La parità di genere sul lavoro è un miraggio: di questo passo l’Italia ci metterà 80 anni per raggiungerla

Il nostro Paese è quattordicesimo posto in Europa per l’uguaglianza tra i generi, in una classifica in cui svetta la Svezia. Uno studio di 4.Manager fa il punto sul ruolo delle donne nell’imprenditoria italiana

Solo il 28 percento dei manager nel nostro paese è donna. La quota si riduce al 19 percento se consideriamo chi ha un contratto da dirigente. E l’incremento ogni anno è bassissimo, dello 0,3 percento. «Se facessimo una proiezione con i dati di oggi, la parità di genere effettiva arriverebbe tra 80 anni», dice Giuseppe Torre, responsabile scientifico dell’Osservatorio 4.Manager sul mercato del lavoro e competenze manageriali, durante la conferenza sulle “Politiche di genere per imprese e manager”, organizzata da Confindustria e Federmanager. Ecco perché è urgente promuovere un cambio di mentalità.

 

Dato un campione di 6 mila aziende manifatturiere italiane, oggi 79 su 100 sono dirette da uomini, 14 da donne. «Ma molte sono imprese individuali che le lavoratrici aprono per auto-impiegarsi. Che rimangono isolate perché faticano a inserirsi nel tessuto produttivo. Succede soprattutto al sud. Sono queste aziende che hanno sofferto di più durante la pandemia», spiega Torre. Il restante 7 percento è costituito dalle imprese a guida paritaria, le aziende più competitive, quelle che reagiscono meglio nei contesti di crisi, «perché l’equilibrio di genere fa crescere il Pil», sottolinea Stefano Cuzzilla, Presidente 4.Manager.

La parità tra donna e uomo in ogni ambito della vita privata e pubblica avrebbe, infatti, un impatto molto positivo sul prodotto interno lordo del nostro paese. Potrebbe portare a una crescita compresa tra il 9 e l’11 per cento. L’Italia oggi, secondo la classifica dell’Indice sull’uguaglianza di genere, elaborato dall’European Institute for Gender Equality, è al quattordicesimo posto in Europa. Da migliorare quindi c’è tanto. Prima la Svezia, ultima la Grecia.

Favorire gli investimenti tesi a ridurre il gender gap e promuovere la parità salariale è importante non soltanto perché è giusto ma anche perché costruisce una strategia efficace di politica industriale, necessaria per ridare vigore all’imprenditoria italiana. E quindi alla società. Innovazione e sostenibilità sono il binomio inscindibile per promuovere lo sviluppo di un ambiente lavorativo che sia rispettoso della dignità umana. Sostenibilità non soltanto ambientale ma anche sociale, per superare la disparità di genere e per migliorare la conciliazione tra i tempi di vita e quelli del lavoro.

 

Come ha spiegato la ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti, la nuova legge per la parità retributiva del primo gennaio 2022, che ha istituito il Sistema Nazionale di Certificazione della Parità di Genere, per il quale il Pnrr ha stanziato 10 milioni di euro, è stata pensata proprio per generare una trasformazione culturale del sistema imprenditoriale. Con l'obiettivo di incentivare le imprese a adottare policy adeguate a ridurre il gender gap in tutte le aree che presentano maggiori criticità. Come le opportunità di carriera, la parità salariale e di mansione, le politiche di gestione delle differenze di genere e la tutela della maternità.

La certificazione non punta a sanzionare le aziende ma a premiare quelle che attiveranno politiche pensate per favorire l’integrazione tra i generi. Con sgravi fiscali e vantaggi per gli appalti pubblici. «La nuova certificazione non è un bollino rosa ma uno strumento per definire un processo migliorativo nel mondo dell’impresa», conclude la ministra.

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