«Cos’è il vuoto per la Chiesa?», chiede un cardinale non più giovane, e non aspetta la risposta, aspetta soltanto che affiori al momento giusto per darle quel tocco di solennità: «Il vuoto per la Chiesa è la Chiesa senza un Papa». I 133 cardinali elettori (2 assenti), riuniti in Conclave da mercoledì 7 maggio dalle 16:30, provengono da 71 Paesi e da 3 pontificati, per ovvie ragioni in prevalenza nominati da Francesco (108), poi da Benedetto XVI (20) e infine da Giovanni Paolo II (5). I 133 cardinali elettori si conoscono poco, alcuni non si sono parlati mai fra loro, altri sono costretti a parlarsi mal volentieri, altri ancora si detestano con franchezza (Papa Francesco adorava la “parresia”, l’esprimersi con chiarezza). I 133 cardinali elettori, che i cronisti per facilità dividono in riformatori, progressisti, reazionari, conservatori, moderati, pontieri, mediatori, liberali come se fossero al congresso di un partito della prima Repubblica, e sapete quale, sono concordi su un unico punto: il “vuoto” lasciato da Francesco va colmato presto, e dunque il nuovo Papa dovrà affacciarsi su San Pietro per l’Angelus di domenica 11 maggio. Non prendete impegni inderogabili per quel giorno.
Dopo i funerali di Jorge Mario Bergoglio, alla prima giornata di congregazioni generali, le riunioni del collegio che mescolano votanti e non votanti, papabili e non più papabili, cinquantenni e quasi centenari, mancava una decina di porpore votanti, cioè i cardinali con meno di ottant’anni, eppure si è fissata la data del Conclave e la discussione s’è fatta subito seria. Uno non vale uno. Il periodo francescano ormai è desueto. In attesa di scoprire dove si poserà lo Spirito Santo, si osserva la bussola geopolitica. Un diplomatico vaticano, in servizio in una capitale europea, spiega la direzione: «Ora il Papa è una guida spirituale per credenti e non credenti, deve avere caratteristiche adatte alla Curia e al Mondo». Può sembrare paradossale, ma ancora oggi, più di ieri, il Papa di Santa Romana Chiesa, fra gli ultimi sovrani assoluti sulla Terra – colui che detiene la trinità del potere legislativo, esecutivo, giudiziario – è un ingranaggio fondamentale per il funzionamento della democrazia. Lo ripetono diplomatici e cardinali: il mondo ha bisogno di una voce che sappia invocare la pace, il disarmo, l’accoglienza, la compassione, la fratellanza. Proprio come ha saputo fare Bergoglio. Allora che dice la bussola geopolitica? No americani, per la stagione politica e per i trascorsi burrascosi con Francesco, «loro no, per carità», e ridacchia, un alto prelato. No sudamericani, «lo possiamo escludere, non ci sono in giro altri Bergoglio». No africani, «beh, sono troppo attenti alla tradizione». Forse asiatici, «non in cima alla lista». Se la bussola geopolitica non tradisce, peraltro supportata da fattori logici e algebrici, il prossimo Pontefice verrà estratto dal gruppo di cardinali europei (59), non certo compatto, ma base irrinunciabile per portare il consenso in Cappella Sistina al quorum di 89 per l’elezione del vicario di Cristo.
Con queste premesse, e non per conseguenze di passaporto, si arriva alla coppia di favoriti per il Conclave: il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana e, soprattutto, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato durante il pontificato di Francesco, nunzio di formazione, ultima sede a Caracas in Venezuela. Non citiamo sullo stesso piano Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, l’avamposto di Francesco in Medio Oriente, un frate che non ha smesso mai di denunciare la «situazione vergognosa della Striscia di Gaza» e l’ha fatto con lo stesso coraggio di Francesco che ha precipitato, se non completamente azzerato, le relazioni fra la Santa Sede e il governo israeliano di Benjamin Netanyahu. Parolin più di Zuppi, indica la bussola geopolitica. Né Parolin né Zuppi sono candidati che si conciliano molto con la seconda amministrazione di Donald Trump. Va ricordato che cinque anni fa, mentre gli Stati Uniti erano in campagna elettorale e Trump cercava la riconferma contro il cattolico Joe Biden, la Casa Bianca spedì in Vaticano Mike Pompeo, il segretario di Stato con origini italiane. Pompeo (Trump) voleva spingere la Santa Sede a non rinnovare l’accordo sottoscritto con la Cina per la nomina dei vescovi e per la tutela dei luoghi di culto e dei circa sedici milioni di cattolici. Com’è noto il Vaticano non ha rapporti diplomatici con la Cina dai tempi di Mao Zedong e addirittura riconosce Taiwan. La Chiesa patriottica subordinata al regime comunista ancora soffoca la Chiesa sotterranea (clandestina). Per il gesuita Francesco, nel solco di padre Matteo Ricci – il missionario gesuita, elevato al rango di Venerabile proprio da Francesco, che riuscì a entrare nell’Impero – con pazienza, «dialogo e amicizia» il Vangelo va trasmesso ovunque. Parolin respinse le pressioni di Pompeo con fermezza per tenere fede a un principio della Chiesa: con altri mezzi e con altri fini, anche la Chiesa mira alla supremazia del mondo, non economica, non finanziaria, non militare, ma «morale».
L’accordo sottoscritto con la Cina (2018), pur con le sue lacune attuative, ha superato tre scadenze biennali e lo scorso ottobre è stato prolungato di quattro anni. È un successo storico di Parolin. Come sono stati indubbi successi di Parolin, il regista della politica estera del Vaticano, numerosi incontri e visite di Francesco. Però la Segreteria di Stato ha perduto in Curia il suo ruolo dominante, per esempio ha ceduto la gestione di immobili e denaro all’Amministrazione apostolica e, con la guerra in Ucraina, al circuito di nunzi si è affiancato il cardinale Zuppi in veste di inviato del Papa. Zuppi ha portato la sua esperienza nella Comunità di Sant’Egidio. Neanche quarantenne era nel mezzo delle trattative fra il governo e i ribelli del Mozambico. Nel momento più aspro della guerra – il Vaticano ha avuto diverse “incomprensioni” col governo di Kiev, non era un interlocutore gradito – il cardinale Zuppi ha sopito il rancore e aperto canali con Mosca e Kiev. «La Comunità di Sant’Egidio è una diplomazia parallela e laicale che funziona quando è ben integrata con quella ufficiale», premette un nunzio. L’integrazione si è compiuta lo scorso anno quando Parolin è riuscito a organizzare il suo viaggio in Ucraina. Formalmente era “legato pontificio” per la celebrazione conclusiva del pellegrinaggio dei cattolici ucraini di rito latino, in pratica ha ripristinato contatti diretti. Il presidente Zelensky, dopo le esequie papali, è stato attento a salutare sia Zuppi che Parolin.
La bussola geopolitica insiste spesso sul mezzo chilometro quadrato più influente della Terra: il Vaticano, il governo curiale. Per rimettere insieme una Curia confusa dopo le riforme di Francesco e per ristabilire una cordialità fra gli episcopati locali e il centro della Chiesa, Parolin è considerato la figura migliore. Zuppi è empatico, è oltre i protocolli, ha un sorriso largo, è il candidato più spinto dai giornalisti, ma è visto troppo di sinistra, troppo romano, troppo di Trastevere. Se la bussola geopolitica dovesse incepparsi, i cardinali potrebbero spostarsi a Est verso Peter Erdo, arcivescovo di Budapest, fine giurista che, aneddoto, nel ’99 fu insignito del premio “Galileo Galilei” dal Rotary Club di Pisa oppure potrebbero sorprendere con un asiatico. Un paio di nomi: Lazzaro You Heung-sik, coreano con la biografia hollywoodiana che Francesco ha chiamato a Roma come prefetto del Dicastero per il clero; l’esuberante cardinale filippino Luis Antonio Tagle. Lo Spirito Santo ha qualche giorno ancora per stringere il suo patto con la geopolitica.