vicenda sono stati protagonisti, o testimoni: Mario Draghi, oggi premier, era Governatore della Banca d’Italia quando Giuseppe Mussari, allora patron del Monte dei Paschi, decise lo sconsiderato acquisto di Antonveneta; Ragioniere Generale dello Stato era Daniele Franco, oggi ministro dell’Economia, e dunque azionista di riferimento di Mps; Pier Carlo Padoan, deputato di Siena per tre anni e oggi presidente di Unicredit, la banca accorsa al capezzale del Monte, da ministro dell’Economia decise nel 2016 l’aumento di capitale (5,4 miliardi) con il quale il Tesoro raggiunse la quota di controllo di Mps (64 per cento); Alessandro Rivera, Direttore generale del Tesoro, che oggi segue passo passo la vicenda, è stato a capo della direzione affari bancari del Mef per la quale passavano tutte le carte relative.

 

In quanto ad Andrea Orcel, l’amministratore delegato di Unicredit che per chiudere l’operazione ha chiesto al Tesoro tanti di quei soldi da far saltare la trattativa, merita ricordare che nel 2007, dalla tolda della Merryl Linch, fu il regista della mega operazione finanziaria da 55 miliardi di dollari che portò Santander, Fortis e Royal Bank of Scotland ad acquisire l’olandese Abn Amro, che controllava anche Antonveneta, salvo consigliare a Mussari, meno di un anno dopo, di comprare la banca veneta strapagandola. Ebbene, nonostante tutti conoscano dunque storie e conti di Mps, la partita non si è chiusa e il Tesoro ha chiesto tempo per trovare un nuovo acquirente e rispettare i patti siglati con Bruxelles al momento dell’ultimo aumento di capitale.

 

Perché è andato tutto all’aria? Forse Unicredit pretendeva troppo, oppure ha trovato una situazione peggiore di quanto immaginasse, o forse non se la sente di procedere ai tagli necessari (Mps denuncia 4500 esuberi), oppure… Ogni illazione è possibile, anche perché lunedì 9 novembre Orcel ha aggiornato la Commissione parlamentare banche su fatti e cifre, ma in seduta segreta.

 

Sappiamo però che per tenere in vita Mps se ne sono andati in dieci anni circa 30 miliardi, 13 in aumenti di capitale. Per condurre in porto l’acquisizione, Unicredit chiedeva al Tesoro un ulteriore aumento di capitale di 6,3 miliardi di euro, ai quali è lecito aggiungerne 2,2 di crediti fiscali, 6 di rischi legali e 4 di crediti deteriorati dopo che altri 4 erano già passati ad Amco, società che fa capo allo stesso Tesoro. Insomma, Orcel ha alzato il prezzo. Del resto si è fatto avanti solo lui, e poi anche banca Intesa fu generosamente aiutata a suo tempo perché rilevasse Popolare di Vicenza e Veneto Banca vicine al crac, no?

 

Una vicenda sofferta. La cui genesi va ricercata, si sa, nell’acquisizione di Antonveneta, comprata a scatola chiusa, senza “due diligence”, a ben 9 miliardi, tre volte quanto speso da Santander due anni prima. Un’operazione azzardata, considerati anche i debiti che appesantivano Antonveneta; ma Mussari, che guidava Mps, e i poteri locali che dalla Fondazione ne detenevano il controllo pensavano che così il Monte avrebbe diluito i suoi guai, e soprattutto non sarebbe stato più scalabile: nessuno lo avrebbe sottratto a Siena, alla Toscana e ai suoi referenti locali.

 

Ciò che pochi sanno, o non vogliono ricordare, è quanto avvenuto alla vigilia di quell’azzardo. Gli olandesi avevano proposto a Mps una fusione con Antonveneta al termine della quale Abn sarebbe divenuta l’azionista di riferimento di Mps e la Fondazione un socio importante di Abn Amro (con il 13,1 per cento). Il gruppo olandese avrebbe così fermato la scalata ordita ai suoi danni da Santander, Royal Bank of Scotland e Fortis, messi insieme da Orcel; Mps avrebbe visto arrivare da Londra a Siena l’intero ramo dell’investment banking, dipendenti compresi, che avrebbe portato in tutto il mondo il marchio Mps. Ma Mussari e la Fondazione dissero di no, per le stesse ragioni, rovesciate, che pochi mesi dopo li avrebbero spinti a scalare Antonveneta. Forse l’intesa con gli olandesi avrebbe salvato il Monte, chissà, certo avrebbe evitato molti guai successivi e il mare di derivati accesi per coprire il buco; ma anche quella volta a comandare furono gli interessi locali. Gli stessi che, forse, si fanno sentire ancora oggi. Bisognerebbe ripensare a quell’episodio illuminante. Se non altro per non ripetere gli stessi errori.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il rebus della Chiesa - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso